Il complesso rapporto fra la Rai e il PD

Ecco la cronaca di un incontro laboratoriale del Pd su “Riformare la Rai” (in una storica sezione del Pci). “La Rai non è una società che produce saponette”.

Si è tenuto presso una delle più famose sezioni storiche del Pci, a Roma in Via dei Giubbonari (a pochi metri da Piazza Campo de' Fiori), nel pomeriggio di giovedì 10 maggio, un incontro informale promosso dal Partito Democratico, particolarmente interessante per il carattere irrituale e laboratoriale, intitolato “Riformare la Rai”. L'iniziativa è stata organizzata per discutere della situazione (grave) in cui versa l'azienda televisiva di servizio pubblico e per riaffermare l'importanza e l'urgenza di procedere ad una riforma, per “rialzarla dalle ceneri”.

Il target dell'incontro - pur aperto anche ai non militanti - era senza dubbio costituito da esponenti ed iscritti del Pd e simpatizzanti: quest'atmosfera, meno ingessata di quella di un convegno tradizionale, ha consentito un migliore esercizio della… libertà di parola.
La saletta del circolo Pd - decisamente troppo angusta per i circa 50 presenti, un po' stipati ed accampati alla buona - ospitava, sul tavolo dei “relatori: Fabrizio Morri (Capogruppo Pd in Vigilanza Rai), Carlo Verna (Presidente del sindacato Usigrai), Roberto Natale (Presidente Federazione Nazionale della Stampa Italiana - Fnsi), e Matteo Orfini (Responsabile Nazionale Cultura ed Informazione del Pd).

Gli interventi dei primi due relatori sono stati seguiti da una decina di brevissimi commenti, critiche e spunti di alcuni presenti (per lo più lavoratori Rai), mentre sono stati Natale ed Orfini a chiudere l'incontro, durato poco meno di due ore.

Fabrizio Morri, primo chiamato ad intervenire, si è espresso criticamente sulla Legge Gasparri, enfatizzando come il consiglio di amministrazione Rai sia attualmente una sorta di “mini-parlamento”, governato da logiche di maggioranza e di opposizione, con un Presidente pressoché privo di potere. Si è opposto con toni accesi a quanti affermano sia ormai troppo tardi per una nuova legge, forzando quindi ad un rinnovo con la Gasparri, ipotesi alla quale il Pd non intende assolutamente prendere parte, come dichiarato in modo deciso dallo stesso Segretario Bersani: in verità, “si attendeva un segnale (peraltro annunciato) da parte del Governo, ma finora… tutto tace”, le sue parole di chiusura.

Carlo Verna, Presidente dell'UsigRai, ha segnalato invece che, al danno di un eventuale rinnovo con la legge Gasparri, si rischia di dover aggiungere anche la beffa della “prorogatio”, che non ha esitato a definire “il peggiore dei mali”.
Severe le critiche di Carlo Freccero, relatore inatteso, il quale, in un breve ma intenso intervento, si è tolto alcuni sassolini dalla scarpa: buona parte delle sue osservazioni (eufemismo per le sue mordenti espressioni) è stata rivolta alla “totale assenza di pensiero strategico” che governa l'azienda di servizio pubblico. Ha manifestato poi tutto il suo rigetto verso una paventata privatizzazione della Rai, non risparmiando parole critiche né per l'attuale Dg, né per molti altri dirigenti di viale Mazzini.

Hanno poi preso la parola alcuni esponenti del “pubblico”. Tra le espressioni più ricorrenti di questi brevi interventi, si registra “la Rai è un malato terminale” e “l'azienda di servizio pubblico è governata da 'bande'”. Qualcuno poi si è spinto anche oltre, scagliandosi con cattiveria verso l'attuale Direttore generale Lorenza Lei e verso il Presidente Garimberti, il quale, “oltre ad andare in bicicletta e giocare a golf, non ha fatto molto per l'azienda”, affermando che “alla Rai servono persone che sappiano reagire alla demenza dilagante del settimo piano…”.
Altra espressione efficace: “La Rai non è un'azienda che produce saponette. Se crolla la Rai, crolla la cultura del Paese”.

Alcuni lavoratori della Rai hanno lamentato mancanza di garanzie (a partire dal rinnovo contrattuale), ed una grande demotivazione e diffusa stanchezza, determinata dal fatto che “chi gestisce il potere, lo fa “contro” l'azienda stessa”.
Maurizio Sciarra, regista cinematografico ed esponente dell'associazione 100autori, ha osservato criticamente che, se è vero che l'attuale Dg ha raggiunto un pareggio di bilancio, è altrettanto vero che l'obiettivo è stato perseguito operando “barbari” tagli alle produzioni… ed ha domandato, a se stesso e ai presenti: “Ma noi abbiamo una idea precisa della Tv che vogliamo? Si parla continuamente di pluralismo dell'informazione, ma l'informazione è forse più importante degli altri contenuti?”.

