Il non-governo di media e cultura

Editoriale del mese: settembre 2009 –

In via eccezionale (ma potrà accadere, anche per altri, anche in futuro) questo mese cedo lo spazio dell’editoriale all’amico e collega Angelo Zaccone Teodosi (Mauro Roffi).

L'estate del 2009 resterà, nella storia della Televisione e più in generale della cultura italiana, per alcuni eventi significativi: i canali di RaiSat che scendono da Sky, l'avvio del digitale terrestre in una regione importante come il Lazio, il lancio di TivùSat, il non rinnovo della convenzione Sky-Anica, i radicali tagli ai finanziamenti pubblici del Fondo Unico per lo Spettacolo...
Questi eventi sono isolati tra loro, ma solo in apparenza. Rientrano, infatti, in un disegno di “politica culturale” che non è eterodiretto dalle “forze del male” (gli imperiali di “Guerre Stellari”? L'ultra anarcocapitalismo selvaggio?) ma è frutto di una strategia che potremmo definire “neo-liberista oltranzista, ma… con privilegi”.
Una esempio idealtipico: Sky Italia è divenuta, secondo i dati presentati nella tradizionale relazione annuale dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, il 2° “player”, per fatturato, dell'industria mediale italiana, con 2,6 miliardi di euro.
A fronte di queste dimensioni colossali, Sky destina all'industria cinematografica e audiovisiva italiana pochissimi danari, e disprezza i produttori...
Questa patologia è sintomatica: dai governi di centro-sinistra, Sky Italia è stata sostenuta, aiutata, privilegiata (per “contrapporla” politicamente a Mediaset), ma poi nessuno le ha imposto obblighi seri, che compensassero i suoi privilegi...
Un buon governo dovrebbe mettere in atto meccanismi di correzione e riequilibrio, di fronte ad assetti asimmetrici, posizioni dominanti, e anche - sia consentito usare le maledette parole - “conflitti di interesse”!
Il potere di Sky provoca una “inedita” anomala “reattiva” alleanza duopolistica, tra una Rai dall'ancora carente identità di servizio pubblico (nessun segnale concreto, nei primi mesi del novello Cda) ed una Mediaset che ricava ormai un decimo del proprio business dalla Tv “pay” (caso unico in Europa). Una Mediaset così “endogena” al Governo da essere non ostacolata in nessuna delle sue strategie di crescita. La “santa alleanza” Rai + Mediaset + Governo stimola un sistema televisivo plurale, pluralista, equilibrato? Si nutrono dubbi.
La DTT viene decantata dai più, senza che il Governo presti altrettanta attenzione alla diffusione della banda larga, che è l'unica vera tecnologia che stimoli una “società digitale” evoluta. La stessa DTT determinerà peraltro una scrematura dell'universo delle Tv locali e si andrà ad operare una selezione (di mercato) dettata dal… “censo”.
Il Governo centrale opera con (apparente) schizofrenia: Tremonti taglia, senza pietà e senza criterio, i finanziamenti pubblici allo spettacolo; Bondi continua nella sua litania di bonomia… Il Fus - così come i finanziamenti all'editoria e alla radiotelevisione - dovrebbe essere oggetto di riforme radicali, basate su valutazioni tecnocratiche, in nome del pluralismo espressivo e della pluralità di imprese. E - suvvia, diciamolo! - di una democrazia compiuta ed evoluta.
Dal Governo, nessun progetto di riforma né nessuna strategia a favore dell'industria dell'immateriale: dalla cultura ai media, al turismo, alla moda, al “made in Italy”. Un assordante silenzio “neoliberista”.
Si assiste passivi ad un generico “laissez faire, laissez passer”, che finisce per privilegiare solo i soggetti forti, sul mercato e nel Palazzo (Mediaset, in primis).
Assistiamo ad un (non) governo del sistema della cultura e dell'industria mediale, che privilegia i forti e penalizza i deboli, sostiene i grandi e punisce i piccoli, aiuta le “majors” (in senso lato) e ignora le “indies” (i produttori indipendenti, le piccole emittenti libere, le libere etichette fonografiche...).
Berlusconi e i suoi cantori, evidentemente, non comprendono che “meno cultura = maggiore povertà” (anche socio-economica).

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