Le proteste, non solo in sede parlamentare, hanno avuto qualche effetto: il parere delle Commissioni competenti sulla legge-delega di Romani arriverà solo dopo una serie di audizioni, oltre i termini previsti, e intanto c’è disponibilità a qualche modifica.
La situazione è attentamente seguita dal sito www.key4biz.it:
«Potrebbe slittare il termine del 27 gennaio per l'espressione del parere delle Commissioni competenti della Camera sul decreto Romani, lo schema di decreto legislativo del governo che recepisce le nuove norme Ue in materia di audiovisivo. L'ufficio di presidenza della Commissione Cultura e Trasporti della Camera ha infatti accolto la proposta del Pd, che nei giorni scorsi aveva lamentato una "strozzatura" sul decreto, di procedere a una serie di audizioni con i soggetti interessati alle disposizioni, che inizieranno giovedì. Intanto oggi si riunisce alle 14.30 anche la Commissione Lavori pubblici del Senato per il parere - previsto dalla legge ma non vincolante - sul provvedimento.
Dunque le audizioni inizieranno giovedì (21 gennaio; Ndr:) e proseguiranno venerdì e la prossima settimana. Previste tra le altre quelle di Agcom, APT (associazione produttori Tv), Anica, Atdi (Associazione degli editori dei canali satellitari), Cgil - Cisl - Uil, le associazioni dei diritti dei minori, Cento autori e ancora quelle delle emittenti Rai Mediaset e Sky, e poi di Aeranti/Frt, Google, Siae e Fnsi.
Al termine la discussione generale, quindi il parere che sarà dato, con ogni probabilità, i primi di febbraio, circa 10 giorni dopo il termine previsto del 27 gennaio (ovvero 40 giorni dopo l'assegnazione del testo al Parlamento).
Soddisfatto il viceministro allo Sviluppo Economico con delega alle Comunicazioni Paolo Romani: “C'è la possibilità di approfondire un testo complesso. Ho molto rispetto per il Parlamento e ascolteremo i soggetti interessati. Mi sembra che sia poi caduta la polemica sull'eccesso di delega”.
“La decisione di audire i principali soggetti coinvolti dalle modifiche al testo unico sulle televisioni - ha dichiarato Michele Meta, capogruppo Pd in Commissione Trasporti - può contribuire a ristabilire un clima più sereno, grazie al quale il Parlamento torna ad esercitare le proprie prerogative e funzioni”.
Con la decisione di oggi gli Uffici di presidenza hanno tenuto conto della lettera ricevuta dal Presidente della Camera Gianfranco Fini in risposta al capogruppo Pd Dario Franceschini sugli scarsi tempi a disposizione per l'espressione del parere. Lettera in cui Fini chiedeva alle stesse Commissioni di valutare la possibilità di un rinvio dei tempi per il parere stesso.
Intanto Vittoria Franco, esponente del Pd in commissione Cultura del Senato, a proposito della mobilitazione del settore cine-audiovisivo contro il decreto Romani, ha espresso “solidarietà e appoggio”.
Il sindacato Slc-Cgil ha organizzato una serie di sit a Roma, davanti alla sede Mediaset dell'Aventino, davanti alla Rai di Viale Mazzini, davanti alla sede di Sky in via Salaria.
“I tagli e le penalizzazioni - ha spiegato la Franco - contenuti nelle misure previste dal governo fanno un cinema più povero, meno valorizzato e sempre più cenerentola. Le richieste dei lavoratori del cinema sono tutte condivisibili, a partire dalla richiesta di reintegro delle quote di investimenti e programmazione su Rai, Sky e Mediaset che vengono tagliate con questo decreto. C'è bisogno di una legge di sistema che dia impulso al nostro cinema”.
Il Pd ha dato il proprio appoggio allo sciopero e per voce di Matteo Orfini, responsabile cultura della segreteria del Pd ha spiegato che “Con il decreto legislativo di prossima approvazione, infatti, si rischia di svuotare la legge 122 che prevede l'obbligo di investimento in cinema e fiction europei da parte delle Televisioni. Questo strumento ha assicurato finora importanti risorse per il settore. Si tratterebbe perciò di un colpo letale per il comparto audiovisivo con la conseguente perdita di posti di lavoro, di professionalità e maestranze”.
“Il Pd - ha concluso Orfini - chiede al governo di ripensare questa politica che strangola una delle più grandi industrie culturali italiane”.
Nel mirino la modifica apportata al Testo unico della radiotelevisione che riporterebbe alla completa liberalizzazione degli obblighi di produzione e investimento a carico di tutti i fornitori di contenuti (broadcaster gratuiti e a pagamento, privati e pubblici su qualunque piattaforma incluso il satellite)».
