In Spagna si parla da tempo del nuovo matrimonio televisivo fra la Tv del Gruppo De Agostini e La Sexta, dopo quello fra Telecinco e Cuatro. Forse ore ci siamo davvero..
Vediamo l'articolo di Simone Filippetti su un recente numero del 'Sole 24 Ore', che fa anche un bel quadro della situazione televisiva in Spagna:
«La Spagna della televisione sta per passare tutta nelle mani dell'Italia. De Agostini si prepara all'assalto finale: Antena 3, la più vecchia tv commerciale spagnola che fa capo al gruppo industrial-finanziario di Novara, starebbe per chiudere sulla conquista di La Sexta, travagliato canale che non è mai decollato ma è costato ai suoi azionisti, la variegata compagine di MediaPro, un buco da 700 milioni di euro.
Il matrimonio tra Antena 3 e La Sexta mette fine a un'era. Dopo sei anni di bulimia televisiva, con cinque canali nazionali privati gratuiti e di iper-pluralismo dell'etere, si torna a un più sano, almeno per i bilanci, duopolio. E tutto all'insegna del Made in Italy. Da tempo l'impero della famiglia Boroli-Drago ha nel cassetto il progetto di un merger con La Sexta: le prime indiscrezioni risalgono già a più di un anno fa, ma a Madrid il tam tam degli ultimi giorni sussurra che l'accordo sia in arrivo a breve: è solo una questione di tempo, magari subito dopo le elezioni politiche dove è data per scontata la vittoria del Ppe e la sconfitta del premier Josè Zapatero.
L'eventuale matrimonio consegnerà all'Italia il dominio dell'industria televisiva in Spagna (l'esatto contrario di quanto accaduto nelle tlc dove invece il nostro Paese è stato terra di conquista). In sei anni si è consumata la parabola dell'Eldorado delle tv in Spagna: da cinque tv private (più i canali pubblici) si sta rapidamente scendendo a due.
Una bolla alimentata dal presidente Zapatero che sventolando la bandiera del pluralismo ha elargito licenze a pioggia (tutti gruppi economici a lui vicini). Ne avrà giovato l'informazione, ma è stato un bagno di sangue per i bilanci. Tanto che proprio i nuovi arrivati, tra cui La Cuatro e La Sexta, sono stati i primi ad alzare bandiera bianca quando il mercato è crollato. Dietro c'era anche un disegno politico perché Zapatero voleva contrastare gli italiani in Spagna, soprattutto quella TeleCinco di Silvio Berlusconi, politicamente vicino al suo avversario, e premier uscente, Josè Maria Aznar, esponente di punta del Partito Popolare Europeo, di cui anche Forza Italia (oggi Pdl) fa parte.
Negli anni d'oro, tra il 2006 e il 2007, il mercato è arrivato a sfiorare gli 8 miliardi di raccolta: una cifra monstre, ma soprattutto irripetibile. Da allora il mercato è crollato del 30% e dopo un piccolo rimbalzo l'anno scorso oggi è attorno ai 5 miliardi. Con 5 milioni di disoccupati, al 21%, i consumi languono: uno spagnolo su tre non ha lavoro, ma tra i giovani, che sono il target pubblicitario principale in quanto più propensi ai consumi, la percentuale è ancor più drammatica perché il 60% non ha un lavoro. Di conseguenza le aziende tengono il motore al minimo, riducendo la spesa in pubblicità. L'anno che sta quasi per finire si chiuderà con uno scivolone dell'8% e il prossimo, se andrà bene, sarà fermo. Se è vero che la pubblicità è uno dei termometri dell'economia, allora in Spagna il temuto «double-dip», la doppia W, è già realtà. Ogni giorno arriva un allarme dalle banche d'affari internazionali che dipingono uno scenario da catastrofe per il Paese (ultima in ordine di tempo è stata l'americana Citigroup). Eppure in Spagna tra chi fa tv, non c'è il panico: la disoccupazione, fanno notare, è da sempre alta ed è una variabile a cui il mercato è vaccinato; il debito pubblico è il 60-70% del Pil, la metà di quello dell'Italia (al 120% della ricchezza nazionale). E oltre 5 miliardi di investimenti pubblicitari non sono un mercato disprezzabile. Soprattutto perché il digitale terrestre che in Italia sta prendendo piede e ha lanciato la pay-tv su larga scala, in Spagna (seppur partito molto prima perché già esisteva la tv via cavo), è un curioso ibrido: è quasi una pay-tv gratuita, favorita anche da alcune leggi (come quella che impone di trasmettere almeno una partita di calcio in chiaro).
Dunque niente ricavi alternativi da abbonamenti e pay per view. Se anche il mercato scendesse, a patto che non crolli ancora, saremo sui livelli di dieci anni fa, che sono le dimensioni fisiologiche del mercato iberico: storicamente l'industria dei media si è attesta tra i 4 e i 5 miliardi, al netto della bolla di quattro anni fa. La Spagna sarà pure in crisi, ma il problema dell'industria tv era più sul versante di un'eccessiva offerta che di un calo della domanda.
Ora anzi il vantaggio è che la torta è da dividere tra pochi: quello che si perde come grandezza del mercato, lo si recupera come quote, più grandi, che spettano a ciascuno dei sopravvissuti. TeleCinco già oggi la fa da padrone con quasi la meta del mercato: dopo la possibile fusione con La Sexta, Antena 3 diverrà il numero due. Gli unici due sopravvissuti al diluvio, lasciandosi dietro solo le briciole. Gli altri due canali attivi, Veo del gruppo Unidad Editorial, e Net di Vocento, joint-venture tra Disney e Mtv, insieme fanno appena l'1,5% di share. Che futuro avranno?».