La Seconda Giornata della Radio, svoltasi a Roma per iniziativa del coordinamento RadiochefaRai dell’emittente pubblica, ha fatto il punto sui problemi del mezzo, combattendo contro lo storico disinteresse della Rai verso la radio.
Roma, teatro Vascello. Il caldo suono dei Tamburi del Vesuvio di Nando Citarella ci richiamava in sala per la Seconda Giornata della Radio, svoltasi qualche giorno fa nella Capitale. 'Malaradiono' è lo slogan che i "radiofonici" del coordinamento RadiochefaRai hanno scelto per l'ormai consueto appuntamento annuale.
Uno slogan che, al di là del gioco di parole, rappresenta un impegno costante che suona, è bene dirlo subito, come una rivendicazione di orgoglio per un gruppo che combatte con tenacia contro lo storico disinteresse dell'Azienda verso la radio, peraltro dialogando con un Cda in corso di definizione.
L'obiettivo generale, come per l'adunata dell'anno scorso, era sensibilizzare ancora l'Azienda, le università, il sistema politico, i media e l'opinione pubblica su una sola priorità: difendere la qualità del servizio pubblico radiofonico che in questi anni, dati di ascolto alla mano, è andata via via scemando. Dall'anno scorso non sono mancati segnali incoraggianti. Alcuni partiti e rappresentanti della Commissione Parlamentare di Vigilanza, per esempio, hanno dichiarato il proprio impegno per il settore radiofonico; inoltre, l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha varato recentemente il regolamento per la radio digitale. Intanto, mancando all'orizzonte altre soluzioni concrete, ci sono ancora molti interventi da pianificare. Il gruppo non demorde.
E se, come si suol dire, la miglior difesa è l'attacco, allora, l'attacco è da studiare con serietà e deve passare soprattutto attraverso il rilancio di RadioRai. Rilancio sul fronte tecnologico, per cominciare. Dai 300 ai 500 mila euro annui: è la quota degli investimenti allocata, nell'ultimo decennio, per il potenziamento del segnale di RadioRai; "bruscolini - si è detto - per un servizio pubblico che dovrebbe garantire la sua presenza in tutto il Paese".
Comunque, 5 milioni di euro sono stati destinati, quest'anno, "per interventi attualmente in fase di attuazione". Lo afferma chi li ha visti, sperando, ora, di vedere anche dei risultati. Ma si tratta pur sempre di una cifra irrisoria se l'intervento comporta l'acquisto di frequenze, ad esempio, in Lombardia e Lazio, zone, cioè, in cui RadioRai è spesso inascoltabile. Per di più tutti sono ben consapevoli del fatto che, specie ultimamente, le frequenze costano. Se a questo si aggiunge la situazione dell'onda media - spenta improvvisamente - e lo stallo della sperimentazione Dab - pare dettato da "motivazioni economiche" - il quadro diviene preoccupante: sembra che non ci sia futuro per la radio pubblica.
Ma i radiofonici non gettano la spugna, anzi hanno grande energia per alzare ancora il volume e farsi sentire. Ed ecco un chiaro messaggio indirizzato al nascente Cda, che tutti vogliono presto all'opera. Una domanda su tutte mira dritto al cuore della questione: si potrebbero conoscere le dinamiche e la consistenza di questo oggetto misterioso che è il piano industriale per la radioO Infatti, anche se questo è un fattore decisivo per lo sviluppo del mezzo, nessuno ne sa nulla. Così, attraverso un documento programmatico firmato da diversi bei 'nomi', il comitato chiede riflessione, e possibilmente, risposte, anche su altre questioni urgenti.
Per questa strada, occorre soprattutto articolare in modo diverso la composizione e la durata del Cda per sganciare la Rai da pressioni governative e politiche. Una questione che il progetto di privatizzazione della Gasparri non risolve, accentuando il modello della Rai come territorio di conquista per la compagine politica vincente. Fra l'altro si chiede a gran voce di mettere mano all'annosa vicenda del piano nazionale delle frequenze, di conoscere la reale consistenza del canone e di chiarire il funzionamento del sistema di vendita degli spazi pubblicitari.
Eugenio Bonanata