Il “nemico” Mauro Masi e le “logiche medievali” che governano la Rai

Visti i tempi che corrono, che potrebbero anche essere di ‘nuovo conformismo’, ecco la cronaca di una ‘insolita’ presentazione di un libro ‘insolito’, scritto da un ex dg Rai molto criticato (anche da noi di ‘Millecanali’), ma che forse vale la pena adesso di leggere…

Il 22 maggio a Roma, presso l'elegante Circolo Canottieri Aniene (ritenuto uno dei club più “esclusivi” della Capitale), la presentazione del libro “Un nemico alla Rai. 800 giorni contro nella tv pubblica”, edito da Marsilio, co-autori Mauro Masi, ex Direttore Generale dell'azienda di servizio pubblico, e Carlo Vulpio, giornalista del “Corriere della Sera”: il libro-intervista ha senza dubbio il sapore del pamphlet e rappresenta una lettura gustosa.

Il volume ripercorre, sotto forma di intervista di Vulpio a Masi, l'esperienza di quest'ultimo all'interno della Rai (dall'aprile 2009 al maggio 2011, preceduto da Cappon e seguito dalla Lei), evidenziando le (poche) luci e le (molte) ombre della maggiore “azienda culturale” italiana: da Santoro a Fazio, dalla Dandini alla Gabanelli, passando per i membri del cda ed i sindacalisti dell'Adrai… La seconda parte del pamphlet è dedicata invece al racconto di Vulpio della sua esperienza nel programma, ideato e condotto da Vittorio Sgarbi, dal titolo “Ci tocca anche Vittorio Sgarbi - Or vi sbigottirà”, meglio noto col titolo di “Il mio canto libero”, programma che si proponeva di portare cultura e grandi temi d'attualità nel prime time di RaiUno, con un approccio innovativo e comunque eterodosso, bloccato però (inspiegabilmente, secondo alcuni; a causa dei bassi risultati di ascolto - un 8 % di share, ben poco per la prima serata di Rai - secondo l'azienda) subito dopo la messa in onda della prima puntata (il 18 maggio 2011). Il talk-show è stato interpretato da alcuni come la risposta “da destra” al sinistroide “Vieni via con me”, ma in verità aveva ambizioni molto più evolute: si ricordi che la prima puntata, il cui tema originariamente era stato dedicato a “dio”, è stata poi dirottata - a seguito delle pressioni della novella dg Lorenza Lei (in odor di santità, ovvero sostenuta da Cei ed Opus Dei) - sul meno scabroso tema del “padre”…

Di fronte ad una sala gremita, ha aperto il pomeriggio un effervescente Vittorio Sgarbi, autore della prefazione al pamphlet, che ha però dovuto abbandonare “l'allegra compagnia” subito dopo, lasciando sul tavolo di presidenza, oltre ai due co-autori, la giornalista Maria Giovanna Maglie (già corrispondente del Tg2 da New York), chiamata a moderare la kermesse, il Presidente del noto circolo romano Giovanni Malagò, e il giornalista Piero Sansonetti (attualmente direttore di “Calabria Ora”, già direttore dello scomparso quotidiano di Rifondazione Comunista “Liberazione”).

Nel parterre, alcuni dirigenti dell'azienda, da Del Noce a Paglia, e molti i nomi dello spettacolo: da Mara Venier a Paola Perego, passando per Lucio Presta, senza dimenticare - ovviamente - Ingrid Muccitelli (compagna di Masi) e Sabrina Colle (compagna di Sgarbi).

“Difficili, belli, esaltanti, faticosi. Mai banali”: è così che Mauro Masi descrive sinteticamente i suoi 26 mesi alla Rai, un'azienda piena di contraddizioni e con logiche di “governance” superate: le tante potenzialità aziendali ed il ricco patrimonio di professionalità vengono tarpati da “regole medievali”…
Nonostante le aperte critiche nei confronti dell'azienda televisiva pubblica e soprattutto al suo management da parte di tutti gli intervenienti, Masi ha mantenuto toni pacati. Nelle sue parole nessuna acredine e una discreta eleganza.

Il Presidente dell'associazione dei produttori di acque minerali italiane (Mineracqua), Ettore Fortuna, gli ha domandato ironicamente: “Ma se il ruolo del dg Rai è così castrante, come lei sostiene, perché c'è sempre la fila, nell'aspirare a quell'incarico?!”.
Ovviamente, Masi (attualmente Amministratore Delegato della Consap, è uno dei possibili candidati alla presidenza Agcom) propone la sua “versione” dei fatti, piuttosto controcorrente ed originale. Non è ovviamente questa la sede per analizzare criticamente il suo operato come direttore generale della Rai per due anni: leggendo il libro, emerge un “point of view” comunque stimolante.
Una visione dall'interno dell'azienda, per molti aspetti preoccupante, quale che sia il giudizio (simpatia/antipatia) per il personaggio.

Emerge una Rai così policentrica da disperdere i processi decisionali lungo una catena burocratica paralizzante, con un “direttore generale” che ha poteri limitati e comunque inadeguati ad una impresa di queste dimensioni. Emerge una Rai governata dal cosiddetto “partito Rai”, politicamente trasversale, “lobby” interna che - secondo Masi - ha come obiettivo primario non la crescita dell'azienda o il miglioramento del servizio pubblico, ma anzitutto la propria sopravvivenza, nella migliore tradizione delle burocrazie autoreferenziali.

Masi ritiene che il suo approccio anticonformista è stato mal sopportato dalle burocrazie interne, che lo hanno visto giustappunto come “nemico”, in quanto soggetto esterno intenzionato a scardinare (in base a logiche manageriali di razionalizzazione economica) le tradizionali logiche interne (sedimentatesi nei decenni, frutto di consociativismi politico-partitico-sindacali). Come ha spiegato bene Sgarbi, Masi è stato presto “criminalizzato”, vissuto dai più come “longa manus” del demoniaco Berlusconi: questa interpretazione manichea, tipica del nostro Paese, ha presto associato il direttore generale (“servus callidus”) al premier (“dominus terribilis”), oscurando i tentativi di razionalizzazione gestionale dell'azienda e di risanamento di bilancio, di cui Masi si vanta (si ricordi che Masi è stato anche per alcuni Commissario Straordinario della Siae, ed è apprezzato per le sue doti di manager pubblico).

Il libro si caratterizza per un apparato documentativo interessantissimo, con la riproduzione di estratti di contratti ed epistolari: segnaliamo, in particolare, quello intercorso tra Rai e Sky Italia, dal quale emerge un'altra verità, rispetto a quella che ha prevalso nella pubblicistica italiana. Molte pagine dell'intrigante pamphlet sono dedicate al “caso Santoro”, che Masi ritiene esempio sintomatico delle diffuse patologie della Rai, in una mal interpretata concezione del concetto di “libertà” e “pluralismo”. Secondo Masi, tutte le trasmissioni della tv pubblica dovrebbero proporre, al proprio interno, punti di vista plurali, e non settari.

Che Masi risulti simpatico o antipatico - ribadiamo - il libro merita di essere letto, sia per la piacevolezza della scrittura sia per la ricchezza dei materiali forniti e per le interpretazioni veramente “fuori dal coro” proposte da Masi e Vulpio e Sgarbi. Sarà anche un libro che fornisce una lettura “di parte”, ma non propone approccio… “partigiano”. Un paradosso, in apparenza. Ma - come recita il detto popolare - spesso “l'apparenza inganna”.

(*) rispettivamente Responsabile di Ricerca e Presidente dell'Istituto italiano per l'Industria Culturale - IsICult

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