La relazione 2016 dell’Agcom al Parlamento

 

I ricavi del settore media calano nel 2015 dell’1.2%, passando da 14,378 miliardi del 2014 a 14,207 miliardi: è un dato che rappresenta però un elemento positivo, se viene paragonato alle flessioni degli anni precedenti.

È quanto emerge - nella sintesi dell’Ansa - dalla Relazione annuale dell’Agcom, in cui si nota come la fase recessiva del sistema dell’informazione che ha caratterizzato gli ultimi anni subisca una battuta di arresto. Tv e Radio occupano la fetta maggiore dei ricavi dei media (8,501 miliardi, + 0,8%). In netto calo, ancora, l’editoria (3,998 miliardi, - 7.5%); cresce Internet (1,708 miliardi, + 5,2%).

“Si intravede una nuova direzione - ha spiegato il presidente Angelo Marcello Cardani (nella foto) - verso la quale sta evolvendo l’industria dei media, scandita dalle prospettive offerte dai processi di convergenza media-telco, ora possibili anche grazie alla disponibilità di una connessione veloce (banda larga e ultralarga)”.

La Tv in chiaro produce ancora la parte più consistente degli introiti (4,5 miliardi nel 2015, in crescita dell’1,4% sull’anno precedente), anche se il divario rispetto alla pay-tv si è andato riducendo negli ultimi anni. Le offerte a pagamento toccano infatti quota 3,324 miliardi nel 2015 (anche se è - 1,5% rispetto ai 3,375 miliardi del 2014).

Nell’ambito dell’editoria, i quotidiani passano da 2,111 a 2,011 miliardi di ricavi, in calo del 4,7%, mentre i periodici perdono il 10% (da 2,209 miliardi a 1,987 miliardi). La principale fonte di ricavo resta la pubblicità all’interno dei programmi Tv, che pesa per il 41% sulle entrate complessive, seguita dalle offerte della Tv a pagamento, incluse quelle sul web (38%). Più contenuto il peso dei fondi pubblici (21%), che includono il canone Rai, le convenzioni con soggetti pubblici e le provvidenze pubbliche erogate alle emittenti.

Nel dettaglio del sistema televisivo, Cardani ha parlato di una realtà tripolare. Circa il 90% dei ricavi totali nel 2015 è detenuto dai tre noti big, con Sky che resta regina con una quota del 32,5% (in calo di 1 punto sul 2014); Mediaset è ancora seconda con il 28,4% (+ 0,4%), tallonata dalla Rai con il 27,8% (+ 0,3%). Ci sono poi Discovery con il 2,3% (+ 0,3%) e il gruppo Cairo con l’1,5% (- 0,2%). Gli altri soggetti occupano insieme il 7,4% (+ 0,1%).

“Sia la Televisione in chiaro sia quella a pagamento continuano a essere settori particolarmente concentrati - ha notato Cardani - , sebbene l’evoluzione tecnologica abbia determinato un aumento delle possibilità di ingresso sul mercato da parte di nuovi soggetti e su più piattaforme distributive”.

Nella Tv in chiaro, pur con una riduzione delle quote dei primi due operatori, si conferma il ruolo preponderante della Rai, che detiene una quota del 48,3%, seguita da Mediaset, con il 35%. Sul fronte della pay-tv la fa da padrone il gruppo Sky, con una quota pari al 76% nel 2015 (pur - 1,1% rispetto al 2014); a netta distanza Mediaset, che con Premium ha occupato il 19,4% del mercato (+ 1,1%).

Rai e Mediaset, pur perdendo share rispetto al 2010, restano di gran lunga gli operatori principali con quote di ascolto rispettivamente del 37% e del 32% nel giorno medio. Discovery e il gruppo Sky detengono quote comprese tra il 5% e il 6%, mentre la quota di Cairo Communication resta al di sotto del 4%.

In tema di dati di audience, Cardani ha ricordato che l’Autorità ha avviato di recente un’indagine conoscitiva sui sistemi di rilevazione degli indici di ascolto, per “verificare la tenuta complessiva dell’intero sistema delle rilevazioni delle audience di tutti i mezzi di comunicazione, incluso Internet”.

Cardani ha parlato in positivo della consultazione pubblica lanciata dal governo in vista del rinnovo della concessione tra Stato e Rai, in scadenza il 31 ottobre, “nel tentativo, per la prima volta, di coinvolgere il più ampio numero di cittadini, e non solo gli addetti ai lavori, nella ridefinizione dei compiti del servizio pubblico”. Per il presidente dell’Autorità, “è indubbio che occorre oggi interrogarsi sugli obiettivi di interesse generale svolti dal servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale, al di là degli obiettivi conseguiti dal mercato. Mi piacerebbe che la risposta a chi ritiene superata l’epoca dei servizi pubblici radiotelevisivi fosse un lavoro comune, di tutti i Paesi membri, volto alla creazione di una Carta dei servizi pubblici radiotelevisivi europei”.

Da parte sua, la Radio nel 2015 ha registrato circa 650 milioni di euro di ricavi, affrontando la crisi del settore pubblicitario meglio degli altri media. In un contesto di generale calo per i mezzi tradizionali le risorse pubblicitarie del settore radiofonico sono cresciute del 12% rispetto al 2014, dopo una riduzione iniziata nel 2010. Inoltre a fronte di risorse pubbliche pressoché stagnanti e sotto attenta revisione da parte del Legislatore, i ricavi pubblicitari delle Radio aumentano il loro peso sul totale delle risorse del settore (78% nel 2015, a fronte di un 70% dell’anno precedente).

Continua invece il trend positivo per la raccolta pubblicitaria sul web in Italia, che nel 2015 raggiunge un valore stimato pari a 1,708 miliardi di euro. Il contributo più consistente deriva dalla pubblicità di tipo display e video, la cui quota sul totale, dal 2013, è stabilmente sopra il 50% e ha presentato un trend di ricavi in costante aumento; per il 2015, l’incremento stimato di questi ricavi è del 6%.

Tuttavia, in generale, secondo Cardani, “alla velocità delle trasformazioni tecnologiche in atto nel sistema dei media non corrisponde un andamento altrettanto dinamico della struttura e della composizione dei ricavi, che risulta invece caratterizzata dalla difficoltà per gli operatori, in tutti i mercati dell’informazione (ancor più a livello locale), di individuare modelli di business adatti al contesto digitale”.

 

Se poi parliamo di Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC), nel 2015 esso mostra una sostanziale tenuta rispetto al 2014 ed assume complessivamente un valore di circa 17 miliardi di euro.

Passando al tema della banda larga, la diffusione degli accessi a banda ultralarga in Italia sono passati dal 3,8% della popolazione del 2014 al 5,4% del 2015, ma si tratta di una percentuale “ancora molto bassa”.

 

Nel 2015, infine, il settore delle comunicazioni (tlc, media e servizi postali) ha registrato una contrazione dei ricavi dell’1% a 52,6 miliardi di euro. In particolare, le tlc sono scese dell’1,5% a 31,9 miliardi, con il fisso (- 2,5% a 16,1 miliardi) che è sceso più del mobile (- 0,5% a 15,7 miliardi); i media, come detto, hanno registrato una contrazione dell’1,2% a 14,2 miliardi; i servizi postali sono invece cresciuti dell’1,8% a 6,4 miliardi. Il settore incide per oltre il 3% sul Pil italiano.

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