Iraq: è di nuovo tempo di censura

Apriamo una finestra sui Paesi arabi, dove c’è grandissimo fermento nei media ma la democrazia, al tempo stesso, è sempre a rischio. Prediamo l’Iraq, Paese oggi poco alla ribalta delle cronache, dove si vogliono chiudere una decina di emittenti Tv.

Il 28 aprile scorso la Commissione dei Media e delle Telecomunicazioni dell'Iraq ha deciso di sospendere le licenze di 10 emittenti satellitari con sede all'estero, perché “certi canali televisivi satellitari usano un linguaggio che incoraggia la violenza e il settarismo”.

Ma la decisione della Commissione sembra più incentrata sulla volontà di colpire canali d'opposizione al governo che dalla necessità di placare “violenza e settarismo”. Infatti delle dieci emittenti, 9 sono finanziate o appartengono alla sfera del mondo sunnita e all'opposizione del governo Maliki.
I dieci canali satellitari bloccati sono: Baghdad Tv, Al-Sharqiya, Sharqiya News, Babiliya, Salahuddin, Al-Fallujah, al-Tagheer e al-Gharbiya, tutti canali iraqeni, e Anwar 2 (Kuwait), oltre al portale arabo di Al-Jazeera. I canali sono accusati di avere informato con attenzione sugli gli scontri tra sunniti ed esercito iracheno di Hawija, Kirkuk, che hanno poi portato al massacro di 50 civili da parte dell'esercito.

In realtà, visto che hanno sede all'estero, la Commissione non può chiudere le emittenti ma è intervenuta bloccando le attività dei corrispondenti in Iraq; una misura nei confronti della quale, Reporter Sans Frontieres ha ufficialmente chiesto un passo indietro. Una richiesta che segue quelle del Committee to protect Journalists, che nel 2010 aveva posto l'accento su come le restrizioni alla stampa tramite la concessione o il ritiro delle licenze governative fossero una forma di censura dittatoriale.

Per dare una corretta valutazione dell'azione della Commmisione, riportiamo una parte di un articolo di Andrea Glioti sull'interessante sito Arabmediareport.it:

“Al-Jazeera non è mai stata benvista dalla leadership sciita irachena, fin da quando simpatizzava apertamente con la resistenza all'occupazione americana. Le relazioni tra Bagdad e questa emittente del Qatar hanno continuato ad essere tese, anche alla luce dell'ospitalità offerta da Doha all'ex-vice presidente iracheno Tareq al-Hashimi, fuggito prima di essere condannato in contumacia per terrorismo.

Al-Sharqiya è di proprietà del miliardario Saad Bazzaz, ex-baathista legato al ministero dell'informazione iracheno. Nel 2008 la stazione aveva esplicitamente accusato l'emittente governativa Al-Iraqiya di aver istigato l'assassinio di una sua troupe a Mosul, in seguito a un reportage sulle torture nelle carceri irachene. Il giornale di proprietà di Bazzaz, 'Al-Zaman', è già stato al centro di una causa per aver ricevuto finanziamenti dall'intelligence saudita.

Baghdad Tv è la voce del Partito Islamico Iracheno, versione locale dei Fratelli Musulmani. Dall'inizio delle proteste governative nel dicembre 2012, ha dedicato alle proteste un'intensa copertura, integrata dalla nascita di programmi ad hoc. In questo caso, l'accusa d'istigazione all'odio confessionale sembra più plausibile, considerando lo spazio dedicato alla retorica esplicitamente settaria di alcuni leader sunniti.

Babiliya è di proprietà di Saleh al-Mutlak, ex-vice-premier iracheno, escluso dalle liste dei candidati alle elezioni politiche del 2010 per la sua precedente militanza baathista. In passato, era già stato temporaneamente rimosso dall'incarico per aver accusato di despotismo il premier Nuri al-Maliki. A gennaio Mutlak ha consegnato le dimissioni, cercando di presentarsi come paladino delle rivendicazioni sunnite.

Salahuddin e Al-Fallujah sono emittenti dal chiaro interesse regionale, concentrato in due roccaforti degli oppositori di Maliki. Il canale kuwaitiano sciita Anwar 2, di proprietà di una famiglia iraniana, è l'unica eccezione tra le emittenti di proprietà sunnita colpite dal provvedimento, ma non si può che interpretarlo come uno specchietto per le allodole”.

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