La Camera ha alla fine approvato nei giorni scorsi la proposta di legge sulla diffamazione, da tempo in discussione e oggetto di vivaci dibattiti. La legge, modificata a Montecitorio, torna ora in quarta lettura al Senato ma potrebbe aver assunto una forma definitiva, salvo sorprese a Palazzo Madama.
La principale novità del provvedimento è che per la diffamazione non sarà più previsto il carcere per i giornalisti, ma solo pene pecuniarie (dai 5mila ai 10mila euro). Se il fatto attribuito è però consapevolmente falso, si applica la multa da 10mila a 50mila euro.
In compenso, è stato introdotto l'obbligo di rettifica senza commento a favore dell'offeso.
Soppressa la norma in base alla quale è il direttore a rispondere degli articoli non firmati e quella sul cosiddetto diritto all'oblio, il diritto cioè a eliminare dai siti e dai motori di ricerca le informazioni diffamatorie. Nella legge sulla stampa rientrano ora anche le testate giornalistiche online e radiotelevisive. Rinviata ad altro provvedimento la questione della diffamazione sui blog.
Anche per l'ingiuria e la diffamazione tra privati viene eliminato il carcere ma aumenta la multa (fino a 5mila euro per l'ingiuria e 10mila per la diffamazione) che si applica anche alle offese arrecate in via telematica. Approvato un emendamento nei casi di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, delle testate giornalistiche on line o della radiotelevisione: in caso di querela temeraria, il querelante può essere condannato anche al pagamento di una somma da mille a 10mila euro in favore della Cassa delle ammende. Chi invece attiva in malafede o colpa grave un giudizio civile a fini risarcitori rischierà, oltre al rimborso delle spese e al risarcimento, di dover pagare a favore del convenuto un'ulteriore somma determinata in via equitativa dal giudice, che dovrà tenere conto dell'entità della domanda risarcitoria.
Rettifiche o smentite, purché non inequivocabilmente false o suscettibili di incriminazione penale, devono essere pubblicate senza commento e risposta menzionando espressamente il titolo, la data e l’autore dell’articolo ritenuto diffamatorio. Il direttore dovrà informare della richiesta l’autore del servizio. Tempi e modalità della pubblicazione in rettifica variano a seconda dei diversi media. Se però vi è inerzia, l’interessato può chiedere al giudice un ordine di pubblicazione. Nella diffamazione a mezzo stampa il danno sarà quantificato sulla base della diffusione e rilevanza della testata, della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatorio della rettifica.
L’azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione. Al di fuori dei casi di concorso con l’autore del servizio, il direttore o il suo vice rispondono a titolo di colpa se vi è un nesso di causalità tra omesso controllo e diffamazione; la pena è in ogni caso ridotta di un terzo, comunque esclusa per il direttore al quale sia addebitabile l’omessa vigilanza l’interdizione dalla professione di giornalista.
Le funzioni di vigilanza possono essere delegate, ma in forma scritta, a un giornalista professionista idoneo a svolgere tali funzioni.
A meno che non si tratti di diffamazione dolosa, quanto pagato dal direttore o dall’autore della pubblicazione a titolo di risarcimento del danneggiato avrà natura di credito privilegiato nell’azione di rivalsa nei confronti del proprietario o editore della testata. La norma cosiddetta salva-giornalisti è stata infatti estesa durante l’esame in aula a tutti gli autori di pubblicazioni, dopo i casi dell’Unità e altre situazioni in cui l’editore, magari fallito o ‘scomparso’, non poteva più ‘aiutare’ i giornalisti.
Non solo il giornalista professionista ma ora anche il pubblicista potrà opporre al giudice il segreto sulle proprie fonti.
Anche per l’ingiuria e la diffamazione tra privati viene eliminato il carcere ma aumenta la multa (fino a 5mila euro per l’ingiuria e 10mila per la diffamazione) che si applica anche alle offese arrecate in via telematica.