E, dopo il rinvio, effettivamente avvenuto, ci sono ora nuovi aggiornamenti:
«Il viceministro Paolo Romani ha fissato una serie di incontri con tutti i rappresentanti delle associazioni del settore al fine di approfondire le tematiche riguardanti la normativa sulla tutela della produzione audiovisiva e cinematografica italiana contenuta nel decreto di recepimento della direttiva europea 2007/65 sui servizi di media audiovisivi, a fronte anche dei rilievi che sono stati individuati nel corso di alcuni interventi di esponenti del settore. L'incontro sarà volto, inoltre, ad ascoltare, nel merito, le proposte di modifiche al testo all'esame in questi giorni nelle commissioni parlamentari.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni illustrerà all'VIII Commissione Lavori pubblici e Comunicazioni del Senato il 26 gennaio la propria posizione sul decreto Romani. Secondo quanto si apprende in ambienti dell'Agcom, infatti, il Consiglio ha deciso di esporre in quella sede le proprie osservazioni ed eventuali proposte di modifica sul provvedimento all'esame delle Camere.
E dopo la protesta dei lavoratori di settore, le perplessità nella stessa maggioranza e l'avvertimento dell'Agcom, è possibile che sulle quote di produzioni europee il Governo faccia un passo indietro.
Il testo abolisce le quote di produzione di opere cinematografiche e fiction indipendenti (riducendo dal 15 al 10% il tetto per la Rai) e diminuisce anche le quote di investimento, adottando come base di calcolo non più il fatturato ma la programmazione.
Vengono poi aboliti i diritti residuali (tema importantissimo; Ndr.), oggetto di un regolamento Agcom su cui era stato presentato ricorso da Mediaset e Sky. Modifiche che hanno aperto la protesta dei lavoratori del settore e sulle quali si è detto contrario anche il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi che chiede resti “inalterata l'attuale disposizione contenuta nell'art. 44 del decreto legislativo n. 177/2005, riguardante le quote di programmazione di 'prodotto audiovisivo europeo indipendente recente' nelle fasce di massimo ascolto dei palinsesti televisivi, le quote di investimento riservate al cinema italiano e l'attribuzione ai produttori indipendenti dei diritti residuali” (anche Barbareschi, pur appartenente alla maggioranza, si è detto contrario alle modifiche proposte dal Governo; Ndr).
Modificare quelle norme, ha poi detto il presidente dell'Agcom, Corrado Calabrò, significherebbe fare "un passo indietro".
Esprime soddisfazione Paolo Gentiloni, responsabile comunicazioni del Pd, per le dichiarazioni di Bondi.
“Mi auguro - ha detto ancora Gentiloni - che negli incontri con le associazioni del settore il viceministro Romani annunci il ripristino di queste norme introdotte dal governo Prodi nel 2007, la cui cancellazione è una grave minaccia per un pezzo rilevante delle nostra industria culturale”.
Intanto le Commissioni Cultura e Trasporti della Camera e la Lavori pubblici del Senato hanno stabilito di organizzare un calendario di audizioni di tutti i soggetti coinvolti dal decreto, dalle emittenti Rai, Sky e Mediaset, alle associazioni dei produttori, a Google, Siae e Fnsi, che dovrebbero tenersi tra la fine di questa settimana e tutta la prossima.
Il decreto Romani si fa notare anche per alcuni punti che fino a oggi sono rimasti nell'ombra. Si tratta delle disposizioni che fissano nuovi limiti per le trasmissioni pornografiche sulle pay-Tv.
Se il testo, si legge sulle pagine di 'Italia Oggi', verrà approvato così come è formulato attualmente, la trasmissione dei film a luci rosse potrà avvenire, nella pay tv o pay-per-view, solo dalle 23 della sera alle 7 del mattino (Sky e Conto Tv hanno invece da poco introdotto il porno anche di giorno; Ndr.). Colpendo pesantemente le tasche delle pay tv. È noto che il costo alla fonte del porno è minimo e il ricavo è massimo».
Secondo quanto scrive 'Repubblica', inoltre, «l'art.9 del decreto vieta "la trasmissione, anche a pagamento, dei film ai quali sia stato negato il nulla osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico o che siano stati vietati ai minori di anni diciotto nonché dei programmi classificali a visione per soli adulti" dalle 7 alle 23 "su tutte le piattaforme di trasmissione". Una norma che certo confinerà in orario notturno i film di Pedro Almodovar, ma che soprattutto darà un colpo ai canali pornografici a pagamento, a cominciare da Sky Italia, già fortemente danneggiata dai nuovi tetti pubblicitari per le pay-tv.
