Questa settimana facciamo un passo indietro e vi presentiamo, dato il suo indubbio interesse, il documento conclusivo del festival ‘Eurovisioni’ di Roma, svoltosi in ottobre, in cui si è discusso molto del senso del ‘servizio pubblico’.

Ecco una sintesi del documento in questione:
“Eurovisioni 2013 ha avuto per tema il servizio pubblico radiotelevisivo in Europa. Un argomento che è stato già discusso in questa sede già altre volte, anche mettendo a confronto il modello europeo con quelli esistenti in altre regioni del mondo, discutendo dei punti di forza e di debolezza del sistema misto pubblico/privato divenuto lo standard europeo.
Due gli avvenimenti che hanno spinto verso questa scelta: l'annuncio a fine 2012 del governo portoghese di voler privatizzare il servizio pubblico della RTP e soprattutto la decisione del governo greco di chiudere con un colpo di mano di tipo militare, il servizio pubblico della ERT subito prima dell'estate 2013.
Nel primo caso il governo portoghese è ritornato sui suoi passi ed ha rinunciato alla privatizzazione in cambio di una sostanziale riduzione dei costi del servizio pubblico e del perimetro dei servizi prestati alla cittadinanza.
Nel secondo caso ,invece, ancora al momento in cui Eurovisioni 2013 ha avuto luogo, la Grecia è priva di un servizio pubblico di radiotelevisione e non lo avrà fino a primavera 2014 inoltrata, sempre che tutto vada bene.
Quello che sembrava inimmaginabile appena un anno fa al momento di Eurovisioni 2012 è diventato di colpo possibile, anzi si è diventato realtà…
La domanda che questi due eventi hanno fatto diventare d'attualità fra gli addetti ai lavori è se si possa fare a meno in una società avanzata e basata sul modello sociale europeo, del servizio pubblico di radiotelevisione. Se il tanto decantato modello misto pubblico-privato eretto dal Rapporto Belet approvato dal Parlamento Europeo appena 4 anni fa (2010) a base del sistema mediatico dell'Unione sia già obsoleto e destinato a diventare un ricordo del passato.
Certo, esistono modelli di società avanzate diverse dall'Europa che già fanno a meno del Servizio Pubblico come lo intendiamo in Europa. Il modello principale è quello degli Stati Uniti, dove la PBS e la NPR (la Tv e la Radio pubbliche) sono una voce marginale del panorama mediatico, con ascolti che non raggiungono le due cifre e con finanziamenti in larga parte provenienti da privati. Anche la loro programmazione è conseguente, con programmi che si rivolgono alle élite intellettuali del Paese e non cercano in alcun modo di raggiungere il grande pubblico.
Però il modello americano di servizio pubblico ha scopi completamente diversi da quello europeo. Non ha nessuna pretesa ci raggiungere l'intera popolazione, ma solo le classi dirigenti. Non intende tenere un Paese insieme, ma punta ad informare ed a intrattenere con prodotti di qualità le proprie élites nazionali, come detto.
Viceversa in Europa le Tv pubbliche, nella maggioranza dei Paesi, detengono ancora quote significative degli ascolti radiotelevisivi, raggiungono quote significative di pubblico (tranne alcune eccezioni) e offrono programmi rivolti a tutti i pubblici e non solo alla classe dirigente del Paese.
Però in tempi di austerità diffusa questa capacità di incidere sulle popolazioni e di tenere insieme il Paese non è più una priorità ai primi posti per le classi dirigenti nazionali, anzi - in alcuni Paesi - il servizio pubblico radiotelevisivo è scambiato con una qualsiasi “utility” come l'acqua o l'elettricità, di cui si può passare la gestione ai privati.
Al contrario, per alcuni partitiultraliberali il servizio pubblico è diventato una “bestia nera” ed è considerato come un avamposto dell'opposizione, come una voce fastidiosa di cui si farebbe volentieri a meno. Di sicuro qualcosa di non essenziale per un nuovo concetto di democrazia dove i cittadini non sono più tutti eguali.
Eppure la battaglia per un servizio pubblico di tutti non è di certo una battaglia di parte ma è e dovrebbe essere una rivendicazione di tutti i cittadini, di destra come di sinistra, condotta da chi vi lavora, ma anche appoggiata da tutti coloro che hanno a cuore il modello europeo di sviluppo, solidale e basato sulla volontà di federare i cittadini di ciascun Paese.
Uno sforzo eccezionale, insomma, nell'arco di tre-quattro giorni, in cui si sono poste le basi per alcuni dei dibattiti che nei prossimi mesi caratterizzeranno le discussioni in sede europea e le decisioni da prendere in materia audiovisiva sia in Italia che all'estero”.