Censis: un mare di dati senza interpretazione

Troppi dati e statistiche anziché arricchire la conoscenza portano solo confusione? Se ne è discusso a Roma in sede Censis…

Si è tenuto l'11 giugno a Roma, presso la storica sede del Censis di piazza di Novella all'interno del ciclo dei 4 incontri di giugno per 'Un mese di sociale', il dibattito 'Un mare di numeri senza interpretazioni'.

Il tema dell'eccesso di informazione statistica è stato attentamente dibattuto dai 3 'panelist' introdotti dall'apertura di Giuseppe Roma, Direttore Generale del Censis, ovvero Francesco Estrafallaces, Responsabile settore Economia del Censis, Paolo Garonna, Segretario Generale Federazione delle Banche, Assicurazioni e Finanza, e Luigi Paganetto, Presidente della Fondazione Economia di Tor Vergata.

Il tema portante è stato proprio quello del 'primato del numero'. La riflessione si è concentrata sul vivere travolti da una enorme quantità di informazioni numeriche e statistiche, spesso abbandonate a se stesse, non contestualizzate. In tal senso l'information technology ed internet hanno accelerato i livelli di produzione di informazioni e la fruizione di grandi quantità di dati. Numerosi enti istituzionali, a partire dall'Istituto Nazionale di Statistica, rendono fruibili una mole crescente di dati, in risposta ad un'esigenza di trasparenza che proviene dai diversi strati della società civile e dell'allargamento del diritto di accesso all'informazione.

Le cifre di questa 'civiltà numerica' sono impressionanti. Basti solo pensare che su Google vengono effettuate 2 milioni di ricerche, vengono inviati oltre 100mila Tweet e compiute 2 milioni e 200mila azioni su Facebook. E tutto questo ogni singolo minuto.
Per quanto riguarda sondaggi e statistiche basti pensare che nel primo semestre 2013 l'Istat ha elaborato e reso disponibili 95 indagini, con una media di 4 ogni settimana. E ancora, nello stesso periodo considerato, l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - Agcom ha registrato la realizzazione di 174 sondaggi di opinione sulle più disparate materie: si spazia dalle opinioni politiche a quelle sulle unioni omosessuali, dall'importanza delle ferie a cosa si pensi dell'arte al tempo della crisi. Insomma, una sorta di 'bulimia informativa' che porta alla realizzazione di una media di 8 sondaggi ogni settimana.
Per quanto riguarda infine gli Open Data, sono attualmente mappati circa 4.800 dataset di amministrazioni pubbliche.

L'elemento che colpisce maggiormente - e che è stato più volte ribadito dai diversi relatori nel corso della mattinata - è il non preoccuparsi più della contestualizzazione dell'informazione, ma soltanto del fatto, del numero, sic et simpliciter.
Si è dunque finiti nel cosiddetto 'primato del numero', nell'effetto annuncio, che però si scontra con un deficit di interpretazione. Quindi più numeri e più trasparenza, che non corrispondono però a maggiore conoscenza.

La chiusura della mattinata, in una sala davvero molto affollata, è stata affidata al sempre brillante Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, che ha sostenuto, con toni molto critici: «Siamo sopraffatti da dati, che aumentano, ma che non favoriscono il costruirsi di una coscienza collettiva. Troppe statistiche confondono? Effettivamente, l'intensificazione dei numeri è stata recentissima».

Negli anni '60 al Cnel - Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro De Rita fu costretto a battersi, con le unghie e con i denti, per difendere la cadenza annuale, allora reputata eccessiva, del rapporto Censis che si voleva trasformare in biennale, perché si riteneva allora che i processi sociali non fossero tanto veloci.
«L'Italia - ha quindi proseguito il Presidente Censis - è un Paese che sta perdendo la propria coscienza collettiva. Il centro nodale di una società è la propria autocoscienza. Senza autocoscienza non si è una società. E tutti questi dati, abbandonati a se stessi, non portano ad una riflessione, ad una ricomposizione. Si resta solo a galleggiare nei numeri. Certo, alcune parti politiche insistono molto sulla presunta 'trasparenza'. Ma sapere non vuol dire conoscere?».

Ed in chiusura ha aggiunto «Il fatto che nessuno più interpreti è la cosa più grave. Questo produce una spersonalizzazione. E poi, mutuando un'espressione utilizzata da Simone Weil volta ad enfatizzare lo sradicamento dell'individuo dalla società moderna, viviamo nella società come se guardassimo un paesaggio, come se quel che accade al suo interno non ci toccasse».
Ed ha concluso lasciando un quesito ai presenti: “Come si può continuare a fare interpretazione in una società ubriaca di dati?”.

Forse questi dati continueranno a svilupparsi fino a quando nessuno ne terrà più conto?

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