Le frequenze Tv valgono sei miliardi di euro

Per la prima volta quantificato il mercato potenziale dell’etere. La stima è di Italmedia. Ripubblichiamo un interessante articolo del ‘Corriere della sera’ sul tema delle frequenze Tv.

Riportiamo qui di seguito un articolo davvero interessante uscito sul 'Corriere della sera - Economia' del 13 febbraio scorso:

«Quanto vale il mercato nazionale delle frequenze televisiveO Circa 6 miliardi di euro. È questo il valore teorico, se tutte fossero messe sul mercato. Lo ha stimato per la prima volta ITMedia (o Italmedia; Ndr.), società di ricerca e consulenza. E le frequenze tivù varranno sempre di più: perché sono destinate a veicolare nuovi e profittevoli servizi di telecomunicazione.

Tuttavia gli 'incumbent' Rai e Mediaset, che controllano oltre l'80% delle frequenze nazionali e la quota prevalente di questo mercato potenziale, per utilizzare le frequenze pagano allo stato soltanto circa 20-30 milioni di euro all'anno.

«Fino a pochi anni fa le reti di broadcasting erano soltanto un centro di costo per le televisioni - dice Augusto Preta, direttore generale di ITMedia - . Ma con la convergenza digitale, il trading delle frequenze e la concorrenza sta cambiando tutto».

Un canale digitale (o multiplex, «mux»), che occupa lo stesso spettro di un solo canale di Tv analogica, può trasmettere fino a sei reti tivù, anche di altri operatori. E, soprattutto, le frequenze digitali veicoleranno in forma di bit tutti i servizi di telecomunicazione. Cioè la televisione mobile, la tivù ad alta definizione, la radio e, in futuro, la voce e Internet veloce, grazie a tecnologie come il WiFi e il WiMax. Quindi le frequenze e le reti digitali si trasformeranno in formidabili centri di profitto.

«Le basse frequenze, finora riservate alle trasmissioni tivù, hanno un grande valore - spiega Maurizio Dècina, guru delle tecnologie di comunicazione - . Hanno la particolarità di coprire aree molto estese e di portare segnali ben ricevibili dentro le case. Le reti che utilizzano le basse frequenze tivù possono costare anche dieci volte meno delle reti mobili cellulari, che usano invece le alte frequenze. Perciò le frequenze tivù fanno gola sia alle televisioni sia ai gestori di Tlc fisse e mobili».

Inoltre in Italia, a differenza che in tutti gli altri Paesi europei, la legge sulla tivù digitale del 2001 e poi la legge Gasparri hanno permesso il trading delle frequenze. Risultato: il mercato sta facendo boom.

Recentemente, Mediaset ha acquisito per 185 milioni la rete tivù di Sportitalia dal finanziere tunisino Tarak Ben Ammar e, dalla Tv francese, TF1, per offrire la tivù mobile digitale (ma solo entro la metà di marzo l'Antitrust dirà se e come permettere questa acquisizione, che potrebbe costituire una posizione dominante). E poi il gestore mobile 3 ha comperato Canale7, pagando circa 220 milioni di euro per offrire la tivù mobile. E ancora, Rai, Telecom Italia, il gruppo l'Espresso e Prima Tv, controllata da Tarak Ben Ammar e da Tf1, hanno investito altre decine di milioni sulle nuove reti digitali.

I prezzi delle frequenze aumentano sempre di più: il parametro è il prezzo per abitante raggiunto. All'inizio del trading ogni utente valeva circa un euro, ora si toccano i 5 euro. «Stimiamo che oggi il valore di una frequenza con copertura del 95% della popolazione sia di circa 240-270 milioni - spiega Preta - . Considerando che sarebbero possibili circa 25 multiplex a livello nazionale, il mercato potenziale vale circa 6 miliardi».

Insomma, sembra che oggi sia possibile realizzare circa 25-30 «mux» invece dei 18 previsti dal Piano delle frequenze preparato nel 2003 dall'Autorità per le Comunicazioni. Il Piano (rimasto sulla carta) dopo tre anni sarebbe già superato. Inoltre il valore delle frequenze potrebbe aumentare ancora con l'offerta dei nuovi servizi Tlc. «Nel mercato delle telecomunicazioni ogni utente raggiungibile può valere decine di euro - spiega Decina - Il prezzo delle frequenze e il mercato totale potrebbero decuplicare».

Non è un caso che Rai, con Raiway, e Mediaset, con Rti, puntino a diventare anche gestori dei nuovi servizi di telecomunicazioni. Ma l'evoluzione digitale apre anche nuovi problemi.

«Le frequenze sono un bene pubblico pregiato e in generale i Governi seguono due strade per valorizzarle - spiega Claudio Leporelli, docente di ingegneria economico-gestionale alla Sapienza -. O sono messe all'asta a favore dello Stato, come nel caso dell'Umts e come negli Usa, dove il governo stima di incassare almeno 10 miliardi di dollari dalla gara. O lo Stato assegna le frequenze con trasparenza, imponendo ai gestori la possibilità di accesso da parte di terzi a prezzi chiari e orientati ai costi». In Italia che succederàO».

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