Un’opinione, anche piuttosto critica, del nostro Dom Serafini sul nuovo libro di Carlo Sartori, “La grande sorella 2: La vendetta (della Tv)”, pubblicato da Mondadori.

Ho ricevuto a New York una copia del piú recente libro del caro amico Carlo Sartori e devo dire che non mi ha tanto entusiasmato. Il libro si intitola “La grande sorella 2: La vendetta (della Tv)”, è pubblicato dalla Mondadori e in vendita per 21 euro.
Non ho letto il suo precedente libro “La grande sorella”, uscito nel 1989, pertanto non so se quest'ultimo sia un “sequel” oppure un “prequel”, visto che tratta abbondantemente dell'evoluzione della Tv.
Ora bisogna capire perché ci si aspettava di piú dal prof. Sartori. Prima di tutto, Sartori é uno dei pochi esperti di comunicazione in Italia che conosce veramente il mezzo televisivo: sia dall'esterno, come professore universitario, studioso e giornalista, che dall'interno, viste le sue cariche manageriali in seno alla Rai.
A Sartori va il merito per la creazione di RaiSat e lo sviluppo di NewCo Rai International. É stato presidente di Euronews ed ha salvato il Prix Italia dall'oblio.
É l'unico italiano che al Natpe, la principale fiera dell'audiovisivo americano, é riuscito a riempire la sala in cui ha fatto le sue presentazioni. Famoso il suo monito agli americani: “Sí, abbiamo una Tv spazzatura, ma é la nostra spazzatura, non serve che ci portiate la vostra!”.
Lo volevano alle Nazioni Unite a capo del loro reparto radio-Tv dopo il successo che ha avuto nel portare la Tv (sia pubblica che privata) italiana a diventare protagonista all'Onu.
É quindi normale che da un personaggio simile ci si aspetti un libro piú focalizzato ed incisivo. Il nuovo libro, in formato tascabile di 262 pagine e diviso in 13 capitoli (piú prefazione, introduzione e conclusione), non é sufficientemente noioso per essere a livello accademico. Allo stesso tempo, peró, non ha le caratteristiche di un libro per gli addetti ai lavori ed é molto complesso per un lettore casuale.
Infatti su ben 255 note, solamente sei si riferiscono ad esperti da me riconosciuti, tra cui annotazioni da Carlo Nardello (Ad di RaiTrade), dal giornalista settoriale Emanuele Bruno (a noi ben noto!) e statistiche prese dalle riviste del settore “Screen Digest”, “Hollywood Reporter” e persino dalla ex-rivista che dirigevo, “Tv/Radio Age International”.
Il libro é poi meno incisivo - per chi vorrebbe un contatto piú diretto con l'industria - quando si analizza la bibliografia generale. Dei 329 testi citati, solamente due autori sono da me riconducibili all'industria televisiva: Glauco Benigni ed Edoardo Fleischner, oltre naturalmente alle immancabili citazioni di Marshall McLuhan e quelle (oggi di moda) degli scrittori Alvin Toffler e Gore Vidal.
Nella prefazione, Gina Nieri, un'ex allieva di Sartori che é da una vita a Mediaset, definisce il libro “Il viaggio del nostro Virgilio” ed anche un “viaggio sartoriano”. Viaggio che, a mio avviso, ha trascurato di fare tappa all'IpTv per descrivere il futuro e si é soffermato poco sul ruolo che l'America ha avuto nello sviluppo della Tv nel mondo.
Esattamente a metá libro, Sartori “tocca” un argomento poco noto che avrebbe potuto rendere il libro piú interessante, se approfondito. Ad un certo punto scrive: “Grazie poi alla 'politica dei prezzi differenziati' per mercati praticati dagli esportatori Usa (secondo la quale i vari livelli di costo dei programmi tengono conto della capacitá di spesa dei compratori)…”.
Riferito questo passaggio ad alcuni ex presidenti degli studios di Hollywood, ne é sorto un dibattito ed ho scoperto che la distribuzione televisiva a livello internazionale dei prodotti audiovisivi americani è nata per sbaglio. Il modello attuale di compravendita si basa sí - come Sartori ha giustamente fatto notare - sul concetto economico di “ció che il mercato puó sostenere”, ma é molto sbilanciato. Ad esempio, la Germania, che ha il terzo mercato Tv al mondo per i programmi americani paga di meno della piú piccola Gran Bretagna, ma molto di piú del Giappone.
Importante é anche il ruolo che, fino a metá anni '80, i compratori hanno avuto nel dettare i prezzi agli americani, ed il giro di mazzette che si é creato intorno a questo business.
Il fatto che questi importanti elementi storici siano venuti a mancare mi ha fatto pensare che Sartori abbia voluto trascurare l'aspetto industriale (“trade”) della Televisione.
Infine, c'é il ruolo futuro dell'IpTv. Forse l'assenza per me più deludente, visto che, nel 2002, quando guidava Prix Italia, Sartori fece pubblicare dalla Rai un mio saggio dal titolo, “The ten commandments for the Tv of the future”, appunto sul ruolo che l'IpTv avrebbe avuto in futuro.
Nel suo libro, Sartori dedica all'IpTv tre righe a pg. 27 ed un paragrafo a pg. 221, ma sempre come una curiositá e non come la rivoluzione televisiva che, a mio avviso, fará cambiare il modo in cui la Tv viene fruita, il suo “business model” e la produzione stessa. In un'intervista alla rivista che dirigo a New York, “VideoAge”, il nuovo presidente di Starz, Chris Albrecht (ex presidente di Hbo) afferma che “un nuovo tipo di produzione si sta sviluppando intorno alle nuove caratteristiche di distribuzione”.
Nel caso di questo libro si é persa l'opportunitá di un'autorevole voce che sostenga come il digitale terrestre sia solamente una tecnologia di transizione (cioé temporanea) tra l'analogico e la broadband, cioé l'IpTv.