Dossier: l’Agenda (non) digitale italiana

Nata con l’obiettivo di modernizzare il Paese e far risparmiare 12 miliardi di euro alle casse dello Stato, a distanza di due anni si è dimostrata un fallimento pressoché totale: se né parlato nella giornata sulle “politiche digitali” promossa da Sinistra e Libertà il 14 marzo.

Il bilancio dell'“Agenda Digitale” italiana, a due anni dalla sua creazione (era stata sostenuta nel 2012 dal Governo Monti), risulta purtroppo impietoso. A certificarlo istituzionalmente, è stato lo scorso 5 febbraio uno studio del Servizio Studi Commissione Trasporti della Camera dei Deputati. Un dato sintetico e sintomatico: sui 55 adempimenti da portare a termine entro il 2013 (uno tra tutti, esemplificativamente: il fascicolo sanitario elettronico), ne sono giunti a compimento solo 17. Ben 21 adempimenti risultano “scaduti”, anche se l'attuale Premier Renzi potrebbe intervenire laddove Letta ha preferito non attivarsi.

Lo studio evidenzia infatti che la responsabilità di questa situazione non è attribuibile solo all'Agenzia tardivamente nata, ma anche al Presidente del Consiglio Enrico Letta, il quale avrebbe potuto “sbloccare” alcuni progetti anche senza il parere dei Ministri.

Del cattivo funzionamento della nostra Agenda Digitale, si è preoccupata anche l'Unione Europea, che ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia.
Quello del digitale si configura quindi come un tema “bollente”, soprattutto perché centrale e strategico per promuovere una reale rigenerazione dell'economia ed una crescita significativa dell'occupazione nel nostro Paese. Una questione strategica che va ben oltre il pur importante obiettivo di ridurre la spesa dello Stato - grazie ai vari interventi previsti nell'Agenda Digitale - nell'ordine di 12 miliardi di euro.

Venerdì 14 marzo 2014 a Roma, il gruppo Sel - Sinistra Ecologia e Libertà - ha organizzato una giornata di riflessione e confronto sull'argomento, che è stato analizzato sotto diversi punti di vista. Il titolo della kermesse è stato “Le politiche per l'Italia digitale. Start up, smart cities, PA innovative, Internet e telecomunicazioni”. Si segnala che la registrazione video dell'iniziativa è disponibile sul sito web di Radio Radicale.

Che anche i partiti di sinistra non brillino per priorità assegnata alle tematiche del digitale è stato ben denunciato in un post di Massimo Mantellini del 18 febbraio 2014 su “Punto Informatico”, dal titolo “Programmi dei partiti deludenti sull'agenda digitale”. Si tratta di un'analisi critica discretamente impietosa, dalla quale estrapoliamo alcuni interessanti passaggi. Scrive Mantellini, senza peli sulla lingua: “Il Partito Democratico per esempio, nel suo programma ufficiale, praticamente dell'Agenda Digitale non parla: ha prodotto una serie di documenti collegati su vari argomenti, tra cui uno sul digitale, ma la discussione pubblica di Bersani e dei suoi in campagna elettorale ha sostanzialmente ignorato l'argomento, dedicandosi invece, con entusiasmo e passione, ad altri temi (uno dei preferiti dal segretario del Pd sembra essere l'edilizia). L'impressione che il Partito Democratico tenga modestamente in conto il futuro digitale del Paese viene anche rafforzata dal fatto che molti degli esperti digitali che erano scesi in campo a fianco di Matteo Renzi durante le Primarie non sono stati inseriti fra i candidati alle prossime elezioni. Alcuni di questi, da Stefano Quintarelli a Salvo Mizzi, hanno poi trovato spazio nelle liste di Scelta Civica di Mario Monti, altri come per esempio Juan Carlos De Martin, professore del Politecnico di Torino e grande esperto di reti, sono stati sostanzialmente rifiutati dal Pd, che, evidentemente, sulle scelte digitali per il Paese pensa di poter fare da solo.

Il risultato è che la punta di diamante dello schieramento digitale del Partito Democratico è oggi Paolo Gentiloni, politico democristiano di lungo corso e deludente ex ministro delle Comunicazioni del passato governo Prodi. Ancor più impressionante a sinistra il silenzio assoluto sui temi del digitale di Sinistra Ecologia e Libertà.

