‘1992’: storia o pura fiction?

La curiosità era tanta, il rinvio della diffusione aveva acuito le attese, la buona accoglienza a festival internazionali fatto le ottimo ‘apripista’, mentre gli ancora recenti successi planetari di ‘Gomorra’ rendevano molto esigenti pubblico e critica, come si suol dire. Poi, alla resa dei conti della messa in onda, diciamolo, un po’ di delusione c‘è, soprattutto in rapporto a quel che ci aspettava più che al valore di per sé, probabilmente.

Fare una serie ‘crime’, diciamo così, come, su versanti diversi ma in qualche modo coerenti, sono state ‘Romanzo criminale’ e ‘Gomorra’ avendo come esempi cui mirare le grandi serie americane (magari quelle di HBO, più trasgressive della media), era più semplice, in un certo senso, e uno specialista come Stefano Sollima aveva fatto un lavoro eccellente, su tutti i versanti: scelta delle location, degli attori, ritmo impareggiabile, sceneggiatura accurata e pienamente funzionale. In questo senso - scrivevamo lo scorso anno - ‘Gomorra - La serie’ era stata un risultato estetico straordinario, senza voler essere una fiction di ‘critica sociale’, come ci si sarebbe potuti aspettare pensando a libro e film, ma rappresentando semplicemente con maestria assoluta fatti, delitti, gang, personaggi, situazioni criminali.

Ci si aspettava dunque tanto da una nuova serie di Sky stavolta affidata a Wildside e al regista Giuseppe Gagliardi, da un’idea di Stefano Accorsi: rappresentare la storia di Mani Pulite e del pool di Borrelli e Di Pietro, ricreare l’atmosfera di quei mesi unici, quell’uscita brusca e terribile dai presunti Paradisi della ‘Milano da bere’ che per un breve periodo sembrò fare dell’Italia l’emblema della lotta alla corruzione sempre e comunque, con un manipolo di giudici che conseguirono in pochi mesi una popolarità straordinaria, un Paese a soqquadro, dove si sfiorava talora anche la giustizia sommaria, con i corrotti costretti a confessare e un bisogno assoluto di voltare pagina a livello sociale e politico, del tutto e subito.

Sono passati ben più di vent’anni, quei tempi sono lontani, i protagonisti di allora hanno subito varie e alterne sorti, la corruzione dilaga di nuovo, il Berlusconi che in qualche modo all’epoca vide sgretolarsi il ‘sistema di potere’ che gli aveva permesso la sua straordinaria ascesa ha finito per reggere a lungo direttamente le sorti del Paese da Palazzo Chigi, anche se da poco è stato condannato e non è più in Parlamento, ma non ancora fuori dalla politica. Poco sembra migliorato, la deriva antipolitica è ormai fortissima ma ben poco produttiva.

Sembra incredibile ma occuparsi di quell’anno, di quei fatti, di quelle persone, ha provocato proteste anche oggi, da alcuni ambienti del Centro-Destra che ancora rimpiangono quell’anno ma soprattutto quelli precedenti. Preferiremmo non tenerne conto, non essendo questo lo scopo di queste note. Valga però come avvertenza: 23 anni dopo, non ne siamo ancora usciti.

La domanda vera naturalmente è un’altra: che approccio hanno adottato lo staff di produzione di Wildside, il regista Gagliardi, Accorsi e Sky verso quei fatti evidentemente ancora ‘caldi’, nonostante tutto? Perché qui ormai siamo alle prese con la storia e il tentativo di raccontare fatti storici (ma soprattutto personaggi storici) è tipico di un’altra fiction, quella della Rai, magari con i limiti che conosciamo.

Forse che allora, in cerca di altri riferimenti, Sky ha adottato gli stili storici dei film italiani ‘di denuncia’, quelli che, dopo Francesco Rosi, hanno ancora dato - ci pare - alcuni buoni risultati, da ‘Romanzo di una strage’ a ‘Diaz’? Troppo impegnativo, troppo scomodo forse ma anche troppo al di fuori delle scelte del gruppo nel campo della fiction: se neppure ‘Gomorra’ era effettiva ‘denuncia sociale’, poteva esserlo ‘1992’?

Insomma, non era facile capire cosa sarebbe stata questa serie, anche se i più (noi compresi) morivano dalla curiosità di vedere come sarebbe stato rappresentato Di Pietro, quante volte sarebbe stato detto ‘che c’azzecca?’ e ritrovare rappresentati tutti gli altri, da Borrelli a D’Ambrosio, da Davigo a Gherardo Colombo e magari pure la ‘dissidente’ Tiziana Parenti, senza dimenticare Paolo Brosio sul marciapiede davanti al Palazzo di Giustizia alle prese con i tram e con Fede.

L’approccio è però stato assai diverso e il cartello che apre la serie lo spiega subito: i personaggi sono frutto di fantasia, anche se l’ambientazione storica è reale e tutto è come lo ricordiamo bene. Insomma, storie immaginarie legate a quei fatti, a quelle persone, a quello sfondo politico-giudiziario, anzi diverse storie parallele, qualche volta anche concatenate fra loro, per comporre un puzzle che dia l’idea di quell’anno così speciale, di quell’atmosfera, di quelle situazioni.

