Anche in Ecuador come in altri Paesi dell’America Latina, chi governa non ama le critiche. E quanto a libertà di stampa, si preferisce farsene paladini all’estero…
Dopo anni di dibattito, rinvii e un'ultima discussione all'Assemblea Nazionale, il presidente dell'Ecuador Rafael Correa ha firmato la Ley de Comunicaciòn. È una legge sui media a cui l'Ecuador ha iniziato a lavorare nel 2010, discussa e criticata da molte organizzazioni internazionali perché considerata limitativa della libertà di stampa.
La nuova legge si rifà (ma poi va oltre) a principi universalmente riconosciuti, come accade con l'articolo 18 che vieta qualsiasi forma di censura da parte del Governo o delle autorità; gli articoli 37, 38 e 39 garantiscono poi alcuni diritti dei giornalisti e la protezione delle fonti; il 112 si occupa di distribuzione delle frequenze e prevede che il 34% sia assegnato a broadcasters di Stato, il 33 a broadcasters privati e il restante 33% a media comunitari.
Sotto accusa è invece la creazione di due organismi governativi, il Consiglio di Regolamento e il Sovrintendente per la Comunicazione, per i quali Correa avrà influenza nella scelta dei membri. Essi dovranno preparare studi di settore e garantire pari opportunità e accesso all'informazione, ma avranno anche il compito di controllare e sanzionare le notizie che loro stessi non considereranno “di pubblico interesse”.
Il Comitato governativo per la partecipazione sociale dovrà nominare un "Garante" per ogni organo, con il fine di monitorare che venga rispettata la legge, facendo pensare alla possibilità di valutare la rilevanza o meno delle notizie da pubblicare. Ancora, viene criticato l'articolo 77 che limitando a cinque minuti settimanali il tempo di intervento di rappresentanti di uffici pubblici, attribuisce al presidente e allo speaker dell'assemblea nazionale il diritto di intervenire invece in onda per tutto il tempo ritenuto necessario.
Da tempo il presidente Correa è criticato dalle Ong internazionali per la libertà d'espressione per i suoi attacchi alla stampa, anche dagli schermi Tv, come scrive Pino Corrias su 'Venerdì di Repubblica', riferendo di “lunghi monologhi in diretta Tv, ogni sabato mattina, per due ore, su tutti canali”, dove il 'Presidentissimo' fa “i suoi 'Reportage al popolo'” e si scaglia contro i giornalisti chiamandoli 'sicari', 'mentitori di professione', 'ignoranti', immorali', 'banditi'”.
Peraltro, quando Correa “arrivò al potere, anno 2006, lo Stato poteva contare su un solo canale Tv e su quello della Radio nazionale. Oggi, oltre i due terzi delle emittenti Tv e radiofoniche che 24 ore al giorno illuminano i 14 milioni di ecuadoriani sono di proprietà statale e riverberano la voce, gli umori, le insofferenze, il potere di Correa”.
Recentemente Juan Carlos e Christian Zurita, due reporter investigativi ecuadoriani, dopo un lavoro di 4 anni, hanno pubblicato un libro, “Gran Hermano”, presto sparito dai negozi. Il libro, con tanto di prove, parla di Fabricio Correa, fratello del presidente, e degli affari miliardari fatti dal primo con appalti firmati dal secondo. Citati in giudizio, i due giornalisti sono stati condannati in primo grado ad una multa pari a due milioni di dollari statunitensi per “danni morali”.
C'è poi il caso del presunto tentativo di far fallire il principale quotidiano d'opposizione al Governo Correa, ovvero 'El Universo' di Guayaquil, anche qui per un articolo giudicato «offensivo e bugiardo» e con una causa di richiesta danni pari a 40 milioni di dollari Usa, più tre anni di carcere per Gustavo Cortez, giornalista accusato di avere scritto falsità. Il giornale, dopo la fuga di Cortez all'estero, è poi stato poi “perdonato” da Correa.
Naturalmente Correa è paladino della libertà di stampa a livello internazionale e sostenitore prima di Assange e adesso di Edward Snowden e delle sue rivelazioni, sulla scia di altri governanti populisti sudamericani, fra i quali primeggiava il non certo dimenticato venezuelano Chavez. All'estero dunque tutto è libero e permesso, dappertutto, ma non in Ecuador.