Ecco quel che risulta dal nuovo rapporto di ricerca del progetto “Mapping Digital Media” promosso della Open Society Foundations, fondata da George Soros.
Pubblicato solo pochi giorni fa, il nuovo rapporto di ricerca del progetto “Mapping Digital Media” promosso della Open Society Foundations, fondata dal filantropo miliardario George Soros - che da sempre si occupa del rispetto di diritti umani, delle minoranze e del pluralismo espressivo - è dedicato al giornalismo indipendente. Partendo dall'analisi dei processi di digitalizzazione intervenuti nell'ultimo decennio, la domanda cui il rapporto tenta di dare risposta è se questa transizione abbia portato nella direzione di società più 'chiuse' o più 'aperte'.
La digitalizzazione e il pervasivo avvento di internet hanno prodotto cambiamenti radicali nei modelli di business dei media e nelle modalità di diffusione delle informazioni. Nel report ci si chiede se questo mondo sempre più connesso rappresenti un luogo migliore anche per il giornalismo indipendente. La digitalizzazione coincide veramente con una più ampia partecipazione, apertura e diversità di fonti disponibili e con una maggiore libertà di espressione? La risposta, ampiamente argomentata in quasi 400 corpose pagine, sembra essere negativa.
Nel report, dal titolo “Global findings of our Mapping Digital Media Project”, che è il risultato di studi locali realizzati con un team di oltre 200 esperti in 56 differenti Paesi del mondo, si cerca di rispondere al quesito di quali siano le forze che in qualche modo 'ostacolano' il giornalismo indipendente. È infatti tristemente noto che molti giornalisti in tutto il mondo abbiano subito minacce, siano stati imprigionati, talvolta addirittura uccisi e che la stampa sia stata sovente messa a tacere. Dalla Cina alla Bulgaria giornalisti e reporter si sono scontrati con minacce e problemi simili. Ed è forse sufficiente ricordare la triste fine dei due reporter statunitensi decapitati solo pochi giorni fa dall'Isis.
Il rapporto ha interessato 15 dei 20 Paesi più popolosi del mondo, coinvolto oltre 4,5 miliardi di soggetti e 16 tra le maggiori economie del pianeta, analizzando in particolare le cause principali di dinamiche repressive e talvolta addirittura censorie.
I trend ricorrenti, anche all'interno di scenari mediali differenti per storia e dimensioni, sono tre: i governi e la politica detengono ancora un potere eccessivo rispetto al controllo dei media, che naturalmente limita ogni chance di crescita per un giornalismo indipendente; in numerosi mercati mediali vigono ancora pratiche 'monopolistiche', ovvero oligopolistiche, operate da pochi grandi player, talvolta corrotte e comunque poco trasparenti. Se da una parte internet offre una speranza di cambiamento per un giornalismo online nuovo ed indipendente, dall'altra rappresenta un nuovo terreno di scontro per il controllo dell'informazione in cui talvolta occorre destreggiarsi per bypassare sorveglianza e censura di Stato.
Quello che appare positivo in questo scenario è una crescente partecipazione della società civile.
A livello internazionale la convergenza crescente di gruppi impegnati della società civile sta cercando di garantire che il quadro di sviluppo 'post 2015' (con tale data ci si riferisce alla conferenza annuale delle Nazioni Unite dal titolo “2015 and beyond”, in cui società civile, network internazionali e attivisti potranno proporre una “Action Agenda” per veicolare strategie di advocacy, partenariati, fino al lancio dei negoziati intergovernativi per l'adozione del progetto di sviluppo post-2015 in vista della 69ᵃ Assemblea Generale) includa per la prima volta delle specifiche misure per la protezione della libertà dei media. Governance e trasparenza dipendono in particolar modo da un universo dei media libero e da un giornalismo indipendente sano e forte.
Tematiche fondamentali queste, troppo spesso dimenticate o rimosse ma che meriterebbero una maggiore centralità nell'agenda dei media e nell'interesse collettivo. In troppi Paesi ancora, nonostante i grandi progressi tecnologici ed informatici, la libertà di espressione non è ancora divenuto un diritto riconosciuto dalla Costituzione.