La Televisione e l’informazione: da Freccero a Papa Francesco

Una riflessione su Freccero, le modalità televisive che hanno accompagnato l’elezione del nuovo Papa e sulla perdurante forza di un mezzo che condiziona sempre il modo di pensare della gente.

Strano periodo quello in cui vive l'Italia in queste settimane: senza Governo, senza Papa (almeno fino alle ore 19 di mercoledì 13 marzo), senza Capo della Polizia, e con qualche altra “vacatio” ancora… Con una crisi economica che mette sempre più a dura prova la sopravvivenza, anche di coloro che fino a poco tempo fa venivano definiti la “classe media”.

Una situazione incomprensibile per uno straniero, soprattutto se proveniente da Paesi in cui ancora esiste lo “Stato” con la “S” maiuscola. Nel “bel Paese”, ormai l'economia è allo stremo, il lavoro un inafferrabile miraggio, il welfare un lontano ricordo. Grande è la preoccupazione, per il presente prima ancora che per il futuro, ma altrettanto grande l'immobilismo. A volte, sembra di vivere sospesi, nell'attesa di qualcosa, forse una sorta di “deus ex machina” che faccia tornare i molti tasselli scompaginati al loro posto.

Un mercoledì uggioso quello del 13 marzo a Roma, una giornata come tante: alle ore 18, presso la libreria Feltrinelli della Galleria Alberto Sordi, in pieno centro (a poche decine di metri da Palazzo Chigi), la presentazione del nuovo libro di Carlo Freccero, dal titolo un po' “naif”, ma certamente efficace… “Televisione” (Bollati Boringheri, 2013); un'ora dopo, a solo poche centinaia di metri di distanza, in una Piazza San Pietro gremita di fedeli giunti da ogni parte del mondo, la fumata bianca ha annunciato la decisione del conclave sulla nuova guida della Chiesa Cattolica.
Forse in molti si stanno chiedendo cosa porti chi scrive queste noterelle ad accostare due eventi tra loro, nella sostanza e nella forma tanto differenti. Il filo conduttore esiste, e forse più che esser un filo è un'autostrada: si tratta del complesso mondo della comunicazione mediale.

Da una parte Freccero, che nel suo libro, in modo illuminante e provocatorio, racconta la storia della Tv, i suoi cambiamenti e le sue ripercussioni sulla società italiana. La storia della Tv per Freccero è in parte la sua stessa storia, quella che ha vissuto personalmente, lavorando nel settore televisivo da oltre 30 anni: dagli albori della Tv commerciale Mediaset (allora Fininvest) - passando per l'esperienza francese di La Cinq - all'attuale posizione nell'azienda di servizio pubblico alla direzione di Rai 4. Nel corso di una coinvolgente presentazione, Freccero, vero “animale da palcoscenico” ed eccellente oratore, ha offerto ai presenti un'immagine di grande impatto.

Il tema era quello del condizionamento, bidirezionale, tra società e mezzo televisivo. Storicamente, ricorda Freccero, gli anni '80 hanno fatto da spartiacque, vero momento di passaggio tra la Tv delle élite e la Tv divenuta sempre più specchio della società tutta, intesa come “maggioranza” e massa. E, nonostante l'innovazione recente (dal passaggio al digitale alle nuove modalità di fruizione), la Tv è rimasta un elemento cardine per l'intrattenimento e l'informazione del Paese. E la vecchia Tv generalista è ancora “mainstream”, soprattutto in alcuni strati sociali: “andate in periferia” - ha suggerito provocatoriamente Freccero - “verso le 20. Anche se tutte le luci venissero spente, il quartiere sarebbe illuminato a giorno dai piccoli schermi”.