Il programma del movimento di Nichi Vendola dedica 45 pagine ai temi più disparati (compreso il fracking) ma sostanzialmente ignora Internet, la politica delle reti, la digitalizzazione del Paese. Che per un movimento di sinistra è una scelta piuttosto inconsueta e di assoluta retroguardia.

Il Movimento 5 Stelle ha invece come è noto una storia sua personale di grande vicinanza con la Rete. Il programma elettorale dei grillini è molto spettacolare, talmente tanto da risultare spesso semplicistico ed inapplicabile. Per esempio il M5S dice che intende ridurre il copyright a 20 anni quando si tratta ovviamente di un tema di dimensioni sovranazionali o propone di innalzare ripetitori Wimax (Wimax?) per le connessioni mobili, anche se non si comprende pagati da chi. In ogni caso il programma esiste e prevede, per chi ci crede, una santificazione della rete Internet come nessun altro - se non forse il Partito Pirata - propone in nessuna parte del mondo”.

Il convegno promosso da Sel sembra quasi rappresentare una reazione alla denuncia di Mantellini: un conato di attivismo di Sinistra e Libertà, una rivendicazione di impegno?!
Numerosi gli interventi istituzionali, soprattutto nella sessione mattutina.

Moderata da Arturo Di Corinto (mediologo attivista di Sel) prima e Raffaele Barberio (direttore di “Key4biz”) successivamente, la kermesse ha offerto numerosi spunti, ed anche molti dati scoraggianti su cui riflettere. La sessione mattutina è stata suddivisa in tre panel: “lo scenario”, “la pubblica amministrazione”, “la politica”. Nel pomeriggio, è stato affrontato il panel “regole, opportunità, mercati”.

Stefano Rodotà, in apertura, si è soffermato su tecnologia, politica e diritti. Partendo dall'assunto che internet ha cambiato il volto della società, ha ribadito la necessità di rendere la rete un servizio aperto a tutti, anche per ampliare la base del discorso democratico: “La conoscenza è stata democratizzata dalla rete, ma l'accesso alla conoscenza è ancora difficile”. La conoscenza quindi intesa come bene pubblico globale che deve esser reso fruibile attraverso la rete internet. Per quanto riguarda le concentrazioni di potere nelle mani dei colossi della rete, si è soffermato sui diritti dei nuovi “popoli della rete”, chiedendosi “Se Facebook cambia le regole di ingaggio, non dovrebbe consultare i suoi milioni di iscritti?”. Ci permettiamo di dissentire, dato che - volens nolens - i “big” della rete, o “ott” che dir si voglia, sono aziende private che mirano ai propri profitti, governate dalle regole del marketing, e non aspirano certo ad un modello di “governance” degno della polis greca. La tesi di Rodotà implicherebbe una revisione del concetto di libertà d'impresa, alla luce delle nuove tecnologie, ma riteniamo si tratti di ardita teorizzazione.

Vincenzo Vita, invitando a riflettere molto seriamente su questo grave ritardo italiano, ha sottolineato che il digitale non è una “tecnica”, bensì una “scelta politica”. Parlando di frequenze (altro tema scottante… dall'allora “beauty contest” sono passati oltre due anni, e forse la vicenda si risolverà solo la prossima estate), ha proposto l'allocazione di una parte di frequenze sottoutilizzate ad associazioni, università, centri di ricerca… Insomma, frequenze come “bene comune”.
Certamente un gran bel proposito, ma è poco probabile che riesca ad avere concrete chance di attuazione.

Guido Scorza ha aperto il proprio intervento citando gli impietosi dati della “Digital Agenda Scoreboard”: l'Italia è prima in Europa soltanto per numero di soggetti che non hanno mai utilizzato internet! “Del resto - ha commentato - l'Agenda per l'Italia digitale ha impiegato un anno e mezzo per avere uno Statuto e ancora non ha un comitato di indirizzo…”. Il problema, secondo Scorza, è da attribuirsi ad una complessiva miopia politico-strategica. Nel 2010, l'allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta scelse di non investire 800milioni di euro per il digitale, sostenendo che sarebbe stato più opportuno attendere l'uscita dalla crisi… Una strategia se non altro “atipica”, visto che in Europa tutti gli altri Paesi investivano nel digitale proprio per uscire dalla crisi. L'avvocato ha quindi ribadito la necessità di un'inversione di tendenza, per permettere all'Italia di tornare ad essere “il colonizzatore culturale per eccellenza”.

