I personaggi di Kosice: Andrei Kustila

Inizia una serie di interviste ai protagonisti del festival Golden Beggar di Kosice, che sarà anche una rassegna di personaggi rappresentativi delle Tv indipendenti europee. Per questo primo articolo ringraziamo Roger Worrod per la collaborazione.

Per descrivere Andrei Kustila come uomo c'è un aneddoto significativo: membro della giuria al Golden Beggar 2013, ha chiesto che il suo film documentario 'Davoli da Voli' venisse messo fuori concorso. Con disappunto ha accettato il rifiuto alla sua richiesta da parte della giuria, che ha poi attribuito, a sua insaputa, una menzione speciale al film stesso.
Per descrivere Andrei Kustila come professionista, parlano invece il curriculum e il film realizzato insieme a Viachaslau Rakitski sulle proteste di piazza dopo le elezioni bielorusse del 2010 per conto di Belsat, Tv in lingua bielorussa con sede in Polonia.

Ma passiamo all'intervista a Kustila.

Con chi lavori e com'è la vita di un filmaker in Bielorussia?

Ci sono due gruppi di professionisti che lavorano nei media nel Paese: chi lavora per media controllati dal Governo e chi per i media indipendenti, fuori dal controllo del Governo, finanziati da organizzazioni internazionali. Per i primi è molto più facile: possono fare riprese ovunque, hanno permessi dalle autorità, accrediti, accesso alle informazioni; io sono un filmaker ma per giornalisti come quelli della mia Tv il problema è fare poter andare in certi posti, come negli edifici del Governo, parlare con suoi rappresentanti.
Io lavoro per il canale indipendente satellitare Belsat che ha sede a Varsavia e si può vedere facilmente in Bielorussia sul satellite o tramite internet. Quindi in Bielorussia chi vuole avere accesso ad un'informazione indipendente, alla fine, può farlo.

Come fate a fare uscire le informazioni dalla Bielorussia?

Mandiamo i file tramite Internet.

Quali sono state le reazioni a 'Davoli da voli' in Bielorussia?

È stato trasmesso diverse volte e solo su internet l'hanno visto circa 40 mila persone. Nessuno si è sorpreso vedendolo. Ma ci sono molte persone che non sono interessate a queste cose, che pensano al loro lavoro, alla loro famiglia, e non sanno che nel nostro Paese ci sono prigionieri politici. Guardano i canali di Stato e non sono interessati a vederne altri. Non c'è voglia di sapere queste cose, e non solo a causa del regime. Tra la gente c'è apatia e tolleranza ma tolleranza intesa in senso negativo.

Nel tuo film ci sono testimonianze di pressioni, violenze, psicologiche e fisiche subite in carcere. È stato difficile trovare persone disposte a parlarne?

No. Ci sono state centinaia di persone che sono state arrestate e ci sono le organizzazioni non governative a tutela dei diritti umani che raccolgono informazioni sulle violazioni e sui prigionieri politici.

Quindi è difficile che queste persone 'spariscano'. Ma i 'dissidenti' come sono controllati?

Dipende; quando avevamo contattato queste persone alcune erano spaventate ma la maggior parte di loro ha accettato di incontrarci senza problemi. Ma anche noi, dopo queste azioni di piazza, avevamo paura.
Le prime riprese non sono state facili perché noi cercavamo di evitare certi problemi, ad esempio ci incontravamo in posti diversi, in strade differenti ma non era facile, perché sappiamo che le nostre telefonate sono controllate. Sono sicuro che il KGB sapeva che stavamo preparando questo film ma ha preferito non intervenire.
Ci sono molti film su questo argomento prodotti da organizzazioni straniere e con autori bielorussi, ma non tutti possono essere visti nei festival. Magari le autorità non si aspettavano che questo film dievntasse così popolare; è stato portato a vari festival europei, compreso uno in Italia.
Ora so di essere più controllato di due anni fa ma se mi toccassero ne nascerebbe un caso. Penso che per ora il KGB stia solo raccogliendo informazioni su di me, controlli le telefonate, la posta elettronica, facebook. Un mio amico, pochi mesi fa, era in un locale, alcuni uomini si sono avvicinati per parlargli e convincerlo a collaborare; gli hanno suggerito un numero che avrebbe dovuto chiamare periodicamente, per fornire informazioni su di me. Il mio amico è andato via dal locale. Probabilmente pensavano che me lo avrebbe detto e io mi sarei spaventato. Ora ho la certezza di essere controllato e non è una cosa con cui si convive serenamente. Comunque i controlli più stretti sono sulle giovani organizzazioni politiche, sull'opposizione.

Non hai paura?

All'inizio, dopo le manifestazioni di piazza, lo ero ed era difficile superare questa paura. Quando Belsat ci ha proposto di girare le interviste del film, avevo dei dubbi. Ci ho pensato per giorni, in partenza volevo rifiutare. Poi giorno per giorno ho cercato di sopraffare questa paura e ho fatto il film. Ovviamente non mi sento tranquillo ma non ho più paura come due anni e mezzo fa e mi sento più libero.

Il titolo originale del film è appunto 'Davoli da voli'. Cosa significa questo gioco di parole?

Sì, è un gioco di parole. Davoli significa basta ma isolate le due parole significano 'verso la libertà'.
Nel film ci sono alcune immagini simboliche: la macchina del presidente che arriva, circondata da un nugolo di poliziotti in moto in una strada completamente vuota oppure immagini di repertorio di Lukashenko con Gheddafi o Chavez.
È un'immagine di questo potere, sono riprese ufficiali e i prigionieri politici mi hanno detto che sono state trasmesse nelle celle poco dopo le elezioni per renderli più depressi. Ma non abbiamo trovato immagini con Ahmadinejad, un altro amico della nostra presidenza.

Ora a che cosa stai lavorando?

Con un mio collega abbiamo preparato 'Hitchhiking trough Belarus', un programma sulla Bielorussia vista da una ragazza che viaggia in autostop.

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