La fiction su Giuseppe Di Vittorio, messa in onda da RaiUno, tra pregi e difetti, buone intenzioni e ricerca però di aspetti tutto sommato marginali e forzatamente ‘televisivi’ del personaggio. Gli ascolti, comunque, sono stati abbastanza buoni.
La fiction su Giuseppe Di Vittorio, leader della GCIL del dopoguerra, ha avuto buoni ascolti su RaiUno: domenica 15 marzo la prima puntata della fiction ha avuto 5.548.000 spettatori (share del 22,14%), lunedì 16 marzo 6 milioni 86 mila spettatori e uno share del 22.49.
La fiction firmata dalla regia di Alberto Negrin ('Perlasca', 'Bartali', 'L'ultimo dei Corleonesi') è stata prodotta da Carlo Degli Esposti con musiche di Ennio Morricone. Un film-evento sulla personalità di un sindacalista del Sud, autodidatta, figlio di contadini, che copre l'intero arco della vita di "Peppino" Di Vittorio interpretato da un bravo Pierfrancesco Favino. Fiction che ha avuto una lunga gestazione e che era stata fortemente sostenuta da un uomo della fazione opposta di Di Vittorio, Pinuccio Tatarella politico di AN di Cerignola scomparso qualche anno fa, molto legato alla figura del conterraneo Di Vittorio.
Nella prima parte si inizia con l'infanzia del sindacalista quando a otto anni, dopo la morte del padre, viene messo dal Barone a fare lo "spaventa corvi" nei campi con altri bambini, per arrivare all'assalto alla Camera del Lavoro di Bari da parte dei fascisti, mentre sua moglie sta partorendo il secondo figlio Vindice. Poi ci sono i primi scioperi, la morte dei compagni per mano dei latifondisti che aumentano la repressione, l'elezione a deputato socialista e l'esilio dopo la condanna a 12 anni di carcere da parte del Tribunale speciale.
Nella seconda parte c'è la parte di vita forse politicamente più intensa di Di Vittorio. L'attività politica e l'esilio a Mosca e Parigi, la guerra di Spagna, il conflitto con Togliatti e il Partito Comunista, al quale si era iscritto nel 1924 alla firma del patto Molotov-Ribbentropp, la profonda amicizia con Grandi e Buozzi (ben interpretato da Francesco Salvi) e tutte le vicende personali, dalla morte della moglie Carolina all'incontro con Anita, al ferimento del figlio partigiano.
Troppa roba, però, che correva troppo veloce, quasi per flash ma che era impossibile non mettere nella sceneggiatura, considerata la vita intensa del sindacalista. E questo ha appesantito eccessivamente la fiction, che insisteva tropo sugli aspetti personali ed era condita da una forte dose di "buonismo". Troppo netta, infatti, la contrapposizione tra il buono (Di Vittorio), per il quale non è stato fatto assolutamente nessun accenno alla posizione favorevole all'interventismo nella prima guerra mondiale, e il figlio del Barone, il cattivo di turno.
Una buona fiction, tirando le somme, se considerata però come 'feuilleton', un po' meno per chi consoce bene la vita del sindacalista di Cerignola. Anche se è vero che in base ad un sondaggio è emerso che circa il 90% degli italiani non sapeva chi era Di Vittorio.
Elena Romanato