In chiusura, si è interrogato su come l'Agcom - in fase di “spending review” (tanto che arriva a chiedere consulenze ai ricercatori a titolo gratuito) - abbia potuto reperire 500mila euro da affidare alla Fondazione Bordoni per la piattaforma di monitoraggio per il diritto d'autore online.

Carlo Mochi Sismondi (fondatore del Forum della Pubblica Amministrazione) ha sottolineato il risparmio enorme che si potrebbe avere (in termini di tempo e costi) grazie all'informatizzazione delle pubbliche amministrazioni. Ha inoltre evidenziato con preoccupazione come manchino 120mila informatici con competenze specifiche nel Paese. Da una parte, quindi, la disoccupazione dilagante; dall'altra, assenza di personale specializzato. Paradossi di un Paese… digitalmente arretrato.

“Le competenze mancano, ma non sono del tutto assenti - ha commentato Giulio De Petra (Fondazione Ahref) - , tanto che laddove ci sono figure formate si creano vere e proprie best practice”.

“La pubblica amministrazione conosce ben poco se stessa, e va modificato il rapporto tra la norma e la sua implementazione”, è il parere di Francesco Sacco dell'Agenda Digitale italiana.

Franco Bassanini (dominus della controversa Cassa Depositi e Prestiti) ha mostrato grande preoccupazione verso il ritardo infrastrutturale, anche rispetto alla rivoluzione dell'istruzione che, in assenza di rete ultra-broadband nelle scuole, non si potrà compiere. Per realizzare reti di accesso primaria e secondaria, occorrono 10 miliardi di euro, risorse di cui l'Italia non dispone al momento. Per incentivare gli investimenti, ha suggerito meccanismi di credito d'imposta.

Nel panel “La politica”, sono intervenuti Paolo Coppola (Partito Democratico), Antonio Palmieri (Forza Italia), Linda Lanzillotta (Scelta Civica) e Paolo Gentiloni (Partito Democratico). Pur da punti di vista naturalmente diversi, tutti hanno concordato sulla centralità che il digitale dovrebbe occupare nell'agenda di Governo. Attualmente, tutti sembrano riporre grandi speranze sul neo premier Matteo Renzi. Paolo Gentiloni ha sottolineato - in particolare - che, in assenza di un'adeguata infrastruttura di rete, le aziende continueranno la delocalizzazione; ha quindi proposto una “cabina di regia” a palazzo Chigi che coordini l'Agenda digitale e le altre attività legate all'innovazione tecnologica nel mondo della scuola, dell'economia, della Pa…”.

Nel panel pomeridiano “Regole opportunità mercati”, riguardo al ruolo dell'Autorità per la crescita del Paese, è intervenuto il brillante neo-Commissario Agcom Antonio Nicita, che, da una parte, ha sottolineato il ruolo trainante del digitale, e, dall'altra, ha enfatizzato le continue trasformazioni in atto, che determinano un problema di continuo adattamento. Il Commissario ha quindi annunciato una Indagine Conoscitiva “Machine to Machine” avviata dall'Agcom, che mira ad analizzare la nuova frontiera tecnologica e gli scambi tra “device” (si ricorda che la tecnologia “Machine-to-Machine”, nota anche con l'acronimo “M2M”, consente di inviare dati da un dispositivo remoto a un server applicativo senza la necessità dell'intervento umano).

Nicita ha quindi sottolineato che il deficit strutturale italiano è a due versanti: certamente dal lato dell'offerta (le reti), ma anche dal lato della domanda (richiesta di banda dei cittadini), aspetto, quest'ultimo, spesso trascurato. Studi recenti (ultimo quello dell'Ocse) hanno peraltro evidenziato quanto il marketing digitale favorisca la crescita economica, la creazione di nuova occupazione, ed incrementi - in generale - la qualità della vita.
Se da una parte l'Italia - stando ai dati dello Scoreboard europeo - è prima per numero di smartphone per abitante, dall'altra siamo gli ultimi in termini di capacità di sfruttare i servizi.

A livello di politiche concrete, Nicita ha suggerito l'utilizzo di banda mobile nelle aree a digital divide. Ed ancora ha riproposto il tema dell'uso condiviso delle frequenze, gran parte delle quali sono sotto il controllo militare, in tutto o in parte inutilizzate. L'uso condiviso consentirebbe banda larghissima utile a portare, in modo immediato, banda in zone dell'Italia che altrimenti resterebbero scoperte ancora a lungo.

