È legge la nuova governance della Rai

 

È stata definitivamente approvata dal Senato la riforma della governance della Rai, uno dei provvedimenti più ‘annunciati’ del Governo Renzi (si ricorderanno le vicende della scorsa estate, quando, pur dopo aver presentato un provvedimento in fondo poco ‘rivoluzionario’, il Presidente del Consiglio preferì provvedere al rinnovo del Cda Rai e del direttore generale con le vecchie regole della Gasparri).

La Rai avrà la figura dell'Amministratore Delegato, un Consiglio di Amministrazione più snello e non più di derivazione della Vigilanza e un presidente di garanzia.

Ma cosa prevede nei dettagli la riforma?

L'AD, in base all'art. 2, sarà nominato dal Cda (che può anche revocarlo) su proposta dell'assemblea dei soci (il Ministero dell'Economia), rimarrà in carica tre anni e sarà anch'egli revocabile. L'AD nominerà i dirigenti, tuttavia per le nomine editoriali dovrà avere il parere del Cda (nel caso dei direttori di testata, il parere sarà vincolante se approvato a maggioranza dei due terzi).

Il top manager, inoltre, assumerà, nominerà, promuoverà e stabilirà la collocazione anche dei giornalisti, su proposta dei direttori di testata. Potrà firmare contratti fino a 10 milioni di euro.

Un’importante norma transitoria, fortemente voluta da Renzi,  attribuisce già adesso in via provvisoria al Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto (pur nominato con le norme della Gasparri e in presenza di un Cda eletto con quelle regole) i compiti e i poteri spettanti in futuro all'AD. Vedremo presto cosa questo comporterà per l’attuale gruppo dirigente del servizio pubblico.

Spetterà all'AD provvedere anche all'attuazione del piano industriale e del preventivo di spesa annuale e, sentito il parere del Consiglio di amministrazione, definire i criteri e le modalità per il reclutamento del personale e quelli per il conferimento di incarichi a collaboratori esterni; inoltre, proporre all'approvazione del Cda il (nuovo) Piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale.

Il presidente della nuova Rai sarà invece anche in futuro ‘di garanzia’, e sarà nuovamente nominato dal Cda tra i suoi membri, purché abbia il parere favorevole della Commissione di Vigilanza con i due terzi dei voti.

Il Cda sarà composto da sette membri al posto degli attuali nove. Quattro saranno eletti da Camera e Senato, due nominati dal Consiglio dei ministri su proposta dell'Economia e uno designato dall'assemblea dei dipendenti (e questa sarà un’altra grossa novità), fra i titolari di un rapporto di lavoro subordinato da almeno tre anni con la Rai, con modalità che garantiscano trasparenza e rappresentatività.

Al Cda sarà affidata l'approvazione del piano industriale e del piano editoriale, del preventivo di spesa annuale, degli investimenti di importo superiore a 10 milioni di euro, degli atti e dei contratti aziendali aventi carattere strategico.

Sul fronte della trasparenza, è prevista la pubblicazione dei compensi dei soggetti, diversi dai titolari di contratto di natura artistica, superiori ai 200mila euro. Ai componenti degli organi di amministrazione e controllo della Rai, ad eccezione dell'amministratore delegato, si applicherà il ‘tetto retributivo’ di 240 mila euro.

Fra i requisiti per le nomine, si inserirà l'onorabilità, prevedendo, inoltre, che la composizione del Cda sarà definita favorendo, fra l'altro, la presenza di entrambi i sessi e l'assenza di conflitti di interesse. Vengono introdotte, inoltre, alcune cause di incompatibilità, fra le quali il ricoprire, o aver ricoperto nei 12 mesi precedenti la data della nomina, la carica di ministro, vice ministro o sottosegretario di Stato.

Non potranno essere nominati membri del Cda coloro che si trovino in stato di interdizione dai pubblici uffici, anche temporanea, ovvero in stato di interdizione legale o temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. L'incompatibilità varrà anche per coloro che: saranno sottoposti a una misura di prevenzione personale o patrimoniale disposta dall'autorità giudiziaria, salvi gli effetti della riabilitazione; saranno stati condannati con sentenza definitiva alla reclusione per uno dei delitti in materia di società previsti dal codice civile; saranno stati condannati con sentenza definitiva alla reclusione per un delitto contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, il patrimonio, l'ordine pubblico, l'economia pubblica, ovvero per un delitto in materia tributaria; saranno stati condannati con sentenza definitiva alla reclusione per un tempo pari almeno a 2 anni per qualunque delitto non colposo.

Il provvedimento attribuisce, inoltre, al governo la delega ad adottare entro un anno un decreto legislativo per la modifica del testo unico dei servizi 'media': oltre alla semplificazione delle norme vigenti, i criteri direttivi prevedono indicazioni volte a favorire contenuti destinati ai minori, diffusione di trasmissioni in lingua tedesca e ladina (province di Bolzano e Trentoi), francese (Val d'Aosta) e sloveno (Friuli).

L'art. 2 del testo fa salve le funzioni di indirizzo generale e di vigilanza del servizio pubblico attribuite alla Commissione parlamentare di Vigilanza, alla quale il Consiglio di Amministrazione deve riferire ogni 6 mesi sulle attività della concessionaria, consegnando l'elenco degli ospiti partecipanti alle trasmissioni.

Complessivamente, dicevamo già mesi fa, una legge che, nonostante i mille proclami ‘rivoluzionari’ dell’inizio, riforma molto relativamente l’elezione e i poteri degli organi dirigenti della Rai, anche se appare evidente la volontà di attribuire più poteri a un ‘uomo solo’ (l’AD e l’attuale DG) e di dare un ruolo più ‘incisivo’ al Governo, senza peraltro togliere del tutto competenza alla ‘famigerata’ Commissione di Vigilanza.

Molto negativi i commenti delle opposizioni, della Federazione della Stampa e dell’Usigrai, che fanno notare la concentrazione dei poteri nelle mani del Governo, con la contemporanea clamorosa crescita (almeno potenziale) delle entrate Rai per via del ‘canone in bolletta’ previsto dalla Legge di Stabilità.

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