Concessione Rai, un percorso a ostacoli

Non se ne parla molto e tutta la questione è anzi passata finora stranamente ‘sottotraccia’. Però stavolta, dopo diversi rinvii, per la nuova concessione alla Rai della gestione del servizio pubblico radiotelevisivo (altrimenti detta ancora Convenzione) siamo davvero al ‘dunque’.

Tutto è iniziato venerdì 10 marzo con il varo di un primo testo da parte del Consiglio dei ministri, che è stato trasmesso subito al Parlamento, in specifico alla Commissione di Vigilanza, che infatti ha iniziato a discuterne, cominciando con il sentire i più diretti interessati, vale a dire il sottosegretario Antonello Giacomelli (intervenuto in Commissione al posto del ministro dello Sviluppo Economico Calenda) e i vertici Rai. La Vigilanza adesso ha ancora una ventina di giorni per formulare un’opinione sullo schema governativo, un parere che è solo consultivo ma che (salvo sorprese) sarà ‘importante’ per il Governo, chiamato a recepire i rilievi del Parlamento.

Se e quando si arriverà in porto (la data indicata per l’avvio della nuova concessione è quella del 1° maggio prossimo) si passerà alla fase successiva, che prevede il varo del Contratto di servizio Stato-Rai, un adempimento che manca davvero da parecchio tempo e che deve indicare in maggior dettaglio onori e oneri della Rai. L’indicazione del Governo è che questo Contratto sia quinquennale e che dunque debba essere rinnovato un’altra volta prima della scadenza della concessione, che sarà invece decennale e non più ventennale. Dunque, la ‘sottovalutazione’ di cui sopra deriva forse dal fatto che siamo ancora ai primi passi dell’iter e che pertanto molte cose possono ancora cambiare.

Ma cosa ha previsto il Governo nella dozzina di pagine e nella ventina di articoli con cui ‘riassegna’ la concessione alla Rai? Secondo il ministro Calenda, “si tratta di un testo fortemente innovativo sotto molteplici aspetti, a cominciare dalla previsione di un nuovo piano editoriale, e caratterizzato dalla separazione delle attività di servizio pubblico rispetto a quelle di mercato. Il nuovo modello concessorio permetterà di realizzare un uso più efficiente delle risorse, un miglioramento del servizio e la razionalizzazione degli assetti industriali e finanziari”.

Nel nuovo testo, in cui si fa riferimento per la prima volta, oltre ai programmi radiofonici e televisivi, anche al servizio pubblico multimediale, si stabiliscono alcuni principi:

  1. a) la richiesta alla società concessionaria di realizzare un piano editoriale coerente con la missione e gli obblighi del servizio pubblico radiotelevisivo, che può prevedere la rimodulazione del numero dei canali non generalisti con l’obiettivo di perseguire efficientamento, riduzione dei costi, valorizzazione delle risorse interne;
  2. b) la previsione della necessità di garantire un uso più efficiente delle risorse, attraverso un piano di riorganizzazione dell’informazione che può prevedere anche la ridefinizione del numero delle testate giornalistiche ed il rispetto del divieto assoluto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni (qui il riferimento sembra essere alle fake-news, contro cui la Rai è chiamata ad impegnarsi; N.d.R.).

Ai fini della determinazione dei costi sulla cui base è parametrato annualmente il canone di abbonamento, si prevede che l’Agcom ed il MISE, ciascuno per le rispettive competenze, verifichino, sempre annualmente, la realizzazione degli obiettivi di efficientamento e razionalizzazione indicati nel contratto nazionale di servizio, l’attuazione del piano editoriale, il rispetto delle norme in materia di affollamento pubblicitario (da calcolare addirittura canale per canale; N.d.R) e la corretta imputazione dei costi da parte della società concessionaria.

In base alla nuova Convenzione, inoltre, il bilancio della Concessionaria deve prevedere una contabilità separata per i ricavi derivanti dal gettito del canone e gli oneri sostenuti nell’anno solare precedente per la fornitura del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale rispetto ai ricavi delle attività svolte in regime di concorrenza. Tale contabilità separata sarà soggetta a controllo da parte di una società di revisione. È fatto infine divieto alla società concessionaria di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo. Infine, non sarebbero più assegnate alla Rai frequenze su cui trasmettere (queste ultime semmai sarebbero di competenza di Rai Way, nell’ottica della creazione di un futuro operatore unico per le infrastrutture tecniche di trasmissione) bensì (solo) “la capacità trasmissiva necessaria” (capacità in termini di banda di trasmissione relativamente ai canali da diffondere).

Quali le ‘criticità? Ce ne sono, eccome, e derivano di fatto soprattutto dalla tensione che ‘si respira’ da tempo fra il Governo (prima Renzi, ora Gentiloni) e il PD e i vertici della Rai, ritenuti non in grado di dare attuazione ai propositi di riforma dell’azienda che ne avevano ‘ispirato la scelta’, nell’estate 2015. Alle dichiarazioni costanti di contestazione di alcuni esponenti PD (in prima linea Michele Anzaldi) si sono unite le parole (sia pure un po’ più ‘felpate’) di Giacomelli: “Le istituzioni hanno fatto passi avanti significativi verso il cambiamento, dando tutti gli strumenti necessari agli amministratori per la modernizzazione della Tv pubblica. Se ciò non è accaduto finora, per molti motivi, noi confidiamo che in questa Convenzione ci sia il mandato alla Rai per una razionalizzazione complessiva. La Convenzione prevede l’obbligo che la concessionaria predisponga un piano editoriale e preveda la rimodulazione dei canali non generalisti, l’efficientamento dei costi e la valorizzazione delle risorse interne”.

Per il piano editoriale della Rai, le sue convulse vicende sono fin troppo note, mentre non è ben chiaro se la ‘rimodulazione dei canali non generalisti’ implichi o meno una loro riduzione. Ma il problema principale, per adesso, sembra essere quello della verifica annuale del rispetto degli obblighi di servizio pubblico prima del versamento del canone alla Rai. La presidente Maggioni ha detto infatti che “aver messo in collegamento diretto la verifica annuale con il canone potrebbe essere un problema su cui vale la pena di ragionare insieme”. E per Campo Dall’Orto “per poter pianificare trasformazioni aziendali importanti, come già ne sono state avviate, è importante avere una prospettiva pluriennale sul piano delle risorse”.

Va poi specificata bene la norma della separazione contabile fra compiti di servizio pubblico e ‘attività commerciali’, una disposizione in teoria già in vigore, almeno parzialmente. In quest’ottica sarebbe importante, prima delle imminenti scadenze fissate dalla stessa Rai, che Governo o Parlamento (o entrambi) chiarissero una volta per tutte se il tetto agli stipendi di 240.000 euro valga o meno anche per gli artisti. Giacomelli ha detto che a suo parere l’estensione agli artisti è ‘impropria e sbagliata’ ma ha specificato che si tratta di un’opinione personale, perché quella in questione è “una norma del Parlamento ed è difficile chiedere un’opinione al Governo”. Così, come nel gioco dell’oca, siamo di nuovo (almeno per ora) al punto di partenza.

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