La Rai in cerca del proprio ruolo

Dopo un primo appuntamento tenutosi in ottobre volto ad affrontare i temi della ‘missione’, ‘governance’ ed ‘indipendenza editoriale’, la Rai, lo scorso venerdì ha promosso una seconda giornata convegnistica dedicata all’offerta del servizio pubblico, ovvero al modo in cui la Rai esplica la propria missione e i propri valori attraverso la produzione di contenuti. Così come per il primo appuntamento, anche il secondo incontro, promosso dal Gruppo Rai anche per mostrare al Governo ed alle forze politiche la propria apertura (e certamente nell’ottica della tante volte annunciata riforma), non è apparso particolarmente innovativo, né nella forma né nei contenuti.

Tenutosi nella Sala degli Arazzi di viale Mazzini, il convegno ha previsto ben 6 tavole rotonde, dalle ore 9.30 alle 18.00. E già questo elemento di ‘maratona’ intellettuale desta non poche perplessità. Chi avesse voluto seguirlo dall’inizio alla fine, sarebbe arrivato al termine di questa kermesse stordito più che arricchito, ubriacato più che stimolato. Ma i maratoneti non sono poi stati così numerosi, giacché dopo l’iniziale pienone, dovuto in buona parte agli ospiti internazionali (sessione mattutina), la kermesse ha registrato un pubblico degno di una gremita riunione ci condominio.

Nella cartella stampa, il programma, in italiano e in inglese (!?!), oltre al consueto taccuino targato Rai. Nessuna presentazione, nessun comunicato, neanche l’ombra di una ricerca. Ancora una volta: parole, soltanto parole. Spesso condite di retorica e buoni propositi.

Peraltro stupefacente la quasi totale assenza di ricadute stampa (almeno sulla stampa quotidiana: non 1 articolo 1!).

Anna Maria Tarantola in apertura ha parlato di tre parole-chiave: innovazione, creatività, talento. Unite poi ad espressioni come ‘assunzione di coraggio’, con una Rai che cerca di avvicinare gli italiani alla cultura digitale, grazie al progetto ‘Maestro Manzi 2.0, proprio come aveva fatto negli anni ‘50 per l’alfabetizzazione. Il paragone, sia consentito, è un po’ forzato.

Ma, quel ‘qualcosa di unico’ che offre la Rai e che dovrebbe fare la differenza (ovvero gli elementi distintivi del public broadacasting service ed il valore aggiunto del servizio pubblico, appunto) si stenta a percepirlo accendendo la Tv. E la strage al Charlie Hebdo ­ rievocata proprio da Tarantola nel cedere la parola al Presidente di France Telévisions, Rémy Pflimlin ­ non è stato esattamente un modo per ‘marcare la differenza’, dal momento che la Tv di servizio pubblico non ha ritenuto, nella serata del 7 gennaio, neppure di modificare adeguatamente i propri palinsesti, e dedicare uno speciale in prime-time all’accaduto su una delle tre reti generaliste. La lettera che, in argomento (deficit di tempestiva ed accurata copertura giornalistica Rai degli eventi drammatici di Parigi) il Dg Gubitosi ha inviato in risposta alle domande del Presidente della Vigilanza Fico non appare particolarmente convincente, ed è, una volta ancora, auto-referenziale e priva di autocritica.

Dal canto loro, gli ospiti internazionali ­ dopo la Francia è stata la volta di Bbc, quindi della Tv pubblica finnica ­ hanno difeso l’importanza del servizio pubblico, oggi ancor più di prima, all’interno di uno scenario multipiattaforma in cui le fonti di informazione si moltiplicano. Solo il servizio pubblico può offrire l’autentica ‘spiegazione’ di quello che viene mostrato, garantendo la qualità della propria offerta e l’affidabilità delle proprie notizie. In un mondo in cui ormai l’informazione ha tante forme e il rischio continuo è la confusione (l’overdose di ‘notizie’), il servizio pubblico può (deve) garantire una informazione di riferimento che sia valida, indipendente, plurale ed accurata.

Nella tavola dedicata alla cultura e moderata da Stefano Rolando (eccellente sociologo, molti anni fa a capo del Dipartimento Informazione e Editoria della Presidenza del Consiglio), Monsignor Nunzio Galantino ­ in rappresentanza della Cei ­ ha espresso velate critiche alla Tv pubblica italiana, sostenendo che, se l’obiettivo della Rai è la rincorsa dell’audience alla stregua di una Tv commerciale, il risultato non può che essere un¹offerta di modelli culturali degradanti. Andrebbero promossi cultura e spirito critico, a detta di Galantino. E come non dargli ragione?!

Certo, Galantino rivendica anche maggiore spazio alla religione, da lui stesso definita ‘dimensione costitutiva della realtà’, oltre che una maggior attenzione a qualità e pluralismo. Evidentemente deve essergli sfuggito che la religione cristiana è l’unica a godere di uno spazio (peraltro discretamente privilegiato, rispetto alle altre confessioni religiose) all’interno della programmazione. Un programma dedicato all’ebraismo ed al protestantesimo va in onda nel cuore della notte, a cadenza settimanale alternata, e le altre confessioni vengono pressoché ignorate, con buona pace dell’Agcom, che deve essere ­ come sempre ­ in altre vicende affaccendata, e, con il suo sonno, benedice il ‘pluralismo’ politico (e sociale e religioso...).

La grande rivoluzione per la Rai viene annunciata da più parti, ma, a parte i soliti pomposi convegni, stenta a concretizzarsi. Forse dovremo attendere aprile, annunciato dal premier Renzi come “il mese della cultura e della Rai”. Anche se qualche dubbio resta.

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