Una recensione del nostro collaboratore Antonello De Luca del film del momento: la prima parte della versione breve (seguiranno la seconda parte e la versione lunga, hard) di ‘Nymphomaniac’ di Lars Von Trier.

Dopo averlo visto non ho capito subito perché il primo capitolo di 'Nymphomaniac' - ultima fatica del regista danese Lars Von Trier della durata di 4 ore nella versione breve, 5 in quella integrale (hard), nelle sale italiane con il primo volume della durata di 2 ore scarse - venisse da tutti annoverato come (la metà esatta di) un'opera d'arte.
Recensire la prima parte di un film già non è esattamente una cosa logica.
Invece febbrile è stata l'attesa, tante le recensioni, molti i pareri per quello che il Los Angeles Times ha definito un film che: “... fornisce, forse come le esperienze di amore e sesso, una varietà di intuizioni, emozioni, inaspettata leggerezza e momenti di shock viscerale”. Un film (la prima parte) che ha fatto discutere, arrabbiare, ridere e commuovere pubblico e critica.
La storia: un vecchio soccorre in un vicolo una ragazza appena aggredita, la porta a casa, le offre un thè e lei inizia a raccontargli la sua storia di ninfomane. E le prime due ore passano d'incanto, lasciando storditi come quando si è di fronte a qualcosa di veramente nuovo e si fa fatica a decifrare gli stilemi linguistici di tale novità (da adesso in poi ne parlerò come fosse un film completo e non la prima metà).
Dicevo, il dubbio.
Non tanto per la sceneggiatura, perfetto esempio di forza ed equilibrio: ogni parola calibrata restituisce dialoghi in cui il personaggio interpretato da Stellan Skarsgård spiega le tecniche di pesca con la mosca a quello impersonato da Charlotte Gainsbourg, che risponde raccontando della propria ninfomania; sono dialoghi che diverse recensioni presenti in Rete hanno definito filosofici (proprio per la capacità di creare tensione emotiva tra elemento maschile e femminile, apollineo e dionisiaco ecc.), colti e citazionisti (da Bach a Poe, da Fibonacci alla pesca, ecc.), godibili e funzionali ad una struttura solida, vera cifra stilistica di questo primo volume.
Non tanto per l'interpretazione attoriale - un super-cast di stelle. Attori che sviscerano il testo lasciandosi attraversare da esso senza violarlo, ma pronunciando ogni battuta come a teatro - : l'effetto intimo si realizza in pieno e raggiunge il suo climax nella scena in cui Uma Thurman compare da una rampa di scale, quasi in punta di piedi, e come dal profondo avanza in un vuoto che avvolge i successivi minuti fino allo scoppio finale.
Non tanto per la regia, per l'uso della camera a mano, la distanza dei corpi - si dirà poca - , senza dimenticare che non è per nulla facile raccontare nichilismo e amore, dolore, solipsismo e dipendenza, grazie al solo uso di cinepresa e luce.
Non tanto per sonoro, montaggio e fotografia, scenografia, trucco ed effetti speciali, fino ai costumi - anche se ognuna di queste componenti meriterebbe un piccolo paragrafo.
Mi preme soffermarmi sull'ultimo elemento, perché ho avuto l'impressione che il regista danese (o meglio la costumista Manon Rasmussen) abbia voluto trattare la scelta dei costumi come letteraria più che cinematografica. Infatti, nei film in costume, gli abiti di scena determinano l'epoca, così come nel feuilleton. E anche se in 'Nymphomaniac' non ci sono particolari riferimenti che lasciano intendere che Joe abbia trascorso la propria adolescenza negli anni '70, è bastata una gonna, una cintura, le calze, le scarpe per far capire che è di quel periodo storico che si tratta. Molti film “non in costume” esagerano in riferimenti. In Nymphomaniac anche quest'aspetto è in equilibrio con tutto il resto.
Il dubbio, dunque, non è tanto sull'impeccabilità tecnica grazie alla quale 'Nymphomaniac 'è stato costruito, quanto sull'autenticità artistica riferita alla gratuità con cui il sesso viene presentato e messo in scena. Infine, la comprensione che, al di là di tutto, quest'ultimo film di Von Trier sia un'opera d'arte proprio grazie a tale gratuità.
Dopo aver preso in rassegna “i modi”, è naturale soffermarsi sul tema centrale, ovvero il sesso. Si è parlato di opera “pornografica, provocatoria...”. Ma in questa prima parte di film, ho contato solo tre scene “davvero” esplicite (scena fellatio in treno; scena cunnilinguus; scena di sesso finale, con primo piano del sesso maschile e penetrazione). Sarebbe corretto aggiungere un'altra scena in cui Joe racconta dei diversi organi sessuali maschili di cui ha avuto esperienza, mentre il regista ce li mostra uno ad uno in un campionario fallico più simile ad un libro di anatomia che a un film “pornografico, provocatorio...”. Il risultato è tra il comico e il raccapricciante.
Insomma, per quanto realistiche, queste scene sono volutamente gratuite, forse addirittura superflue, sicuramente eccessive all'interno di una struttura narrativa che starebbe comunque in piedi, a prescindere da esse. E in tal senso ho pensato a cosa sarebbe stato 'Psycho' se Hitchcock, nella famosa scena della doccia, avesse mostrato un seno di Janet Leigh (impossibile, causa rigida censura di quegli anni). E procedendo “per sottrazione” a cosa sarebbe stato 'Pulp Fiction' senza la scena dell'iniezione di adrenalina che Travolta fa alla Thurman.
Così, partendo dalla locomotiva dei Lumiere si arriva a cosa sarebbe 'Nymphomaniac' senza queste quattro scene, esplicita visione di atti sessuali a primo impatto gratuita. Quentin Tarantino, intervistato proprio sulla scena dell'iniezione, disse che induce due reazioni possibili: o si ride o ci si copre gli occhi. Ecco: in entrambi i casi non si rimane indifferenti. Dunque anche in 'Nymphomaniac' è proprio la gratuità la chiave di quelle scene, e non è provocazione, ma la necessaria componente di un'opera d'arte.
Perché ciò che davvero conta in un'opera d'arte è il superfluo; quel “quid” senza il quale un film non crolla, ma grazie al quale, per quanto egregiamente girato, diventa “cosa altra”, una presa di coscienza difficile da dimenticare. Forse è per questo - al di là della sceneggiatura, della regia, dell'interpretazione ecc. - che il film di Lars Von Trier è un'opera d'arte. Perché mostra gratuitamente il sesso, non tanto per raccontare una storia, ma come fantasmagoria. E la fantasmagoria è l'unica vera ragione per la quale usciamo la sera e paghiamo un biglietto per andare al cinema.
“Nymph()maniac” è un’odissea carnale. Von Trier fa del film un dialogo a due, il dibattere schematico tra inconscio e ragione, corpo e intelletto, ma anche, e soprattutto, tra artista e pubblico. Non è solamente un catalogo di una disperata educazione sentimentale, una fiction sessuale, un’enciclopedia completa sul sesso degli esseri umani, ma è anche un film sull’arte del raccontare.
Ecco il link alla mia recensione completa: https://mgrexperience.wordpress.com/2016/07/27/nymphmaniac-di-lars-von-trier/