Esiste un unico vincitore del 70° Festival di Cannes e si chiama Netflix. L’edizione, memorabile per pochi momenti, rimarrá invece alla storia per la decisione, senza precedenti, di ammettere in concorso per la Palma d’Oro due film del colosso di streaming, 'Okja' di Bong Joon-ho, il piú costoso nella storia delle produzioni coreane, e 'The Meyerowitz Stories' di Noah Baumbach, con un cast stellare che include Dustin Hoffman, Adam Sandler e Ben Stiller. Alla Croisette il suo terzo film, l’action 'Bushwish', prodotto e interpretato da Dave Bautista, è arrivato nella sezione Quinzaine des Realisateurs (in inglese Director’s Fortnight).
La disputa
Su pressioni dell’FNCF (Federation of French Cinemas), il regolamento imporrà dal prossimo anno la distribuzione nei cinema francesi delle pellicole in concorso perché in Francia una parte del costo dei biglietti viene devoluto in tasse destinate a un fondo che incoraggia le produzioni nazionali. Lo scorso anno il Paese ha staccato 213 milioni di biglietti (1,5 miliardi di dollari), registrando un aumento di presenze al cinema, mentre negli Stati Uniti la situazione è rimasta pressoché invariata rispetto all’anno prima (1,32 miliardi di biglietti e 11,4 miliardi al box office). La legge prevede che in Francia un film abbia una release in streaming 36 mesi dopo l’uscita al cinema (4 mesi per il video on demand, 10 per le tv via cavo, 22 per le emittenti generaliste). Nel caso specifico dei due film in concorso, Neflix ha previsto un’uscita in alcuni cinema statunitensi, sudcoreani e inglesi e non esclude che si aggiungano altri territori. Il gigante streaming, con 100 milioni di abbonamenti in tutto il mondo, ha attualmente in produzione 50 film e 65 documentari, oltre alle serie tv realizzate a livello locale in 19 diversi paesi. Dal 2012 ha speso 1,75 miliardi di dollari tra produzioni e licenze di film e telefilm europei, anche se la metá del pubblico vive fuori dal Vecchio Continente. Altre manifestazioni cinematografiche di alto profilo, invece, usano ben altri parametri per le opere in concorso. A ‘Screen’ il direttore artistico del TIFF (Toronto International Film Festival) Cameron Bailey ha detto:"La nostra selezione è aperta ai migliori lavori sul mercato, che siano o no destinati ai cinema".
Le reazioni
Tedd Sarandos, capo dei contenuti di Netflix, ha dichiarato a ‘Variety’: “Cannes ama uno scandalo, e questo è chiamato L’Affaire de Netflix”. Con la nuova regolamentazione la partecipazione futura al festival diventerebbe meno appetibile da parte del colosso che ha giá ottenuto, oltre alla legittimazione del concorso 2017, anche il plauso della critica e del pubblico, presente in sala e “virtuale” (eccezion fatta per alcuni addetti ai lavori francesi). L’engagement valutato da Amobee, stimata compagnia di marketing sulle nuove piattaforme tecnologiche, ha dimostrato che i due titoli più ‘chiacchierati’ in rete sono proprio le opere di Netflix (seguite a ruota da 'Wonderstruck' di Amazon). Investitore di rilievo in molti lavori indipendenti, la piattaforma prende rischi che molte major evitano accuratamente. 'Okja' (in Italia disponibile dal 28 giugno) ha peraltro oltre la metá dei dialoghi in coreano con sottotitoli in inglese, dimostrando un’ulteriore dose di coraggio.
La nostra opinione
Le opere Netflix a Cannes si diversificano per genere e sensibilità ma hanno un denominatore comune molto forte, l’altissima qualità. 'Okja' racconta con grande delicatezza l’insolita amicizia tra una bambina e un maiale gigante nato in laboratorio in una società futurista e un po’ allo sbando, 'The Meyerowitz Stories' apre le porte di casa di una famiglia disfunzionale di artisti e 'Bushwick' abbraccia la lotta alla sopravvivenza di un gruppo di fuggiaschi durante una moderna guerra civile americana. Un trittico variegato e potente, con alto valore produttivo, che offre un dispiegamento artistico e tecnico d’eccellenza.
Lontane dai virtuosismi stilistici di solito tanto amati dalle competizioni cinematografiche, prive di buonismi e ipocrisie, affrontano temi attuali dalle prospettive piú diverse, con una dignitá narrativa pari (e spesso superiore) ad alcune delle altre opere in concorso alla Croisette. Come gran parte della stampa internazionale ha sottolineato, è Cannes ad aver bisogno di Netflix e non viceversa. E uno dei pochi guizzi creativi di questa edizione, tutt’altro che memorabile, va attribuito proprio al gigante dello streaming, pioniere dei nuovi linguaggi dell’audiovisivo e leader visionario di un mercato ancora troppo spesso legato a vecchi schemi produttivi e distributivi.
La parola ai protagonisti
A rincarare la dose nella disputa con Netflix ci pensa la dichiarazione non certo super partes del presidente di giuria, il regista Pedro Almodovar: “Sarebbe un paradosso se la Palma d’oro o qualsiasi altro premio andasse ad un’opera che non viene mostra in sala”. Di tutt’altro avviso Will Smith, un giurato con un progetto in corso proprio con il colosso dello streaming (Bright): "Non vedo nessun contrasto tra il cinema e il portale, a casa mia Neflix non influenza la frequentazione della sala e viene considerato una benedizione perché permette ai ragazzi di recuperare pellicole classiche che altrimenti non avrebbero mai guardato. Siamo di fronte a due forme diverse d’intrattenimento". Robin Wright, che alla Croisette ha presentato il suo corto da regista The Dark of Night, durante il talk di Women in Motion organizzato da Kering ha aggiunto: “Non vedo come si possa criticare lo streaming, che è una forma nuova di fruizione, anche se il grande schermo continuerá a mantenere comunque il proprio ruolo di primo piano”. Tilda Swinton, star di Okja, ha detto: “Il Festival prende le sue decisioni liberamente, accettarle fa parte del gioco, funziona come per gli inviti alle feste, alcuni vengono invitati e altri no”. “Questa piattaforma – gli fa eco il collega di set Jake Gyllenhaal – mi sembra una benedizione per ogni forma d’arte e il dibattito resta vitale per il mondo”. Per Salma Hayek “l’esperienza collettiva in sala resta importante, fa parte della magia del cinema e contempla una forma di rispetto per l’opera che include l’uscire da casa, sedersi in una stanza buia con alcuni sconosciuti per guardare attraverso una finestra romantica”. Cary Murnion e Johanthan Milott, registi di Bushwick, non sentono minimamente sminuito il valore artistico del loro lavoro solo perché distribuito in streaming, anzi: “Lo scopo di un film è che venga guardato dal numero maggiore di persone possibile. L’alternativa per questo nostro lavoro sarebbe stata un’uscita in una manciata di sale cinematografiche. Prendi 'I don’t feel at home in this world anymore': ha avuto la premiere mondiale al Sundance Film Festival e ha guadagnato anche vari meritatissimi premi. Si dovrebbe parlare di qualitá, invece di focalizzarsi sulla modalitá di fruizione”.
Per Dustin Hoffman, protagonista di 'The Meyerowitz Stories', il problema non si pone: “A casa mia ho uno schermo gigante”. E poco importa se nessun premio è stato assegnato ai due film: Netflix a Cannes ha comunque vinto.