"Il punto è che la questione della tutela dei minori non può essere utilizzata solo quando fa comodo - commenta Giuseppe Giulietti, deputato del Gruppo Misto, che insieme a Paolo Gentiloni (Pd) e a due esponenti dell'Udc e dell'Idv ha tenuto qualche giorno fa una conferenza stampa proprio per contestare punto per punto il decreto Tv e chiedere che della delicata materia venga investito il Parlamento - . Se si vogliono tutelare davvero i bambini e i ragazzi bisognerebbe piuttosto vietare gli spot su tutte le trasmissioni a loro dedicate, soprattutto gli spot 'non dichiarati'. E invece tale divieto viene introdotto solo per i bambini, e non per gli adolescenti, fascia d'età altrettanto delicata. Una norma di questo tipo invece regola solo la distribuzone dei soldi".
La norma è quasi altrettanto severa con i film vietati ai minori di 14 anni, che "non possono essere trasmessi, sia in chiaro che a pagamento, né forniti a richiesta, sia integralmente che parzialmente, prima delle ore 22.30 e dopo le ore 7.00".
Sky ha in Italia cinque canali a pagamento con contenuti per adulti che finora hanno trasmesso regolarmente (ma da poco, in realtà; Ndr.) in orario diurno: i proventi annui sono di circa 45 milioni di euro. Ma non è la sola emittente ad avere investito sul filone porno: Conto Tv, per esempio, divide le sue trasmissioni tra sport e programmi per adulti. "Il decreto viola la libertà personale", afferma in un'intervista all'agenzia Bloomberg Marco Crispino, amministratore delegato di Conto Tv. L'emittente, spiega Crispino, "sta andando piuttosto bene, ma se fermano le trasmissioni questo ci danneggerà economicamente. Noi abbiamo fatto investimenti, acquistato diritti di diffusione". Non commenta invece Sky Tv, che continua a mantenersi defilata dalla vicenda, nonostante sia stata chiamata in causa, soprattutto per i nuovi tetti agli spot pubblicitari, anche dalle proteste del centrosinistra».
Altre questioni molto discusse e contenute nel decreto sono quella che, chiudendo una vicenda ancora parzialmente all'esame dell'Agcom, sancisce che i canali “+ 1”, quelli in pay-per-view e persino quelli di pay-tv in genere non siamo conteggiati ai fini del “limite antitrust” del 20% per singolo gruppo televisivo (a tutto vantaggio di Mediaset), e quella che equipara siti che contengono in misura 'rilevante' audiovisivi siano equiparati a emittenti Tv in termini di obblighi e regole.
Come riportato dalla 'Stampa', «Paolo Romani, viceministro con delega alle Comunicazioni, (ha spiegato) che «sulla vicenda del Web, è la stessa direttiva comunitaria a definire un servizio di media televisivo quale un servizio la cui finalità principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico attraverso reti di comunicazione elettroniche, e nei quali il contenuto audiovisivo non sia meramente incidentale e ne costituisca invece la finalità principale. Ed è la stessa direttiva, cui il decreto legislativo è perfettamente conforme, a puntualizzare che siano assoggettati alle sue regole, tra gli altri servizi, anche i siti Internet purché contengano in misura prevalente elementi audiovisivi non a titolo puramente accessorio, nonché il webcasting, ovvero la trasmissione televisiva su Internet».
Il viceministro ha specificato in una lunga nota che «il decreto non intende censurare il diritto di informazione in rete e tantomeno incidere sulla possibilità di manifestare le proprie idee e opinioni attraverso blog, social network».
Tuttavia sono molti a guardare con preoccupazione agli sviluppi del quadro normativo: Google, per esempio, teme di ritrovarsi equiparata ad una emittente televisiva. «C'è una certa preoccupazione» - ha affermato a Bloomberg Marco Pancini, consulente del gigante Internet sulle questioni legate alle politiche pubbliche in Europa. La normativa assegna all'autorità di vigilanza il potere di richiedere agli internet provider la rimozione di contenuti che ritiene violino le normative sul diritto d'autore, con rischi di sanzioni da 150.000 euro.
Sulla stessa lunghezza d'onda critica l'Associazione italiana degli Internet provider: questa normativa «non ha senso», afferma il presidente Dario Denni. «È come se si assegnasse alla società che gestisce la manutenzione della autostrade la responsabilità per quello che fanno gli automobilisti», dice.
Secondo Pancini la normativa “cerca di assegnare ai provider internet le stesse responsabilità delle reti televisive, che producono contenuti, laddove un portale come YouTube si limita a mettere a disposizione la sua piattaforma”».