È ancora crisi per il mercato della fiction italiana, anche se non mancano blandi segnali di ripresa.
Il mercato della fiction italiana sta attraversando un periodo di profonda crisi, seppur con blandi segnali di ripresa. Questo il verdetto emerso dal V rapporto sulla Fiction dell'Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli, presentato il 30 settembre all'interno del Roma Fiction Fest (28 settembre 3 ottobre).
«L¹audiovisivo è un settore di interesse nazionale?» - si è domandato Bruno Zambardino, coordinatore operativo Iem. Ad analizzare le tendenze in atto la risposta tende ad essere negativa.
Da una parte si è assistito ad una contrazione degli investimenti pubblicitari particolarmente significativi nell¹ultimo anno, che ha chiuso con - 18% rispetto al 2011 dall'altro la flessione della pay tv (- 1,4%), associata agli scarsi investimenti dei broadcaster meno di 300 milioni di euro l'anno per il 2013 a fronte di 460 milioni dei 'cugini' francesi e addirittura 605 milioni del Regno Unito hanno avuto ripercussioni incredibili anche sulla produzione, scesa sotto le 500 ore nell'ultima stagione e, prevedibilmente, ancora in calo.
Le reti generaliste continuano a proporre prime-time a base di serialità nostrana, che garantisce buoni livelli di audience, anche se è sempre più frequente il ricorso alle repliche e ad un complessivo appiattimento dei generi. Cambiano però le tendenze: nell'ultimo quinquennio l'audience si è spostata dai canali generalisti a quelli digitali sui quali però non si investe in contenuti originali e si è inoltre diffuso, in maniera crescente, l'uso del 'second screen'.
In molti Paesi si è inoltre assistito ad un cambiamento radicale determinato dall¹arrivo di nuovi player come Netflix, che nel 2013 ha trasmesso in prima visione 'House of Cards', “scippando” di fatto i diritti (96 milioni di dollari) ai broadcaster classici.
La moltiplicazione di piattaforme però non produce in sé una moltiplicazione di valore. Quello che rende deficitario il sistema Italiano benché il nostro Paese vanti un primato assoluto in Europa per consumo televisivo: 4 ore e 13 minuti a fronte di una media europea di 3 ore 55 minuti risiede in due aspetti cruciali: la detenzione dei diritti e il sistema di finanziamento del prodotto, appannaggio pressoché esclusivo dei broadcaster, ovvero di Rai e Mediaset, dato l'impegno scarso e assai discontinuo di Sky.
A rendere più statico il mercato le grandi difficoltà in termini di export. Essenzialmente il prodotto italiano non esporta, fatto salvo il caso de 'Il Commissario Montalbano', a fronte di volumi di importazione consistenti. Allo squilibrio della bilancia commerciale si associa inoltre un intervento pubblico spesso disorganico. Lo Stato centrale ha ormai abdicato al suo ruolo di coordinatore, spesso lasciando alla buona volontà delle Regioni tramite le Film Commission e i Film Fund la gestione della 'macchina produttiva'.
In uno scenario tutt¹altro che positivo esistono però due elementi incoraggianti: il fenomeno della delocalizzazione ha registrato una riduzione forte rispetto agli anni precedenti. Anche grazie ai succitati fondi regionali, sempre più consistenti, su 916 imprese del settore, nell'ultimo anno soltanto 21 hanno scelto di andare all'estero.
All'orizzonte si profila inoltre l'importante estensione del tax credit alla fiction e agli altri prodotti audiovisivi, introdotta recentemente nel decreto Valore Cultura.