Fulvio Sarzana si è focalizzato sul problema della trasparenza delle autorità come Agcom, partendo dalla constatazione che il cittadino conosce le decisioni dell'Autorità soltanto attraverso le delibere, “perdendo” tutto quanto accade durante i consigli, chi vota contro, la “dissenting opinion”… ha peraltro rimarcato che l'accesso civico, previsto per legge, viene di fatto spesso negato.

Quanto all'incompatibilità dei Commissari per i successivi 4 anni, ritiene che la norma andrebbe estesa anche ai dirigenti dell'Autorità. In chiusura, ha sostenuto, “se Renzi ha dichiarato di voler costruire una 'casa di vetro', ebbene, si inizi con la trasparenza nelle Autorità”.

Nicita ritiene la trasparenza doverosa, ma è incerto su come raggiungerla. Ad esempio, siamo sicuri, si è domandato, che lo streaming in Parlamento consenta maggiore trasparenza? La coscienza di essere “osservati” spesso altera i nostri comportamenti (vale in antropologia così come… in politica!).
Robert Castrucci (Fondazione Bordoni, tra l'altro incaricata dal Mise di seguire il piano di allocazione e risolvere i problemi relativi alle interferenze) si è soffermato sulla riallocazione dello spettro, sottolineando l'esponenziale crescita che prevista nei prossimi anni soprattutto sul fronte mobile, e la prospettiva positiva del “Licensed Shared Access” ovvero l'uso condiviso di porzioni di spretto.

Nicola D'Angelo (già Commissario per il Garante delle Comunicazioni durante la Presidenza Calabrò) ha sostenuto che sono assai discutibili le critiche avanzate al Governo per non aver nominato un sottosegretario o un commissario per l'agenda digitale, visto che figure come quelle non hanno in verità mai inciso “in sé” in alcun modo sullo sviluppo digitale. Il punto risiede invece nel rendere di facile accesso le tecnologie, in modo tale da far crescere lo strumento.
Michele Mezza (giornalista Rai e mediologo) è stato molto critico rispetto all'approccio della giornata, che ha essenzialmente assimilato internet alle tlc ed alla comunicazione tout-court: “Il computer - ha sostenuto - non serve per la pubblica amministrazione, ma ha riprogrammato l'intera vita dell'uomo”.
In ambito digitale, è peraltro convinto si debba ripartire dai singoli territori, assegnando le competenze alle Regioni e non allo Stato centrale.

Antonello Busetto (Assinform) ha sostenuto: “Il nostro Paese è fortemente informatizzato, in termini di infrastrutture, ma non di servizi. È qui che si deve vincere la scommessa. Il 37% degli italiani (la media Ue è del 22%) non ha mai usato internet in vita sua. È da qui che si deve partire per rilanciare la crescita".


In chiusura Stefano Trumpy (Cnr e Presidente della Internet Society Italia) ha ribadito l'esigenza di una cabina di regia che coordini e promuova l'innovazione tecnologica, tema che ormai trasversalmente tocca quasi tutti i settori dell'economia e della vita.

Si è trattata di una giornata di riflessioni certamente stimolanti, anche se non particolarmente innovative. Da segnalare peraltro la totale incredibile assenza di rappresentanti dei produttori di “contenuto” (imprese ed autori): come se si potesse ancora ragionare di “politiche digitali” isolando le economie/ecologie dei contenitori e dei media dalle economie/ecologie del “content”. Come se “le politiche per l'Italia digitale” non riguardino anche - direttamente (e non indirettamente) - le politiche culturali e le industrie creative. Uno dei tanti deficit di “policy” del nostro Paese è questo perdurante “isolamento” tra industria culturale e industria mediale e delle tlc: le politiche per il digitale dovrebbero essere in verità il frutto dialettico di una convergenza strategica tra queste dimensioni. Ma questa convergenza sembra purtroppo sfuggire anche al Pd, a Sel, a M5S.

Da registrare, conclusivamente, una diffusa grande aspettativa - pur nelle diversificate posizioni - nei confronti di… Matteo. Tanta è la frustrazione per il disinteresse concretamente dimostrato dai precedenti governi, che la speranza nei confronti del neo-Premier è veramente enorme, anche da parte della comunità “digitale” italica.

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