E proprio mentre Freccero intratteneva il suo attento pubblico (anche se la presentazione del libro avrebbe meritato una “location” di più ampio respiro), il conclave designava l'argentino di origini italiane Jorge Mario Bergoglio nuovo Papa. Quel che interessa, qui ed ora, non è l'elezione del nuovo pontefice in sé, ma l'atteggiamento assunto dai “media tradizionali” (dalla Tv generalista alla Radio, alla stampa quotidiana) nella comunicazione della tanto attesa nomina, e nelle ore subito successive.

Quello che emerge è un quadretto desolante. Le principali reti generaliste hanno dedicato il prime- time ad uno speciale su “Papa Francesco”, che solo una manciata di minuti dopo l'elezione era già stato definito da più voci... “Papa rivoluzionario” (qualcuno ha addirittura avuto il coraggio di accostarlo ad un altro argentino senza dubbio rivoluzionario: il Che!). Difficile credere che, in quei pochi minuti, tutti avessero avuto modo di fare approfondimenti tali su Bergoglio da ipotizzarne una condotta “rivoluzionaria”, appena eletto al soglio pontificio. Ma lo stesso trend è stato seguito dalle Radio e da buona parte della stampa quotidiana del 14 marzo.

La maggior parte dei media ha spiegato il suo essere un “rivoluzionario” anzitutto con la sua provenienza. Bergoglio è argentino ed è effettivamente il primo Papa proveniente dall'America Latina. Rivoluzionario per la Chiesa forse l'aver scelto un latino, ma nulla di più. Altri hanno attribuito un peso importante alla scelta del nome, Francesco, in riferimento al Santo di Assisi, profeta di povertà ed umiltà, ma forse anche al Francesco Saverio, gesuita e missionario spagnolo vissuto nella seconda metà del '500 e proclamato santo nel 1622, contemporaneo di Ignazio di Loyola e tra i primi a seguire le orme del fondatore della Compagnia di Gesù, l'ordine cui Bergoglio appartiene…

Tra le poche voci fuori dal coro, “Il Manifesto”, testata notoriamente molto schierata (reca ancora la autodescrizione “quotidiano comunista”), che ha titolato “Non è Francesco” (parafrasando il titolo della mitica canzone di Battisti), destando dubbi sul nuovo arrivato - la cui prima dichiarazione è stata “mi avete preso alla fine del mondo” (e qui non sappiamo se Bergoglio abbia voluto parafrasare Wenders!) - e, ricordando un passato tra luci ed ombre, non esattamente soltanto da umile curato da favelas… Un articolo firmato da Luca Kocci titola, con efficacia: “Una sorpresa, non una novità”.

Alcuni hanno attribuito al nuovo pontefice addirittura forme di connivenza con la dittatura militare, temi su cui sembra vi siano testimonianze nel libro dell'intellettuale e giornalista argentino Horacio Verbitsky, “El vuelo” (pubblicato nel 2005, pochi mesi prima dell'elezione di Joseph Aloisius Ratzinger), anche se potrebbe trattarsi della sempre pronta “macchina del fango”. Si consideri che, se è vero che l'allora seminarista Joseph Ratzinger non fu mai membro volontario della Hitlerjugend, ma venne costretto a iscriversi dalle autorità naziste come tutti gli altri alunni tedeschi del seminario che frequentava a quattordici anni, le scelte di Bergoglio rispetto al dramma dei “desaparecidos” in Argentina sono sicuramente maturate in età adulta, allorquando aveva sui quarant'anni ed era Generale dei gesuiti argentini. Si tratta di scelte controverse: alcuni lo accusano di connivenza, o comunque di doppiogiochismo, con i generali, altri ne elogiano invece le doti di mediazione e diplomazia.

Sicuramente il neo-Papa non è amato dalle associazioni delle “Madri” e delle “Nonne” di Plaza de Mayo. Il quotidiano “Pagina 12”, vicino al governo Kirchner, ha titolato “Dios Mio!” e nella stessa testata si leggeva un articolo dal titolo “Errare è divino”. Lo stesso giornale riporta un episodio inquietante: Bergoglio è accusato di essersi disinteressato del caso del “furto” di una neonata data alla luce da una “desaparecida”, ed affidata non si sa a quale famiglia (triste dinamica frequente nel periodo tetro della dittatura militare); ai parenti disperati, pare avesse dichiarato che era meglio lasciar perdere, perché sicuramente la bambina stava bene, sebbene in un'altra famiglia!

