Fa discutere l’ipotesi di cambiare in modo sostanziale, ai danni soprattutto delle Tv locali, che hanno già mille problemi, gli importi per l’uso delle frequenze. L’Agcom precisa e rinvia le decisioni ma le preoccupazioni restano.
Tutto è partito con un articolo su 'Repubblica' di Aldo Fontanarosa:
“Rai e Mediaset hanno già lo champagne in freddo per lo sconto milionario che vedono arrivare. Gli editori nazionali più piccoli si preparano invece a pagare cifre importanti, sia pure nel tempo. E le emittenti locali, anche loro, dovranno soffrire.
Il Garante per le Comunicazioni (AgCom) sta per cambiare le regole e i pesi di una "tassa" che ricade sulle nostre televisioni, nazionali e locali, pubbliche e private. Si tratta del canone che questi editori devono allo Stato, ogni anno, per le frequenze Tv. Ma la strada del provvedimento è in salita.
La bozza provvisoria ipotizza che l'Erario, almeno in prima battuta, incassi meno soldi che nel 2011 e nel 2012. Circa 40 milioni in meno, nel 2014. Preoccupato di cadere in una mossa impopolare e temeraria, il Garante prenderà la sua decisione finale solo dopo aver "sentito la Ragioneria Generale dello Stato".
Fino ad oggi, gli editori nazionali hanno pagato, alla voce canone, l'1% del loro fatturato come stabilito fin dalla Finanziaria del 2000 (mentre le locali dovevano un importo fisso di 17.776 euro). Il canone è stato progressivo perché gravava soprattutto sulle emittenti dai ricavi più alti. Al punto che Rai e Mediaset hanno assicurato il 96% del gettito totale (48-49 milioni) nel 2011 e nel 2012.
Ora, per la prima volta, il Garante applicherà le regole scritte nella legge 44 del 2012 (la stessa che disciplina l'asta per le frequenze televisive in corso in queste settimane). Nel nuovo regime, la "tassa" ricadrà sugli operatori di rete (cioè sulle società titolari delle frequenze e del relativo "diritto d'uso": RaiWay per Rai, Elettronica Industriale Towers per Mediaset, ad esempio). Questi operatori di rete verseranno il canone sulla base di quantità e qualità delle frequenze, a prescindere dal fatturato della cCasa madre e delle Televisioni.
Gli effetti di questo approccio sono molteplici. Primo, Rai e Mediaset pagheranno di meno (a regime lo sconto sarebbe superiore ai 10 milioni a testa, ogni anno). Secondo, gli editori nazionali minori pagheranno di più. E ancora. Alcuni editori nazionali minori - che fino a ieri pagavano zero euro - nel 2014 inizieranno a versare il canone, anche loro. Si tratta di emittenti finora esentate perché nate nell'era del digitale terrestre (come Dfree, H3G, Telecom Italia Media per due delle sue reti, ed altre). Infine le locali non verseranno più un importo fisso (17.776 euro), ma un canone commisurato - anche in questo caso - alle frequenze che hanno in mano e al bacino di popolazione raggiunto. La somma sarà pari a circa un terzo di quella versata dalle nazionali. Il Garante immagina che l'intero nuovo sistema vada a regime poco alla volta, in 5 anni”.
L'Agcom ha risposto con un comunicato che metteva 'i puntini sulle i':
L'articolo… ricostruisce in modo parziale e approssimativo, dandoli per definitivi, i termini e i contenuti di un dibattito ancora in corso in seno al Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Premesso che le soluzioni allo studio, attualmente soggette ad approfondite valutazioni da parte degli uffici dell'Autorità, conducono tutte, a regime, ad un incremento di introiti per lo Stato, si ricorda che la cornice normativa entro la quale la decisione dell'Agcom deve iscriversi è definita dal decreto-legge n. 16 del 2012 (c.d. “Semplifica Italia”), convertito dalla legge n. 44/2012, e dal Codice delle comunicazioni elettroniche, in coerenza con le direttive europee. L'Autorità ha pertanto l'obbligo di adeguarsi a un nuovo regime normativo, caratterizzato dal venir meno delle concessioni analogiche, nel quale i contributi sono posti a carico dei soli operatori di rete. In questo quadro, il compito dell'Agcom è quello di individuare, in applicazione del dettato legislativo e previa consultazione pubblica delle parti interessate, i criteri sulla base dei quali spetterà al Ministero dello Sviluppo Economico determinare in concreto la misura del contributo per l'uso delle frequenze gravante sui soggetti assegnatari.
Come di consueto, l'Autorità è pronta a recepire le indicazioni e i suggerimenti utili per il miglior esercizio delle sue competenze, ma respinge i giudizi espressi prima di conoscere i contenuti delle sue decisioni - peraltro sottoposte a consultazione pubblica - e le critiche preconcette, che rischiano tra l'altro di incidere su mercati nei quali operano società quotate in Borsa”.
