Banda larga: maglia nera per l’Italia

La banda larga in Italia sembra più una dichiarazione di intenti che un dato di fatto. E a confermarcelo purtroppo è ancora una volta la Commissione Europea. Pubblicato nei giorni scorsi, l’indice su economia e società digitale nei Paesi dell’Unione colloca, ancora una volta, la nostra Penisola in fondo alla classifica. Venticinquesima su ventotto. Peggio di noi solo Grecia, Bulgaria e Romania. Sul podio Danimarca, Svezia e Paesi Bassi.

Purtroppo il tempo passa ma le cose non cambiano. E a distanza di 3 o 4 anni il nostro posizionamento non si è modificato di una virgola. Sembra quasi un risultato positivo non aver perso terreno ma è sconcertante leggere di anno in anno la mera riproposizione di uno scenario che, nonostante i molti proclami e i numerosi convegni, non riesce ad evolvere positivamente.

Nella composizione della classifica la Commissione Europea ha utilizzato 5 parametri per ciascun Paese: la connettività, in termini di accessibilità, diffusione e rapidità di connessione; le competenze digitali; le attività online dei cittadini; l’integrazione e lo sviluppo delle tecnologie digitali, dalle fatture elettroniche al cloud all’e-commerce; i servizi pubblici che passano in rete, ovvero pubblica amministrazione e sanità. I dati hanno ancora una volta confermato quanto sia utopistico pensare ad un mercato unico digitale, già fortemente auspicato dalla presidenza Barroso e considerato una delle priorità fondamentali della Commissione Junker.

I dati mostrano chiaramente che l’esperienza digitale dipende dal Paese in cui si vive. Basti pensare che il 93% dei cittadini del Lussemburgo utilizzano regolarmente internet. In Romania la pratica interessa il 48% della popolazione. In Italia il 59%, contro la media Ue del 75%.

Ancor più grave segnalare che ben il 31% degli italiani dice di ‘non usare mai il web’. Si tratta di un cittadino su tre!?! Ma questo evidente ritardo non riguarda, ovviamente, soltanto le scelte private dei cittadini.

Nel nostro Paese sono attive nell’e-commerce solo il 5% delle piccole e medie imprese, a fronte del 15% della media dell’Unione. Questa riluttanza all’uso della rete può essere in parte spiegata dalla carenza infrastrutturale ­ l’Italia è considerata dalla Commissione il Paese ‘con la peggiore copertura sul broadban’², disponibile solo per poco più di una famiglia su 5, a fronte di una copertura disponibile per il 62% delle famiglie Ue ­ ma a pesare su questo ritardo esiste anche una resistenza psicologica e culturale. A molti sembra sfuggire ancora che il web rappresenti la nuova frontiera per il rilancio del Paese, della sua economia e dell’occupazione, e che non serva soltanto a chattare con amici e condividere foto su una piattaforma social.

Interessante riscontrare dallo studio della Commissione la crescente richiesta dei cittadini europei di contenuti video online. Anche se la Tv rimane il canale preferenziale per la fruizione di prodotti audiovisivi, un numero crescente di soggetti, ormai pari al 40%, guarda video on demand e film online.

Appare evidente che il video rappresenti la killer application in grado di trainare anche lo sviluppo infrastrutturale. Non saranno certo la digitalizzazione della pubblica amministrazione o il fascicolo sanitario elettronico i motori dello sviluppo o i fattori di incentivo ad una domanda ancora carente. Servizi peraltro importanti, entrati a far parte del quotidiano in alcuni contesti, ma quasi ancora del tutto sconosciuti in altri.

Alla luce del rapporto la Commissione si è dichiarata ottimista. Questo indice costituirà una base importante per l’elaborazione di una proposta ­ che verrà presentata a maggio ­ per la creazione del Digital Single Market, la cui creazione consentirebbe di generare 250 miliardi di euro, in 5 anni, in termini di crescita ed occupazione.

La posizione della Commissione fa pensare un po’ all’ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione di gramsciana memoria. Non resta che sperare che sia la volontà a trionfare!

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