Il cinema in Italia nel 2012

Secondo il rapporto annuale ‘Il mercato e l’industria del cinema in Italia 2012’ crescono le produzioni ma calano gli incassi.

È stato presentato il 18 giugno alla Luiss il rapporto annuale 'Il mercato e l¹industria del cinema in Italia 2012' curato dall'ufficio studi della Fondazione Ente dello Spettacolo. Ormai alla sua quinta edizione, è diventato un appuntamento imprescindibile per gli operatori e gli studiosi del settore.

La mattinata è stata moderata dal giornalista e critico cinematografico Franco Montini ed ha visto coinvolti Dario Edoardo Viganò, Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, Lionello Cerri, Presidente degli esercenti Anec, Paolo Del Brocco, Ad di Rai Cinema, Paolo Protti, Presidente del comitato di gestione Schermi di Qualità, Nicola Borrelli, Dg Cinema del Mibac.

Dal rapporto è emerso un quadro complesso e contraddittorio, che peraltro risente fortemente della sfavorevole congiuntura economica. Ed anche il cinema, considerato da sempre anticlico, ha risentito fortemente della crisi e della contrazione della spesa culturale delle famiglie. Se da una parte infatti il numero di titoli è aumentato ­ raggiungendo i 166 film prodotti nel 2012 (155 nel 2011) ­ gli incassi del box office hanno registrato un (ulteriore) calo dell'8% sul 2011, così come è diminuito il numero di spettatori (passando dai circa 101 milioni del 2011 ai circa 91 milioni del 2012).

Quello appena trascorso non è stato però un annus horribilis per il cinema, come molti hanno sostenuto. Sono infatti emersi elementi positivi, in primis il consolidamento delle strutture produttive nonostante i tagli ulteriori al Fus, grazie agli investimenti privati e alle forme di agevolazione fiscale garantite dal tax credit (recentemente riconfermato ­ con grande sollievo di tutta la filiera ­ per il 2014 e il 2015). Il cinema italiano ha perso quote di mercato ma sono cresciuti gli investimenti complessivi, passati dai 423 milioni del 2011 ai 493 del 2012.

“Il calo del box office ­ ha sottolineato Redento Mori, curatore scientifico della pubblicazione ­ peraltro non implica la perdita di centralità dell'industria dell'immaginario per eccellenza, ma soltanto un progressivo, ma fisiologico, abbandono della sala a fronte della diversificazione delle piattaforme di fruizione (Vod in primis) che vanno assumendo maggiore rilevanza in risposta alle richieste di pubblici differenti. Questo tipo di evoluzione ha già peraltro avuto luogo in altri contesti come quello britannico e statunitense”.

Mori ha successivamente rimarcato come la segmentazione del mercato coinvolga principalmente l'esercizio, mettendo in luce il cambiamento in atto nella morfologia delle sale.
'Tengono' le sale fino a 300 posti, mentre stanno progressivamente sparendo quelle di capienza maggiore. Più sale medio-piccole dunque per una maggiore diversificazione del prodotto. In sintesi, gli impianti diminuiscono ma le sale aumentano.

Altro tema caldo quello dello switch-off digitale imminente per le sale. Come ha ricordato Cerri, il processo dovrebbe esser portato a termine entro l'anno, ma potrebbe slittare di qualche mese, considerato che a dicembre 2012 il parco sale digitali si attestava al 60% del totale (stima che prendeva in considerazione soltanto le sale del circuito Cinetel, dal quale sono escluse quelle d'essai e parrocchiali, che farebbero scendere la percentuale intorno al 54%). Cerri ha concluso: “La priorità sarà salvare le monosale ­ spesso a gestione familiare e quindi economicamente più deboli ­ tasselli importanti di un patrimonio storico e identitario. Le sale rappresentano un elemento di aggregazione sociale, di crescita culturale, di valorizzazione del prodotto. E quindi vanno difese ad ogni costo”.

Del Brocco ha insistito sulla necessità di riaffidare un 'ruolo' al cinema, inteso come progetto culturale che deve trovare, anche nei meccanismi di sostegno, respiro pluriennale. Inoltre, ha proseguito Del Brocco, “in Italia è molto forte la piaga della pirateria, perché, in verità non esiste una volontà politica forte per combatterla efficacemente”.
L'Ad di Rai Cinema ha quindi concluso segnalando che l'ammanco di circa 600 milioni di euro l'anno nelle casse della Tv pubblica determinato dall'evasione del canone implica minori risorse che la Rai potrebbe destinare al cinema e ai prodotti seriali.

Nicola Borrelli, partendo proprio dal tema dell'eccezione culturale che domina in queste settimane sulle colonne dei quotidiani nazionali ed internazionali, ha fatto un esplicito endorsement al modello francese, del quale ha dichiarato di non invidiare tanto i meccanismi di sostegno o la quantità di risorse allocate, bensì l'approccio cartesiano e metodico ai vari temi.
Ha rimarcato quindi, con toni critici, che in Italia, anche rispetto all'eccezione culturale non è stata assunta una posizione chiara e sarebbe stato preferibile porsi delle domande nette cui trovare risposta come: “È importante che il popolo preservi e tramandi l'identità culturale? Quale ruolo gioca l'audiovisivo per l'identità culturale? I meccanismi di mercato attuali sono sufficienti o no?”.

Anche per quanto riguarda il cinema in Tv nella spesso richiamata Francia i grandi network investono molto di più, limitandosi peraltro al pre-acquisto dei film, lasciando liberi i produttori e non ­ come accade da noi ­ una situazione in cui le Tv producono, distribuiscono e prendono tutti i diritti di sfruttamento del prodotto.

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