Il restauro del cinema d’autore secondo Ross Lipman

 Tutti i segreti per ridare all’immagine da pellicola lo splendore iniziale. Ne ha parlato uno dei principali esperti mondiali del settore, durante un incontro alla Scuola del Cinema di Milano

Se si è portati a pensare che il restauro cinematografico consista nella sola rigenerazione delle pellicole originali togliendo segni o graffi, ravvivando il colore ed eliminando ogni altro difetto dovuto al tempo e all’impiego, audio compreso, c’è ampio modo di ricredersi. Lo spunto per questa considerazione ci è suggerito dal recente incontro con Ross Lipman, uno dei principali esperti internazionali di restauro di film d’autore, oltre che filmmaker e docente presso l’Università di Los Angeles. Un incontro organizzato dalla Scuola del Cinema di Milano “Luchino Visconti”, in collaborazione col Milano Film Festival e la società di distribuzione cinematografica Reading Bloom.

Lipman ha dunque chiarito che il restauro – e soprattutto su opere di pregio – è qualcosa di ben più complesso che prevede anzitutto la Reconstruction, ovvero una puntuale documentazione storica sull’epoca di ideazione e produzione del film con ricerca anche delle eventuali diverse edizioni distribuite. Si passa poi all’effettivo lavoro pratico di restauro o Restoration o anche Remastering (un tempo sui negativi, ma adesso solo in digitale), per arrivare infine alla conservazione o Preservation, ovvero all’insieme di accorgimenti (supporti di memoria prescelti, numero di copie da rimasterizzare, ambienti di conservazione, ecc.) destinati ad assicurare nel tempo, al pari di un quadro di pregio, la migliore capacità di custodia del lavoro svolto.

L’impegno pratico di laboratorio – presso la Milestone Films di Los Angeles nel nostro caso – rappresenta pur sempre il punto focale dell’intero processo e altrettanto importanti e sofisticate sono le macchine con cui si opera. Delle quali Lipman, a fronte di una nostra precisa domanda, ha riportato il principale parametro significativo, ovvero la quantizzazione digitale basata su 16 bit. Con ciò diventano disponibili, per il bianco e nero, ben 66mila sfumature di grigio (il nostro televisore di casa, come sappiamo, ne offre poco più di 200) e, per il colore, quasi 300.000 miliardi (sic!) di gradazioni cromatiche (che sempre sul nostro tv sono circa 16 milioni). Nell’insieme del processo, una procedura apparsa di grande efficacia è poi rappresentata dal “Side by Side” ovvero dall’accostamento, su un medesimo schermo, dell’immagine iniziale con quella restaurata o in via di restauro, fino a poter raggiungere il risultato ottimale.

E i risultati si sono visti in diretta con la proiezione, dapprima in versione danneggiata e poi restaurata, di una comica di Chaplin che, girata nel 1914, appariva proprio “fresca di stampa”. E ancora con il corto Film, di Samuel Beckett realizzato nel 1965 e anch’esso restaurato, con Buster Keaton quale protagonista.

Gli interessi di Ross Lipman, lo si sarà capito, sono tutti indirizzati al cinema d’autore, meglio ancora se indipendente. Tra i film da lui restaurati figura infatti, per non riportare che un esempio, il ben noto e vero “cult” Shadows di John Cassavetes (1959) con presenza inoltre, nel suo catalogo, di nomi quali Orson Welles o Robert Altman. E con una ricca bacheca di importanti premi e onorificenze internazionali, tutte ottenute per l’impegno nella conservazione e restauro del nostro patrimonio cinematografico. Ma per quanto si potranno conservare nel tempo i lavori oggi restaurati? Purtroppo a questo – ha ammesso Lipman con sincera umiltà – nessuno è ancora in grado di dare un’esauriente e precisa risposta.

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