‘Decreto Romani’: modifiche in vista

Il decreto Romani – in teoria solo di recepimento della normativa europea – è sempre al centro dei giochi politici. In ballo ci sono temi fondamentali come l’Lcn, gli affollamenti pubblicitari, le norme sul Web e sulla produzione di fiction.

Come in altro occasioni, vediamo quanto scrive il sempre attento sito www.key4biz.it:

«Il governo non ritiene di modificare la norma contenuta nel cosiddetto Decreto Romani che prevede una riduzione del tetto massimo pubblicitario dal 18 al 12% in tre anni per quanto riguarda Sky. La conferma è venuta dal sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alla Comunicazione, Paolo Romani.
Saranno però adottati alcuni cambiamenti al Decreto: "Le probabili modifiche riguarderanno il cinema ma faremo chiarezza anche per quanto riguarda il web".
Romani ha quindi spiegato che ci sono stati incontri e discussioni con Google e Yahoo: “discussioni - ha precisato - dalle quali siamo usciti soddisfatti”. Parlando poi delle pay tv, ha sottolineato come, a suo giudizio, nelle fasce protette sia necessario vietare le trasmissioni a contenuto pornografico: 'nonostante i parental control credo che non sia giusto che un bambino di tre anni ma anche un ragazzo di 14 possano accedere a quei programmi. Affronto il tema da laico e da liberale e dico che nelle fasce protette queste trasmissioni devono essere vietate mentre dopo le 23 ognuno può fare ciò vuole'.
Intanto la battaglia sulle competenze dell'ordinamento automatico dei canali della Tv digitale terrestre s'è spostata nelle aule del Parlamento dove le commissioni stanno ascoltando le parti interessate nell'ambito della procedura di approvazione del decreto col quale l'Italia recepirà la Direttiva Ue sui servizi audiovisivi.
Durante l'audizione alla Commissione trasporti della Camera, il presidente Corrado Calabrò è stato molto esplicito: “L'ordinamento automatico è direttamente legato alla possibilità dei cittadini, più volte richiamata dalla Direttiva europea, di fruire dei contenuti innovativi della programmazione digitale. La norma potrebbe affidare all'Autorità il compito di predisporre un piano per la numerazione automatica dei programmi, in particolare per il digitale terrestre”.
L'Autorità, ha sottolineato Calabrò davanti ai deputati, “sta intervenendo ma manca un consolidamento del nostro potere d'intervento nella normativa primaria”. Cioè, manca una legge, un responsabile istituzionale e poteri amministrativi. E non è poco. Il governo, che sta affrontando queste delicatissime tematiche in sede del Comitato nazionale Italia digitale, sta infatti pensando di affidare all'Agcom la possibilità di avviare un vero procedimento amministrativo, con tanto di sanzioni nei confronti di chi non rispettasse le regole che verranno fissate dall'Autorità.
A proposito del capitolo del product placement, Calabrò ritiene che “…la scelta effettuata a favore della (sola) autoregolamentazione su una materia così nuova e di sicuro impatto sui consumatori, non appare in linea con il pertinente quadro giuridico comunitario, né con quello nazionale attualmente in vigore in materia di pubblicità”.
Lo schema in questione ha stabilito i requisiti necessari affinché sia consentito l'inserimento di prodotti in determinati programmi, demandando la disciplina applicativa dei principi enunciati a procedure di autoregolamentazione da parte dei produttori, delle emittenti, delle concessionarie di pubblicità e di altri soggetti interessati e prevedendo che “le procedure di autoregolamentazione” siano semplicemente comunicate all'Autorità.
Ma in questo modo, ha detto Calabrò, in primo luogo l'Agcom “non avrebbe alcun potere di irrogare una sanzione amministrativa per la violazione di una norma autoregolamentare sul product placement, dovendo limitarsi a sanzionare solo la violazione dei principi contenuti nel decreto legislativo (in forza dell'articolo 51 del Testo Unico della radiotelevisione)” e inoltre “appare messo in discussione il principio, contenuto nella legge istitutiva dell'Autorità, in forza del quale è affidato all'Autorità stessa il compito di emanare i regolamenti attuativi delle disposizioni di legge in materia di pubblicità sotto qualsiasi forma e di televendite”.
Questo “in netta controtendenza col ruolo più pregnante che - come ho precisato - la Direttiva assegna alle Autorità indipendenti degli Stati membri e a quello che sta avvenendo negli altri Paesi europei”.
Il presidente dell'Agcom ha aggiunto che “su questo tema, pertanto, il decreto legislativo avrebbe dovuto assegnare all'Autorità un ruolo adeguato nell'individuazione della disciplina di dettaglio, anche al fine di consentire l'espletamento delle conseguenti attività di vigilanza e sanzionatorie”.
Nel nostro ordinamento - ha spiegato il presidente dell'Agcom - “i tetti pubblicitari sono fissati dalla legge. Peraltro, in coerenza con l'ordinamento comunitario, le norme primarie dettate dal legislatore devono essere integrate da una regolamentazione di dettaglio che secondo la legge n. 249/97 spetta a questa Autorità adottare”».

