Come la Tv ha creato l’Italia post-moderna. Il saggio di Carlo Freccero “Televisione”.
Tra i tanti libri che hanno come oggetto la Televisione sino a ieri ne mancava uno firmato da Carlo Freccero. Adesso la lacuna è colmata. Per Bollati Boringhieri il direttore di Rai 4 ha appena scritto “Televisione”, un saggio dedicato innanzitutto agli studenti - Freccero è docente di linguaggio televisivo e comunicazione all'Università di Roma Tre e di Genova - ma anche una biografia intellettuale e professionale dell'autore, che si toglie lo sfizio di citare gli autori a lui più cari, quelli degli anni della contestazione, la scuola di Francoforte, i post-strutturalisti francesi, oltre naturalmente a Marshall McLuhan. “Della cui intuizione fondamentale - spiega Freccero - mi sono sempre servito per il mio lavoro”.
La Tv in quanto media, quindi, coi suoi meccanismi, le coordinate teoriche, le evoluzioni, partendo dagli albori della Tv pedagogica per arrivare dopo una lunga galoppata sino al panorama multimediale odierno, dove il mezzo, ormai uscito dallo schermo unico, è entrato nei tanti schermi offerti dalle nuove piattaforme digitali. Ma anche la Televisione come prisma attraverso il quale imbastire una ricognizione della storia d'Italia degli ultimi 40 anni.
La Tv dispiega il suo immenso potere taumaturgico negli anni '80 con l'avvento della post-modernità, ci spiega a un certo punto Freccero. Sull'onda di un nuovo capitalismo che, abbandonata la fabbrica, si sposta al mercato, si diffonde l'idea che la cultura di massa possa essere buona, qualora sia il risultato della partecipazione di tutti alla sua costruzione. Nasce la breve e intensa stagione delle Tv libere, ma è sotto le insegne ruspanti della Tv commerciale che prende il via un immenso processo di secolarizzazione. La neotelevisione impone una realtà tutta nuova, non di rado trash e volgare, che ridisegna il gusto medio degli italiani.
Storia e autobiografia si mischiano sino a confondersi, Freccero è stato uno dei suoi protagonisti del boom di Canale 5, Italia 1 e Rete 4. La neotelevisione propugna valori nuovi come il disimpegno, l'affermazione individuale, i consumi, ma anche un nuovo senso di libertà dalle regole, da ogni forma di rispetto per gerarchie e poteri. Politica, partiti e ideologia vanno nel dimenticatoio, la gente non crede più ai messaggi calati dall'alto, vuole partecipare e avere successo.
La stessa cultura, da valore sacro, patrimonio di pochi, si trasforma in un bene di consumo.
Tutte cose in sé positive e difatti Freccero non abiura quel periodo, anche se è consapevole che la Tv è votata alla semplificazione, all'impoverimento del messaggio. Se il suo contenuto non è altro che l'immagine, nel flusso disordinato e divertente della Tv commerciale l'immagine si spoglia di qualsiasi senso perché nei palinsesti il futile e il drammatico sono posti sullo stesso piano.
La torsione innaturale avviene quando la Tv a un certo punto trasferisce la sua logica alla politica. Qui iniziano i guai e si rompe anche il legame tra Freccero e Silvio Berlusconi. È proprio il Cavaliere - complice una Sinistra che ignora cosa stia accadendo - a elaborare una teoria della politica che è un adattamento al nuovo contesto delle tesi sulla audience, “un criterio quantitativo che applicato alla politica crea una democrazia della maggioranza”.
Per il populismo berlusconiano la democrazia non deve più preoccuparsi di tutelare i diritti delle minoranze, bensì di affermare la dittatura della maggioranza, in quanto “non esiste un diritto o un bene superiore alle scelte della maggioranza”.
Berlusconi rivoluziona profondamente la comunicazione politica, alla filosofia sostituisce il marketing e con i sondaggi rileva le opinioni della gente, il nuovo sapere riconosciuto della civiltà post-moderna. Il consenso si ottiene padroneggiando le tecniche della comunicazione non per imporre dei contenuti ma per guadagnare visibilità. La politica spettacolo diventa la nuova forma di discorso pubblico che trova il suo topos nella Televisione generalista.
Se al politico si chiede di intrattenere il suo pubblico proprio come fanno il gossip e l'infotainment, alla gente non si chiede più comprensione ma identificazione ed emozioni. La saldatura tra politica e Tv generalista è un fatto che trova un vasto seguito nelle periferie profonde del Paese, il politico in Tv cerca visibilità e la Tv lo asseconda mettendo in scena la sua vita privata, esaltando la sua telegenia.
Ma per Freccero l'Homo Videns è solo un passaggio dell'evoluzione dei media non il risultato finale. Se sono stati i media più che le dinamiche materiali a disegnare la società italiana di oggi, anche nel futuro saranno i media a operare un cambio di mentalità. Oggi con l'avvento della seconda rivoluzione che ha il suo centro nel digitale e nelle reti, l'egemonia della Tv generalista è entrata in crisi (solo grazie agli eventi rimarrà un medium maggioritario) e i capisaldi della neoTelevisione si sono esauriti.
Le verità del passato - la maggioranza, la visibilità, l'audience - stanno lasciando il posto a una nuova episteme. “Nell'epoca della pay-tv e di internet al pubblico sono subentrati i pubblici”, dalla maggioranza si passa alla moltitudine, cioè a un insieme di singolarità. Oggi con i nuovi media interattivi è possibile coniugare produzione di massa e personalizzazione. La Tv, dal canto suo, ha invaso nuovi schermi e costruito un pubblico attivo.
La pay-tv, ad esempio, organizzata a partire dalle differenze culturali di genere, fornisce un prodotto specifico in grado di soddisfare desideri personalizzati. Questa tendenza arriva alle estreme conseguenze con l'uso individuale della massa sconfinata di contenuti presenti sul Web. In questo senso il compito delle nuove reti digitali è di scovare contenuti idonei per un concetto di moltitudine.
Freccero individua due filoni: il culto e il web. I prodotti di culto implicano una vera dipendenza, spesso sono materiali trash che si rivolgono a un pubblico di nicchia, mentre il materiale della rete potrebbe dar vita a una nuova forma di Tv “sporca”, ancora tutta da inventare.
Ma già oggi la Tv sta dimostrando di essere in grado di rappresentare nuove forme di complessità con la fiction “alta” dei telefilm americani che non cattura la realtà, ma l'immaginario collettivo, in quanto spia dell'inconscio post-moderno. Secondo Freccero c'è anche spazio per progettare un nuovo servizio pubblico “pedagogico”, a patto che sia in grado di spaziare tra culture diverse e valorizzare l'intelligenza degli spettatori.
Curiosamente le parole d'ordine sono le stesse della Rai di Bernabè: educare, divertire, informare. Solo riadattate ai tempi.