FUS: un diverso punto di vista

Il Governo annuncia un (molto) parziale reintegro del famoso FUS, il Fondo Unico per lo Spettacolo il cui taglio ha provocato mille proteste. Ma c’è un anche un altro modo di guardare alla questione, come evidenzia il nostro amico e collaboratore Dom Serafini…

Ecco la 'diversa opinione' di Dom Serafini, davvero interessante, riferita al settore audiovisivo:

«In inglese “fuss” vuol anche dire capricci ed in italiano “Fus” sta per Fondo unico per lo spettacolo: in pratica un programma di assistenza finanziaria per circa 60 ricchi produttori cinematografici italiani. Una volta funzionava in questo modo: tramite un ristretto circolo di supporto che includeva politici, avvocati e banchieri, i produttori richiedevano ed ottenevano dallo Stato, ad esempio, due milioni di euro per un film. Di questi, uno andava filato nello loro tasche e l'altro serviva per produrre il film, che, naturalmente, nessuno finiva per vedere.
Anzi, il sistema di assistenza faceva sí che fosse addirittura controproducente farlo uscire nelle sale cinematografiche in quanto avrebbe fatto scattare un meccanismo per il quale i fondi statali dovevano essere restituiti. Allora era meglio che il produttore facesse sí che i film rimanessero nelle casseforti della Banca Nazionale del Lavoro.
Questo per spiegare brevemente in quale ambiente sia cresciuta l'industria italiana dello spettacolo. Con il tempo, il Fus ha cambiato un po' il meccanismo, ma non il sistema ed ora che funziona in forma ridotta, i produttori italiani non sanno quali pesci pigliare. Anzi lo saprebbero, poiché potrebbero attingere dai tanti sistemi vincenti praticati in Canada, Stati Uniti ed Australia, ma non sono consoni alla loro lifestyle, pertanto ignorati.

Ci sarebbero anche esempi provenienti da Brasile, Argentina e Messico. In pratica ci sarebbe l'imbarazzo della scelta di un modello di sistema industriale per la produzione televisiva e cinematografica, tenendo conto che, ai giorni nostri, il settore televisivo é quello trainante. Ma per i produttori italiani la via migliore é quello di indispettirsi contro il governo e, se non bastasse, anche fare capricci per aversi visto dimezzare il Fus da 456 milioni nel 2008 a 380 nel 2009 (di questi al cinema vanno 70 milioni. La Tv é esclusa). Oltre ai fondi regionali (due) e a quelli europei (33).

A mio avviso, per un Paese come l'Italia, schiacciato da una gigantesca Hollywood, i contributi statali sono importanti, se non addirittura necessari; devono includere la Tv e vari tax shelter e tax credit. Ma a patto che questi non servano semplicemente a mantenere il lifestyle dei produttori, le loro ville con piscina a Monte Mario (Roma), i loro Rolex d'oro, sigari cubani e le “papi-girl”, bensí a sostenere un'industria che, oltre a produre profitti, serva a promuovere il Sistema Italia nel mondo, perché i prodotti audiovisivi venduti all'estero costituiscono la migliore promozione per il Made in Italy.

Come dovrebbe quindi essere questo Fus senza fuss?
Per prima cosa, lo Stato dovrebbe imporre che almeno il 40% della programmazione televisiva e cinematografica sia di “origine” italiana ed il 30% proveniente da produttori indipendenti (cioé non legati a societá televisive e distribuzione). Il concetto di “origine” a, sua volta, ha bisogno di chiarimenti, ma, senza entrare nel tecnico, é fattibile e a vantaggio dell'Italia.
Le reti Tv ed i circuiti di distribuzione cinematografici danno poi in appalto ai produttori indipendenti i prodotti audiovisivi, pagandone fino al 75% dei costi di produzione.

Agli appaltatori rimarrebbero i diritti di sfruttamento nell'ambito nazionale, mentre ai produttori resterebbero i diritti internazionali con cui recuparare i costi e generare profitti.

Ed é qui che lo Stato dovrebbe intervenire perché é suo interesse che, tramite l'audiovisivo italiano, venga promosso il Made in Italy.
É triste vedere come alle fiere internazionali dell'audiovisivo l'Italia sia tristemente assente, se non per, principalmente, RaiTrade e Mediaset. Questo perché, com'é impostato ora, il Fus fa sí che i produttori italiani siano appagati dai ricavi nazionali.
Quindi lo Stato dovrebbe investire (si parla d'investire, non finanziare) su di una buona parte dei costi per la vendita all'estero (ora copre solo il 10%), come la presenza alle fiere, il marketing ai festival, la promozione alle manifestazioni del settore (premi, conferenze) e pubblicitá settoriale sia per il cinema che per la Televisione.

Tutto ció richiede lavoro, viaggi, imprenditorialitá, sacrifici ed ingegno. Inoltre, il settore deve risolvere il problema dei costi, perché é incomprensibile che la fiction costi 70.000 euro l'ora in Italia e soli 15.000 in Argentina che la esporta con successo in tutto il mondo.
Ora bisogna vedere se l'industria dello spettacolo italiana é disposta ad affrontare tutto questo, dopo tanti anni di agio e benessere che lo stato ha assicurato. Se ció non sará possible con la vecchia guardia, speriamo in una nuova e piú dinamica generazione che questa proposta riuscirá a creare».

Dom Serafini

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