Insomma, vedremo, ma non si smentisce la sostanza. Tanto che l'associazione Aeranti-Corallo ha espresso la sua preoccupazione sul suo periodico 'TeleRadioFax':
“A seguito del passaggio al digitale terrestre devono essere determinati gli importi dovuti dagli operatori di rete nazionali e locali per i diritti amministrativi e per i contributi per l'uso delle frequenze (secondo l'interpretazione Agcom la stessa deve individuare i criteri sulla base dei quali spetterà al Ministero dello Sviluppo Economico determinare in concreto la misura degli importi dovuti da parte dei soggetti assegnatari delle frequenze; secondo altra interpretazione competerebbe alla stessa Agcom determinare direttamente gli importi). In particolare l'art.17, c. 2 del Testo Unico dei servizi di media stabilisce che l'Agcom, con proprio regolamento, provveda ad uniformare i contributi previsti per la diffusione analogica su frequenze terrestri, a quelli previsti per la diffusione digitale.
L'art. 3 quinquies, c.4 del D.L. n.16/2012, convertito, con modificazioni dalla Legge n. 44/2012 stabilisce, inoltre, che il Ministero applichi i contributi per l'utilizzo delle frequenze Tv stabilite dall'Agcom secondo le procedure del Codice delle Comunicazioni Elettroniche al fine di promuovere il pluralismo, nonché l'uso efficiente e la valorizzazione dello spettro frequenziale secondo i principi di ragionevolezza, proporzionalità e non discriminazione.
Ricordiamo che fino ad oggi (anche per l'anno 2013, successivo al passaggio al digitale) è stato applicato il regime di contribuzione (che era stato a suo tempo introdotto per i concessionari analogici) di cui all'art.27, c.9 della legge n. 448/98 e del DM 23 ottobre 2000 che prevede, per le Tv locali, il pagamento dell'1% del fatturato, fino ad un massimo di euro 17.776,00.
È, quindi, evidente che l'azione regolatoria dell'Agcom debba orientarsi verso una disciplina che preveda un esborso per l'attività di operatore di rete uniforme al sopracitato regime fino ad oggi applicato.
L'Agcom ha posto il tema dei criteri per i contributi per l'uso delle frequenze all'ordine del giorno delle riunioni del proprio Consiglio del 13 e 31 marzo uu.ss. senza, tuttavia, pervenire in tale sede ad un decisione. Desta, comunque, forte preoccupazione per il settore televisivo locale il comunicato stampa diffuso dalla stessa Agcom in data 3 aprile u.s. con il quale, nel contestare l'articolo pubblicato da Repubblica del 2 aprile u.s. “Canone sulle frequenze festa per Rai e Mediaset: il Garante per lo sconto” (nel quale si faceva anche riferimento ad una possibile forte penalizzazione per le tTv locali attraverso il pagamento di una somma pari ad un terzo di quella versata dagli operatori nazionali), afferma che “le soluzioni allo studio, attualmente soggette ad approfondite valutazioni da parte degli uffici dell'Autorità, conducono tutte, a regime, ad un incremento di introiti per lo Stato”.
Al riguardo occorre, però, evidenziare che un eventuale incremento di introiti per lo Stato contrasterebbe con l'obbligo di uniformare gli importi dovuti a quelli previsti per la diffusione analogica secondo quanto stabilito con il sopracitato art. 17, c.2 del Testo Unico.
Occorre, inoltre, evidenziare che, nel valutare i criteri per la determinazione degli importi dovuti dagli operatori di rete locale, occorre considerare la circostanza che le frequenze assegnate a questi ultimi sono, per lo più, di qualità tecnica inferiore a quella degli operatori nazionali (perché in larga parte non coordinate con gli stati esteri e perché interferenti tra loro nelle zone di confine tra le diverse regioni), nonché la circostanza che le frequenze assegnate agli operatori locali possono veicolare, quasi esclusivamente, contenuti di emittenti locali (la veicolazione di contenuti nazionali è consentita con riferimento solo ai fornitori di contenuti indipendenti dalle piattaforme trasmissive e con il limite di un solo contenuto per operatore, ovvero di due a particolari condizioni) il cui volume di affari complessivo ad oggi, stante la crisi del mercato pubblicitario, non supera, presumibilmente, i 500 milioni di euro annui.
È evidente, pertanto, che non si possano richiedere agli operatori di rete locali importi incompatibili con la possibilità di esercitare la relativa attività. Ricordiamo infine che il regolamento in materia dell'Agcom verrà assunto previa consultazione pubblica sullo schema di provvedimento che verrà adottato”.