È stato molto severo il Tar del Lazio sospendendo la sentenza negativa dell’Autorità delle Comunicazioni presieduta da Enzo Cheli a proposito dell’acquisto di TeleMontecarlo da parte del gruppo Seat – Telecom.
Il presidente Elefante - un nome fra l'altro adatto alla circostanza - ha cancellato (per ora) la decisione dell'Authority, le ha imposto - disposizione davvero singolare - di riesaminare la questione entro 15 giorni e ha addirittura fatto capire che per la discussione di merito allo stesso Tar, fissata per il 28 marzo, esiste già un "orientamento di massima" favorevole a Telecom.
"En plein", dunque, per Colaninno e Pelliccioli, attenuato solo dall'opposizione sorda ma già evidente della stessa Authority (che ritiene l'operazione Tmc ugualmente "bloccata" e forse ricorrerà al Consiglio di Stato) e dal tentativo (se davvero vi sarà) di Cecchi Gori di alzare a questo punto il prezzo della vendita.
La sentenza del Tar salva poi una situazione davvero difficile per Seat, anche perché se non fosse arrivata entro il 31 gennaio l'intera operazione sarebbe stata compromessa, date le scadenze previste dal contratto, e ridà fiato ai sostenitori del "terzo polo televisivo".
Ma per Seat-Telecom la strada è ancora in salita, perché quello che già si intravvede è un formidabile groviglio a livello legale, peraltro assolutamente abituale nel campo televisivo, ma soprattutto perché le opposizioni a livello politico sono ancora molto forti e promettono di infittirsi dopo le elezioni, se davvero il successo andrà al Polo.
Da parte nostra non possiamo che ribadire quanto già espresso nell'editoriale di 15 giorni fa: che debba nascere un terzo polo Tv (e magari un quarto, un quinto ecc.) è una situazione assolutamente auspicabile, a tutela di un pluralismo politico-economico che un duopolio di ferro da anni certamente non assicura.
Una qualsiasi applicazione di reali principi anti-trust (cui l'Authority, così ligia nel constatare i problemi di 'monopolio' di Telecom, non può essere indifferente) non può che colpire alla base un sistema bloccato da anni su un "duo" pubblico-privato senza paragoni possibili in Europa, per giunta aggravato in modo sostanziale dal fatto che da una parte uno dei due unici "contendenti televisivi" è di proprietà pubblica (e per vederlo si paga un canone) e dall'altra parte dal fatto che l'azionista di riferimento del "polo televisivo privato' è un leader politico di prima grandezza e aspira alla Presidenza del Consiglio.
Non poteva essere Cecchi Gori - per la natura del prsonaggio e per la limitata forza del suo gruppo - a insidiare sul serio Rai e Mediaset.
L'entrata in scena di un gigante come Telecom può spiegarsi solo in questa chiave, considerando che, per legge, i più forti editori di carta stampata in questo momento non possono fare Tv (e per non cambiare questa legge il Polo in queste ore sta facendo le barricate in Parlamento).
Un cosa, insomma, è certa: il duopolio non è più difendibile, considerato come, a livello europeo la situazione sia ben diversa in ciascun Paese e considerato come i pur molti soggetti presenti nel mondo televisivo italiano siano condannati tuttora a restare ai margini, fuori dai "giri che contano"; tutta la situazione dei media, in grande movimento anche in Italia, richiede regole nuove e un sistema non più imbalsamato.
Il tutto senza considerare che non c'è democrazia senza pluralismo, in televisione come in qualsiasi altro campo, soprattutto nell'ambito dei media.
Forse la strada sarà ancora lunga, ma che si debba andare verso un assetto diverso (che preveda anche un ruolo più preciso e definito per la Rai e magari anche una sua parziale privatizzazione) sembra inevitabile.
La sentenza del Tar di Elefante potrà un giorno essere considerata una tappa importante su questo cammino.