E Calabrò è stato davvero molto critico, come precisa il sito www.newslinet.it:

«Quanto alle posizioni dell'Agcom, il suo Presidente, Corrado Calabrò, al termine dell'audizione davanti alla Commissione Lavori pubblici del Senato, ha parlato in merito di un testo contenente “aspetti che vanno riconsiderati perchè non sono perfettamente coerenti con gli aspetti della direttiva europea” e ha rivendicato il “ruolo” e la “funzione regolatrice” dell'Agcom, la quale dallo schema di decreto vedrebbe “sottratte delle competenze”. Calabrò, oltre a definire la delega attribuita al Governo “molto, molto ampia, con molto pochi criteri direttivi e molto poco dettagliati”, si è espresso duramente nei confronti di quelle disposizioni del provvedimento che stabiliscono l'obbligo di un'autorizzazione preventiva per la diffusione di contenuti audiovisivi on line.
“In Europa non è consentito un intervento preventivo perchè l'autorizzazione preventiva rischia di diventare filtro burocratico” ha dichiarato il Presidente dell'Agcom, secondo il quale, se non si modifica il testo, il nostro Paese rischia di diventare “un caso unico nel mondo occidentale a causa dell'articolo 17 che introduce un'apposita autorizzazione per la diffusione continua in diretta e su internet”. L'Italia, dunque, a suo giudizio, dovrebbe rifarsi alla disciplina europea che prevede interventi repressivi “purché proporzionali e sempre ex post”. Il Presidente dell'Authority, intervenuto anche in merito alle disposizioni sugli investimenti nelle produzioni indipendenti, ha sottolineato che tali produzioni “vanno salvaguardate”, e che pertanto non trovano “giustificazione né la riduzione della quota di investimenti né la sostanziale penalizzazione del cinema italiano, per il quale non è più prevista una sottoquota di garanzia”.
Per Andrea Scrosati, vice presidente Corporate e Market Communication di Sky, “non si comprende la necessità di intervenire su un processo di domanda e offerta che andrebbe lasciato al mercato”. “L'effetto sugli introiti c'è - ha commentato - è sottrattivo, e mette un limite alla crescita e non solo di Sky Italia ma di tutti gli altri editori presenti sulla piattaforma, da De Agostini a Rcs a Elemedia gruppo Espresso a Walt Disney e Fox, che hanno scommesso sull'Italia e puntano sui ricavi pubblicitari per crescere e magari investire nella produzione locale”.
Non dovrebbe invece intervenire sui contenuti del Decreto Romani l'Unione Europea, che prevede (solo) di aprire a breve una procedura d'infrazione contro il nostro Paese per la mancata notifica del recepimento della direttiva entro il termine del 19 dicembre 2009. Il Commissario europeo alle Telecomunicazioni Viviane Reding ha infatti smentito le voci che riferivano di un controllo dell'Ue sul testo dello schema di decreto».

In ogni caso siamo al dunque. Dal Ministero viene infatti fatto presente che, dopo il termine del 4 febbraio per l'emanazione del parere di competenza, il testo definito sarà approvato in un prossimo Consiglio dei Ministri.

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