Il sistema culturale secondo Federculture

Un grido d’allarme da Federculture: presentato il 9° rapporto annuale sul sistema culturale italiano.

Ormai alla sua nona edizione, il Rapporto annuale Federculture rappresenta da quasi un decennio un appuntamento importante per tutti coloro che operano nel settore culturale 'latu senso', dall'audiovisivo al cinema, dai beni culturali al turismo. Nella istituzionale sala della Promoteca del Campidoglio, il 1° luglio scorso ha avuto luogo la conferenza di presentazione del rapporto, quest'anno intitolato 'Una strategia per la cultura. Una strategia per il Paese'. Una sala eccezionalmente gremita (e mal condizionata!) ed anche un 'parterre de rois': seduti in prima fila, si riconoscevano i volti del Sindaco di Roma Ignazio Marino, delle due Assessore alla Cultura, Lidia Ravera e Flavia Barca, rispettivamente per la Regione e il Comune, di due Ministri, Massimo Bray (Mibac) ed Enrico Giovannini (Lavoro).

L¹appassionato e coinvolgente discorso di apertura del presidente di Federculture, Roberto Grossi, è stato chiaro, netto ed estremamente lucido, ed ha delineato un quadro di emergenza desolante per un Paese come l'Italia, in sé ricco di storia e di cultura:
«Siamo nel tunnel. Non c'è coscienza, non c'è abbastanza consapevolezza per ripartire, come è invece accaduto nel Dopoguerra. Non si può ragionare solo sull'emergenza. Serve una strategia di gioco. Serve una nuova consapevolezza che la cultura è importante. Non si può non combattere il mondo retorico di cui è impregnato tutto il mondo della cultura. Bisogna in primis scagliarsi contro l'indifferenza diffusa per cui tutto può succedere. E combattere la deresponsabilizzazione, il male culturale di questo Paese, sono stati alcuni dei passaggi salienti del discorso di Grossi.

Il Presidente di Federculture ha quindi auspicato il ripensamento di un modello di sviluppo, attraverso la costruzione di un 'sistema Paese', che possa arrestare la 'peggiocrazia' dilagante. Citando il sociologo Marc Augè, Grossi ha incalzato: «Bisogna colmare lo spread del sapere. L'accesso alla cultura non può e non deve essere un privilegio. La bellezza è un bene sociale».
Grossi ha quindi lamentato la scarsa attenzione che gli ultimi governi (e gli ultimi ministri cui è stato affidato il dicastero dei Beni e le Attività Culturali: da Bondi a Galan a Ornaghi) hanno assegnato alla cultura, tamponando soltanto, eventualmente, le più impellenti urgenze, in totale assenza di una strategia di fondo, facendo riferimento ­ per quel che riguarda i fondi destinati specificamente allo spettacolo, assegnati spesso in base a logiche non esattamente trasparenti ­ al sempre più esiguo Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo).

Ha citato i casi de L'Aquila e di Pompei come ferite del Paese, che vanno rimarginate. Ed il problema, ha sostenuto con fermezza, non è soltanto finanziario, ma gestionale. La spesa in cultura in Italia è in continuo, precipitoso calo. Disarmante pensare che si attesti ad un decimo di quella della Danimarca, ma ancor più grave apprendere che sia metà rispetto a quella della Grecia... Paese ormai ben oltre l'orlo del baratro.

Come spesso accade quando si parla di cultura, di cinema o di audiovisivi, si è tornati a citare la Francia come modello di 'best practice' internazionale, laddove esistono fondi assegnati alla creazione artistica ed alle industrie creative. E si è auspicata la creazione di un fondo per la 'progettualità culturale', sull'esempio dei cugini transalpini.

La chiave, ha ribadito Grossi, risiede nello 'sviluppo integrale'. Ed ha incalzato: «Occorre un Ministero che sia centro di coordinamento (con le aziende private e gli enti locali) autorevole e snello. La partecipazione culturale in Italia si attesta appena al 32%. Ma questo è il momento di agire. Ci sono 3 occasioni da non perdere: Europa Creativa (il nuovo programma comunitario 2014-2020 a favore della cultura), l'Expo 2015 e le candidature a capitali europee della cultura, le cui presentazioni scadranno a fine anno».

Grossi ha quindi sottolineato l'importanza di tornare ad essere protagonisti nella produzione culturale, rilanciando i territori attraverso il 'brand', e stimolando la domanda in modo da riportare al centro i cittadini. Ed infine, ha concluso: «Parliamo di capitale umano, la risorsa più importante. Ormai la fuga non è più solo dei cervelli, ma anche delle mani, degli artigiani, dei restauratori... Serve un piano per il rilancio del lavoro nel settore culturale. Occorre darsi da fare per ritrovare il filo ed uscire dal tunnel. La cultura rappresenta il migliore investimento. Ed il problema educativo rimane il primo nodo da sciogliere. Si deve favorire la riappropriazione ed una nuova partecipazione culturale da parte dei cittadini».

Grossi ha quindi concluso ricordando quanto recentemente dichiarato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «In Italia, la cultura è una scelta ancora da fare, ma questo è il momento. Ognuno si prenda la propria responsabilità».

Il Ministro Bray, che ha preso la parola subito dopo, ha riconosciuto che i tagli indiscriminati alla cultura degli ultimi tempi hanno determinato una delegittimazione, anche sul piano politico, del settore, allorchè cultura e turismo sono le prime risorse su cui puntare per una rinascita. E la crisi non è solo economica, ma di ideali. Bray ha insistito sulla necessità di tornare a prendere in considerazione la cultura in tutte le sue manifestazioni, dai musei alle biblioteche, ai festival, ed averne quindi una visione organica e strategica. In risposta al richiamo di Grossi al modello francese ha lamentato una profonda differenza di bilancio: il Mibac dispone di 1,5 milioni di euro l'anno, a fronte di 4 milioni di euro dei vicini francesi.

Ha quindi espresso sconforto per l'esiguità di fondi messi a disposizione, dal Mibac, per la formazione: tutto il personale ministeriale dispone di 30mila euro l'anno per attività di formazione, il che si traduce in un investimento di 1,6 euro ad addetto! «Una vergogna - verrebbe da dire - una vera vergogna. Peccato che Bray non possa più commentare da... 'outsider' questi dati scoraggianti, dato che è ormai lui il titolare del Dicastero. Belle parole, grandi esortazioni anche rispetto all'esigenza di ridefinire un rapporto di fiducia tra governanti e cittadini. Ma chi deve pensarci, se non il governo in carica e quindi lui stesso nel suo ruolo di Ministro?!

Auspichiamo davvero che questo ennesimo incontro, questo ennesimo grido d'allarme di un settore in lenta ma profonda crisi provochi una riflessione ed un ripensamento complessivo e strategico ed una sensibilizzazione (e conseguente riallocazione di risorse) ad un settore centrale per la storia e per il rilancio del Paese. Speriamo quindi che le belle parole spese dal Ministro non restino solo tali, mentre il Paese affonda.

(*) Responsabile di Ricerca Isicult.

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