L’Agcom ha dunque preso la sua decisione e, secondo molte attese, ha stavolta sancito l'irregolarità della posizione di Vivendi (Bollorè) in Italia, che ha conquistato prima Tim (Telecom Italia), diventandone primo azionista e, mano a mano, sempre più ‘dominus effettivo’, e ha poi lanciato, dopo la rottura su Premium, la clamorosa serie di acquisti sul mercato dei mesi scorsi di azioni di Mediaset, fino ad arrivare a detenere circa il 29% della società (sulla soglia dell’OPA), diventandone dunque di gran lunga secondo azionista dopo la Fininvest di Berlusconi e conquistando sempre più peso, in prospettiva, nella gestione del gruppo televisivo.
L’Agcom ha ritenuto questa ‘doppia presenza’ sul mercato, in società di questa importanza e su mercati ormai ‘affini’ come quello delle tlc e della Televisione, contraria alle regole ‘anticoncentrazione’ in vigore, con specifico riferimento all’articolo 43 del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici.
Vivendi ha dunque un anno di tempo per rimuovere la sua posizione dominante nel mercato dei media e delle telecomunicazioni del nostro Paese e potrà o diminuire le sue quote in Mediaset o quelle in Tim (di cui è primo azionista con il 24%). Inoltre il gruppo francese dovrà presentare all’Autorità stessa entro 60 giorni il “piano d’azione” che la società intende adottare per ottemperare all’ordine; la pena prevista in caso di non ottemperanza è una multa compresa fra il 2% e il 5% del fatturato.
Per l’Agcom, le imprese di comunicazioni elettroniche che detengono sul mercato italiano una quota superiore al 40% non possono acquisire ricavi superiori al 10% del famoso Sic - Sistema Integrato delle Comunicazioni e Mediaset supera decisamente questa quota, ragion per cui il suo controllo non potrebbe essere sommato a quello di Tim (che supera il 40% sull’altro mercato).
L’Agcom è stata attivata da un esposto presentato da Mediaset nel dicembre del 2016, già nel pieno della lotta a coltello fra Fininvest (e la stessa Mediaset) e Vivendi.
Che succederà ora? Mediaset ha espresso “soddisfazione e attende di leggere il dispositivo per stabilire le azioni future”; i francesi di Vivendi (Vincent Bollorè), invece, si riservano “di adottare ogni opportuna iniziativa in tutte le sedi competenti contro la decisione presa dall’Agcom per tutelare i propri interessi, inclusa la presentazione di un ricorso al Tar e di un esposto alla Commissione europea per segnalare la violazione di fondamentali principi del diritto Ue”.
Ma adesso la posizione del gruppo transalpino in Italia appare in salita e sembra probabile una scelta fra i due investimenti, entrambi perseguiti in precedenza con grande decisione, rapidità e determinazione nelle varie mosse effettuate. Molti scommettono su una rinuncia progressiva a Mediaset, vista anche la difficoltà di attuare un’Opa per una conquista definitiva.
Ma il presidente Agcom Angelo Marcello Cardani, in audizione al Senato, non è sembrato dello stesso parere: “Alcuni obiettano che la specializzazione culturale di Vivendi sia sempre stata più la gestione dell’audiovisivo che quella delle telecomunicazioni e che quindi la direzione naturale sarebbe quella di mantenere la propria presenza in Mediaset e di disfarsi di Telecom Italia”.
Intanto sono stati resi noti i risultati di bilancio 2016 di Mediaset, che - peggior risultato della sua storia - ha registrato una perdita di 294,5 milioni, con ricavi in leggera crescita a 3,667 miliardi. La perdita 2016, secondo l’analisi di Piersilvio Berlusconi, va interamente attribuita proprio all’esito imprevisto e ‘infausto’ della vicenda Premium, che doveva passare proprio ai francesi di Vivendi prima della clamorosa rottura dei mesi scorsi. Mediaset stima per via di questa situazione un ‘effetto negativo’ di 341 milioni (in particolare nel secondo semestre 2016), che superano i citati 294 di perdite a bilancio. Quest’ultimo avrebbe dunque potuto chiudersi in teoria, se queste valutazioni fossero esatte, con un leggero attivo.