Ma è davvero opportuno mettere un bollino particolare sui programmi Rai che verranno considerati ‘di servizio pubblico’ e dunque finanziati dal solo canone? La proposta, relativa al Contratto di Servizio Rai, è stata bocciata dall’UER.
Mentre il ministro Saccomanni apre alla possibilità di privatizzare in parte la Rai (ma l'idea ci pare meritevole di un dibattito che vada ben oltre la contingenza economica, ovvero quella di reperire subito fondi per attenuare il debito pubblico), va segnalato un altro dibattito su un punto finora rimasto abbastanza sottotraccia, che è stato provocato soprattutto dall'articolo 'Quel bollino sui programmi del servizio pubblico' di Alessandro Pace, pubblicato su 'Repubblica'. Lo riproponiamo di seguito, perché le tesi sostenute ci sembrano assai interessanti:
“Il contratto di servizio RAI-Stato 2013-2015, attualmente all'esame della Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza, presenta una sconvolgente novità introdotta dal Ministero dello Sviluppo economico: la riconoscibilità, all'art. 1 lettera e), dei programmi finanziati col canone, che nel successivo art. 18 comma si identificano con quelli «rientranti nell'ambito dell'attività di servizio pubblico» (da identificare con un bollino di diverso colore). Ebbene, come risulta dall'articolo 6, l'intrattenimento non fa più parte dei programmi del servizio pubblico radiotelevisivo!
Una novità sconvolgente perché - se si escludono le risalenti iniziative di Felice Confalonieri volte a far identificare come “servizio pubblico” i singoli programmi televisivi di natura culturale (al fine di consentire a Mediaset di godere di una parte delle entrate del c.d. canone d'abbonamento) - è sempre stato pacifico che il «servizio pubblico generale radiotelevisivo» identifica «la complessiva programmazione, ancorché non informativa, della società concessionaria», come recita l'articolo 1 lettera m) del Testo Unico della Radiotelevisione del 1985 voluto dal centro-destra.
Ciò risultava già dall'importante sentenza n. 826 del 1988 della Corte costituzionale, nella quale - di fronte al tentativo di differenziare la disciplina costituzionale delle emittenti locali che si limitavano a irradiare «programmi di puro spettacolo», da quelle “anche” informative - la Consulta statuì recisamente di aver «negato rilievo a siffatta distinzione» e di aver «sempre inteso l'informazione in senso lato ed onnicomprensivo, così da includervi qualsiasi messaggio televisivo, vuoi informativo, vuoi culturale, vuoi comunque suscettibile di incidere sulla pubblica opinione».
Più di recente, mentre il Parlamento europeo, in una risoluzione del 1996, ha ritenuto che la programmazione del servizio pubblico deve presentare un «insieme equilibrato di intrattenimento, cultura, divertimento e informazione», la Commissione europea, nel valutare, nel 2003, la proporzionalità del finanziamento dello Stato alla Rai, ha implicitamente riconosciuto che tutta la programmazione della Rai costituisce servizio pubblico, escludendo dal finanziamento col canone soltanto i «costi che potrebbero essere collegati allo sfruttamento commerciale del servizio pubblico e di altre attività commerciali». In tal caso si verificherebbe infatti un'ipotesi di “aiuto di Stato”, notoriamente vietato.
Ciò che deriva da tutti questi dati inconfutabili è che il servizio pubblico radiotelevisivo configura, diversamente da quanto opina il Governo Letta, non i singoli programmi ma la “complessiva” attività della concessionaria che dovrebbe caratterizzarsi sotto tre aspetti: la ricerca e l'innovazione tecnologica, la qualità della programmazione e i limiti modali che dovrebbero riguardare i giornalisti, i conduttori e i presentatori (che non sono, né gli uni né gli altri, «i signori della radio», come statuì nel 1961 il Tribunale costituzionale federale tedesco con riferimento al servizio pubblico). Dovrebbe allora concludersi che negli intenti del Governo l'intrattenimento potrebbe tranquillamente ancor più scadere di qualità, senza che il servizio pubblico abbia a risentirne.
Il discorso sul servizio pubblico radiotelevisivo non può evidentemente risolversi in queste poche battute. Chi ne discute non dovrebbe comunque confondere il “dover essere” della Rai con il suo “essere”, il quale se ha un lontano passato glorioso, ha un immediato passato assolutamente deludente.
Ciò premesso, non è però difficile accorgersi che dietro il tentativo di identificare il servizio pubblico con i singoli programmi (anziché con la complessiva attività di servizio pubblico «esclusivamente finalizzata ad interessi generali della comunità») c'è una chiara volontà intesa alla “privatizzazione” pro parte di un bene comune di tutto il popolo italiano, che fino a pochi anni fa era unanimemente identificato come la nostra maggiore istituzione culturale (di cui programmi di intrattenimento come “Quelli della notte” e “Indietro tutta!” avevano tutti i titoli per farne parte).
Non è quindi un caso che nello stesso contratto di servizio si accenni anche, all'articolo 23, ad una consultazione pubblica «in previsione della data di scadenza della concessione del servizio pubblico». Il Ministero dello Sviluppo economico intende muoversi prima del Parlamento su un tema di tale importanza?”.
Una successiva lettera del viceministro Catricalà ha cercato di tranquillizzare in merito a questa proposta governativa sul contratto di servizio (che la Rai ha di recente ratificato, probabilmente non senza 'mal di pancia'). Ma a muovere le acque è venuta la netta opposizione dell'associazione europea delle Tv pubbliche, EBU-UER, alla proposta di Catricalà sul nuovo contratto di servizio, il 'bollino' appunto. Ne ha riferito un altro articolo di 'Repubblica':
“'Non potete mettere un bollino blu per distinguere i programmi pagati con il canone e quelli pagati dalla pubblicità. Nessuno lo fa e non dovete farlo neanche voi'. È violentissima la lettera dell'Ebu, la potente associazione che riunisce le Televisioni pubbliche europee, comprese le tedesche Ard e Zdf, France Television e la mitica Bbc, contro il governo italiano.
Il direttore generale dell'organismo continentale Ingrid Deltenre l'ha inviata alla presidente della Rai Anna Maria Tarantola. Una bacchettata in piena regola all'idea dell'esecutivo di inserire nel prossimo contratto di servizio una forma di trasparenza sulle trasmissioni che vanno in onda ogni giorno. “Lord Reith, il fondatore della Bbc, non ha messo su gradini diversi 'divertirsi' rispetto a 'informare' e 'educare'” - scrive l'Ebu. Come dire: imparate dai maestri del servizio pubblico. “Non accetteremo un precedente pericoloso. Cara Tarantola, resista alle pressioni” - è la conclusione.
Il viceministro allo Sviluppo Economico Catricalà però tira dritto e ricorda che al bollino è legato il rinnovo della concessione a Viale Mazzini nel 2016. “Le altre Televisioni forse hanno l'esigenza di non fare chiarezza sull'uso del denaro pubblico. Sono preoccupazioni che non hanno confini” - insinua Catricalà.
Il punto è che la Rai condivide i rilievi perentori dell'Ebu e questo potrebbe aprire uno scontro ancora più devastante: quello tra la Tv pubblica e il suo azionista, il Governo”.