Il quesito retorico è veramente valido, perché troppo spesso l'attenzione della politica si concentra sul pluralismo delle news, e non sul pluralismo dell'offerta in generi altri: che dire dell'appiattimento della fiction “made in Rai”, soprattutto negli ultimi anni? E Mediaset non è da meno, se si deve pensare a “Il Tredicesimo Apostolo” come opera linguisticamente… innovativa!

Vincenzo Vita (Vice Presidente Commisione Cultura del Senato), arrivato tardi, ha ribadito che il Pd non voterà assolutamente nell'ipotesi di rinnovo del consiglio di amministrazione Rai con la legge Gasparri, ed ha affermato con convinzione che si può avere un “nuovo inizio” soltanto mettendo in atto iniziative di rottura: si è quindi dichiarato favorevole alle auto-candidature di Freccero e Santoro.

È poi intervenuto uno dei promotori di Move On (il movimento per “La Rai per i Cittadini”), Marco Quaranta, ricordando il programma in cinque punti proposto da Tana de Zulueta (di cui abbiamo già scritto su queste colonne il 23 aprile scorso), che ha già riscontrato l'adesione di numerosi operatori del settore ed intellettuali e di alcune associazioni.
Roberto Natale (Fnsi), ultimo relatore del pomeriggio, in un appassionato intervento, si è domandato perché mai Monti non sia ancora intervenuto sulla Rai, come pure peraltro aveva preannunciato a “Che tempo che fa”, ospite di Fabio Fazio. Si è dichiarato rammaricato per il fatto che Fazio e Saviano siano costretti ad andare in onda col loro nuovo programma su La7, ritenendo che questo sia sintomatico di una scarsa libertà d'espressione all'interno della Rai, allorquando la libertà è elemento che dovrebbe essere fondante di una Televisione di servizio pubblico.

In proposito, ha riportato un esempio di confronto “scenaristico” tra i diversi telegiornali: mentre il telegiornale di La7, alle 20.17 di domenica 6 maggio, passava un estratto del discorso di addio alla nazione di Sarkozy, quello di RaiUno proponeva la “terapia del sorriso”, mentre Canale 5 era impegnata con “Ron Moss e 25 anni di 'Beautiful'”… Certo, la rete ammiraglia Rai in seconda serata offriva uno “Speciale Tg1”… su Gigi D'Alessio (!?!).

Piena di spunti la conclusione del giovane dalemiano Matteo Orfini, il quale, ottimisticamente, ha sostenuto che la “battaglia”, rispetto alla vicenda Rai, “non è ancora persa”. E, soprattutto, si è dichiarato persuaso che ci sia ancora tempo per una legge di riforma: si potrebbe perseguire anche la via del decreto legge oppure assegnando la funzione legislativa alle competenti commissioni parlamentari (che comunque implicherebbe un iter di soli venti giorni…). “Ma la vera questione è che serve una rottura. Il nuovo (super) Presidente dovrebbe avere l'ardire di reinserire in palinsesto i “programmi sgraditi” (ogni riferimento ad “Annozero” è puramente casuale!?!).
Il problema però - a detta di Orfini - non verrebbe comunque by-passato allorché, il nuovo vertice, ovvero i nuovi vertici, Presidente e Direttore Generale (paradossalmente anche qualora venisse accolta l'auto-candidatura di Freccero e Santoro…), si troverebbero ostacolati, all'interno del cda, da soggetti come Gorla, Rositani e Verro (o chi verrà dopo di loro), che comunque cercherebbero di opporre resistenza rispetto ad alcune scelte: “Il 'conformismo' del sistema mediale nei confronti di questo governo è agghiacciante”, si è poi avviato a concludere (detto da un esponente del partito che il governo l'ha votato e tuttora lo sostiene lo è ancora di più…)!

Anche in un ristretto contesto di poche decine di partecipanti, molte apparivano le “correnti interne”, come si notava registrando commenti e battute “off-the-records”, dal prevalente apprezzamento per le dimissioni di Rizzo Nervo consigliere “in quota” Pd alle critiche nei confronti del resistente Van Straten (“ma rappresenta ancora il Pd?”, si sono domandati alcuni). È stranoto che il Pd sia attraversato da molteplici correnti interne e da lotte intestine, ma il non trovare accordo (una “linea”, si sarebbe detto un tempo), nemmeno all'interno di una “piccola riunione tra amici” (quale è sembrata essere l'incontro nella sezione di via Giubbonari), mette in luce tutta la sua attuale debolezza. Il Pd “non vota”, d'accordo, in assenza di una riforma del sistema di nomina del cda Rai: e allora?! Come si supera lo stallo, a fronte della contrapposta volontà del Pdl?

Ad onor del vero, va ricordato che, se l'azienda Rai versa in condizioni di “malato terminale”, la responsabilità - come ha onestamente ammesso Orfini - va attribuita anche al Partito Democratico, e ad una qual certa politica di “comodo”, o comunque di “sonnolenza”, praticata per molti anni e lungo diverse legislature…

(*) Responsabile di ricerca dell'Istituto italiano per l'Industria Culturale - IsICult

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