Il nuovo piano industriale disegna una radicale trasformazione di Premium e un nuovo orizzonte per il Gruppo, mentre l’intesa con Tf1 e ProSiebensat privilegia il modello di business Avod (Advertising Video On Demand)
Un uno-due sferrato nel giro di poche settimane. Prima l’alleanza internazionale nel segmento dei video online, poi il road show di Londra di fronte agli investitori internazionali per presentare il piano industriale da qui sino al 2020. Mediaset rialza la testa, si scrolla di dosso il peso di Vivendi e ridisegna l’orizzonte prossimo futuro del proprio business. Ci vorrà del tempo per capire la bontà o meno delle linee guida strategiche tracciate, soprattutto nella City, dove il gruppo di Cologno ha cercato di individuare una volta per tutte una ragionevole soluzione al problema di Premium, la pay tv che non ha mai portato a casa i risultati agognati, un macigno per l’azienda guidata da Pier Silvio Berlusconi. Paradossalmente dovrebbe essere proprio la televisione a pagamento a portare la fetta più ampia del miglioramento dell'Ebit che Berlusconi Junior conta di raggiungere nel 2020: Premium dovrà infatti contribuire per 200 milioni di euro alla crescita del reddito operativo che è stato fissato in 468 milioni di euro. In che modo? Sono tre i principi cardine per la nuova Premium: "Rimanere un editore di canali non sportivi con una distribuzione multi-piattaforma", "separare la piattaforma di distribuzione dal business editoriale" e "adottare un approccio opportunistico rispetto ai diritti del calcio". Il gruppo prevede di "rendere disponibili i canali pay prodotti da Mediaset anche ad altri operatori" e, contemporaneamente, di aprire la piattaforma tecnologica Premium "a tutti i produttori di contenuti interessati a un'offerta pay".
Insomma per rilanciare il business di Mediaset Premium e renderlo sostenibile Cologno si aspetta ancora l’ingresso di uno o più soggetti terzi, mentre a livello editoriale prende atto che il calcio non è più indispensabile al contrario di film, serie tv e intrattenimento. Una chiara sconfessione della linea seguita sino a ieri che ha portato a spendere oltre 700 milioni di euro per il grande calcio. Questo significa che il gruppo della famiglia Berlusconi non parteciperà alle nuove aste per i diritti televisivi di Serie A o Champions League? E per quanto riguarda i diritti che già controlla li dividerà con la Sky oppure con la Rai? Domande legittime la cui risposta arriverà tra non molto tempo. Di certo visto che Premium viene indicato come l’asset da cui ci si attende il contributo più significativo nel triennio, il gruppo ha previsto una cura monstre in termini tagli se si pensa che nei primi nove mesi del 2016 la pay ha perso circa 116 milioni di euro.
Ma nel business plan di Mediaset non si parla solo di Premium: sul versante pubblicitario il Gruppo punta a incrementare la propria market share sul mercato italiano passando dall’attuale 37,4% a oltre il 39 per cento nel 2020, grazie a un rafforzamento della raccolta che passerà anche per gli spot “regionalizzati” e profilati sulle abitudini per le Tv connesse. Inoltre è deciso a puntare su produzioni proprie locali e di qualità con Medusa e Taodue Film e a lanciare piattaforme cross-media aperte alla collaborazione con gli Over the top. Entro fine anno, inoltre, Mediaset conta di lanciare sul Web una nuova piattaforma di contenuti dei canali in chiaro fruibili on demand, che sia gratis per gli utenti ma che contenga pubblicità per catturare gli inserzionisti. Infine, nel settore radio la società si dice pronta a cogliere “opportunità per un ulteriore consolidamento della leadership”, attraverso l'incremento dell'audience, lo sfruttamento della propria struttura di vendita e la crescita di alcuni aspetti che vengono definiti "non convenzionali", come eventi e nuovi format radio collegati ai programmi televisivi. In soldoni dei 468 milioni complessivi di Ebit in più previsti nel periodo 2017-2020, Mediaset oltre ai 200 che arriveranno da Premium, conta su 123 milioni di Ebit della riorganizzazione interna, su 45 milioni dal fronte dei contenuti, con un mix di investimenti e ottimizzazione, su 10 milioni dall'esecuzione del piano del polo radiofonico e su 90 attesi dalla pubblicità.
Qualche giorno prima del road show nella capitale inglese, Mediaset ha invece stretto un intesa nei video online con Tf1, la rivale francese della pay tv di Bollorè e con la tedesca ProSiebensat. Nel dettaglio Mediaset ha acquisito una partecipazione (per il momento il 5,5%) in Studio 71, il principale Multichannel Network in Europa (tra i primi 5 al mondo) controllato da ProSiebenSat. Da notare che questa politica di partnership con altri broadcaster va nella direzione opposta a quella che avrebbe dovuto intraprendere con l’ex alleato Vivendi. Infatti il Biscione non si mette a fare concorrenza a Netflix e ad Amazon, etc. con i servizi a pagamento, ma si lancia in un modello gratuito sulla falsariga dell’americana Hulu, riorganizzando tutta la sua videoteca per un’offerta ragionata in grado di moltiplicare le entrate grazie alla pubblicità.
Studio 71 opera sulle principali piattaforme gratuite di distribuzione video (a partire da Youtube), sviluppando oltre 6 miliardi di video visti al mese ed è presente in cinque Paesi con circa 200 dipendenti. In Italia, gestisce già un inventory di oltre 40 milioni di video visti al mese. Mediaset quindi si sta orientando verso il mondo dei video online che predilige il modello di business Avod (Advertising Video On Demand) con accesso gratuito, grandi ascolti e ricavi provenienti integralmente dalla pubblicità. Un ambito in cui i grandi broadcaster europei hanno un forte vantaggio competitivo, sia in termini di capacità di produzione di contenuti, che di raccolta pubblicitaria. Non a caso Italia Publitalia 80 sarà la concessionaria esclusiva del network, potenziando in questo modo la sua vocazione sempre più crossmediale.