Cosa rende quindi così rivoluzionario questo Papa, esattamente antiabortista e contrario alle nozze gay (definite addirittura “segno del diavolo”!?!), come i suoi predecessori peraltro, e finanche maschilista? Si ricorda infatti che, commentando la candidatura alle presidenziali argentine del 2007 da parte della peronista Cristina Kirchner, l'allora cardinale si era prodotto in dichiarazioni inequivocabilmente sessiste: “Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L'ordine naturale ed i fatti ci insegnano che l'uomo è un uomo politico per eccellenza, le Scritture ci mostrano che le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell'uomo, ma niente più di questo”…

Quindi questa sedicente “rivoluzione” su quali fondamenta si basa? Sul preferire Bergoglio all'auto la bicicletta? Sul mantenere sul petto una croce di ferro, piuttosto che adottare i tradizionali paramenti d'oro zecchino? Sul gesto “simbolico” di aver pagato il conto dell'albergo (sarebbe sintomatico di una gran vocazione all'austerità!), argomento clou della giornata mediale del 15 marzo???

In questa vicenda, l'informazione “mainstream” si è quasi totalmente appiattita al filone dominante. La questione non è forse neppure riconducibile al delicato tema del pluralismo dell'informazione, arena di dibattito dalla quale l'italico sistema non è affatto esente, ma di appiattimento mediale collettivo, di intorpidita coscienza critica e scarsa reattività dello “spettatore medio”.

Il clou del conformismo e dell'esaltazione s'è certamente registrato nella solita trasmissione di Vespa, ma una sorta di buonismo pervasivo ha attraversato tutte le emittenti televisive italiane.
Di fatto, conduce ora la Chiesa Cattolica un uomo che ha assunto in passato posizioni conservatrici, anzi reazionarie, in materia di unioni civili, dimensione gay, aborto, ruolo del femminile nella società.

Qualche analista ha sostenuto che è innovativo che il nuovo Pontefice abbia utilizzato, nella sua prima pubblica sortita, la parola “popolo”, che pare fosse stata messa al bando dal vocabolario utilizzato dal suo predecessore Benedetto XVI: insomma, un po' poco, per assurgere al ruolo di... “Papa rivoluzionario”!
Il rimanere essenzialmente “stregati” dalla scatola televisiva e prendere per buono tutto quanto ci trasmette, si riflette nel fatto che la mattina del 14 marzo, attraversando un mercato rionale romano, non si sentivano altro che frasi come “ci voleva proprio un Papa così”. Alla domanda “così come?”, ci si chiede in quanti avrebbero risposto con un minimo di cognizione, senso, coscienza (per “coscienza”, intendiamo coscienza critica).

Quel che emerge come dato inconfutabile, ancora una volta, è il potere del mezzo, ovvero che anche questa volta, l'ancora indiscusso media “mainstream”, la Televisione, avesse veicolato con successo il messaggio. È quindi ancora valido per la Tv quanto sostenne Marshall McLuhan: “the medium is the message”. E questo in parte richiama alla memoria l'appena passata campagna elettorale ed i suoi tristi esiti…

Grillo ha scelto di non apparire in Tv, è vero: non ha mai partecipato a talk-show o dibattiti elettorali di sorta. Ma quanto è stato presente, in modo quasi invasivo, “indirettamente”, anche sulle Televisioni (web a parte).
“Meditate gente meditate...”, come usava dire un personaggio che la Televisione la conosce bene, qual è Arbore.

(*) Responsabile di ricerca IsICult (www.isicult.it)

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