Il tentativo era dei più difficili, dunque, perché qui non si racconta la storia ma si inventano storie legate a uno sfondo storico reale. Il risultato, dopo le prime due puntate andate in onda, si preannuncia interessante e probabilmente alla distanza anche ‘intrigante’ ma lascia lo stesso un sottofondo di delusione, un che di sconcerto. Perché la regia, la sceneggiatura, i dialoghi, lo stile non sono all’altezza di ‘Romanzo criminale’ e men che meno di ‘Gomorra’, alcune situazioni sono troppo complicate, la scelta del cast meno azzeccata, insomma le cose non funzionano così a puntino, anche se la fiction riesce a filare via liscia e a far passare bene i 55 minuti di ogni puntata allo spettatore.

Probabilmente il tentativo di cui si diceva era troppo ambizioso. Storia no, e infatti Di Pietro si vede ma molto poco, Borrelli compare per pochi secondi (almeno per ora), addirittura si introduce nel pool la figura di una sorta di ‘vendicatore solitario’ (l’attore Domenico Diele, abbastanza ‘in parte’), perché colpito dall’Aids a causa di sangue infetto. E c’è posto anche per il ‘Dandi’ di ‘Romanzo criminale’, Alessandro Roja, che interpreta un altro ambiguo magistrato del pool di cui sfuggono i reali riferimenti (che magari appunto non ci sono). Storia no, ma neppure fantasia pura: il risultato è un po’ ambiguo.

Interessante tuttavia l’idea di raccontare lo sfondo storico attraverso alcune situazioni di contorno: Accorsi (che però ha l’handicap di essere sempre troppo ‘se stesso’ come attore) interpreta un dirigente di Publitalia in ascesa ma dal torbido passato e dalla vita familiare oscura e compromessa; Miriam Leone mette da parte il perbenismo (l’impegno è lodevole) e si lascia andare a interpretare una spregiudicata starlette che mira a ‘Domenica In’ concedendosi all’utile industriale potente, anche se attempato; la figlia di Accorsi provoca qualche turbamento anche nel padre cercando di imitare le mosse delle procaci protagoniste di ‘Non è la Rai’, così utili a lui per vendere pubblicità al cliente che immagina torbide avventure con quelle giovanissime, vivaci e insieme ingenue ragazzine.

Ci sono poi Mario Chiesa e la moglie che finisce per metterlo definitivamente nei guai, con il Psi di Craxi sullo sfondo (‘il cinghialone’), gli industriali potenti e corrotti che tremano, al pari dei politici, le figlie tossiche di questi imprenditori in carriera (molto si è detto sulla parlata eccessivamente ‘biascicata’ di Tea Falco, oggetto di terribili ironie in rete), persino le scuole steineriane frequentate anche dalle figlie di Berlusconi, le giornaliste in cerca di carriera, mentre la storia che ci è piaciuta di più è quella dell’occasionale giustiziere di strada che si fa tentare dall’assurda carriera politica nella Lega Nord in ascesa, arrivando inaspettatamente e senza meriti in Parlamento.

Tante cose, tante situazioni, una mole sovrabbondante di fatti e storie, non sempre però indovinate e con qualche ingenuità di troppo nella sceneggiatura. Si pensi a Berlusconi: compare in video, è sullo sfondo di tutto ma per metterlo di mezzo all’inizio gli sceneggiatori non trovano di meglio che farlo comparire solo in voce in bagno (è ‘il Cavaliere’, naturalmente), calcando pure la mano sul rialzo delle scarpe. Questa e altre situazioni sono fin troppo ingenue e fantasiose al tempo stesso, mentre la morale della storia viene affidata a Dell’Utri (sì, proprio lui) che dice che a Publitalia lo scopo è preservare la ‘Repubblica delle banane’.

Non vogliamo apparire severi con ‘1992’, solo non tutto può riuscire come nelle attese, il tentativo di fare qualcosa di diverso non sempre coglie nel segno, alcune forzature non aiutano (perché i nudi e le scene di sesso ‘forte’, funzionali a una fiction ‘crime’, ma meno coerenti qui? Forse solo perché siamo sulla pay-tv e ‘si può e si deve’?), ci sono persino alcuni anacronismi (una Milano del 1992 con così tanti grattacieli! Mah…).

Le prossime puntate dopo le due introduttive potranno comporre meglio il puzzle, alla fine si tireranno somme magari positive. Per ora resta un po’ d’amaro in bocca per quel che magari poteva essere e forse non è stato in pieno, soprattutto per quel che si desiderava, magari in astratto, e non si è trovato nei fatti. Ma - bisogna ricordarlo - siamo sempre su Sky e qui paghiamo e siamo tutti molto esigenti…

There is one comment

  1. Daniele

    Certo che definirlo “affresco reale e minuzioso” nei minimi particolari mi pare un po’ esagerato… già nella prima puntata ci sono chicche come uno dei protagonisti che atterra a Malpensa 2000 o un treno che passa con livrea Trenitalia…
    e vogliamo parlare della scena madre di Accorsi che “vende” la pubblicità su “Non è la Rai” al proprietario delle ferramenta?
    Bene, si vede un filmato di Non è la Rai su Italia1, peccato che Non è la Rai inizio su Canale5 e passo su Italia1 solo nel 1993…
    altra perla? Quando il vecchio leghista va da Pietro Bosco a dirgli che lo vogliono candidare lui dice “siamo su Scherzi a Parte?”… non penso proprio che una trasmissione che andò in onda al massimo per 2 puntate potesse entrare nello slang quotidiano…
    nella sigla intro di Sky si vedono le banconote da 500.000 £, emesse nel 1997…
    Insomma, diciamo che di anacronismi se vedono parecchi!!

Pubblica i tuoi commenti