All’Università Europea di Firenze uno stimolante seminario sul pluralismo nei media…
Si è svolto il 29 ottobre a Firenze, nella cornice di Villa La Fonte, uno dei 13 edifici dell'Eui - European University Institute (raro caso di istituzione universitaria “pan-europea” promossa dall'Unione), il seminario “European Union competencies in respect of media pluralism and media freedom”, promosso dal Cmpf - il Centre for Media Pluralism and Media Freedom dell'Università Europea, diretto dal professor Pier Luigi Parcu e cofinanziato dall'Unione Europea (budget di 600mila euro per il primo anno di attività, dal dicembre 2011).
Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom (Cmpf) è uno dei progetti sviluppati all'interno del Robert Schuman Centre for Advanced Studies dell'European University Institute, ma è una iniziativa diretta della Commissione Europea, promossa dalla Commissaria Neelie Kroes, Commissaria Europea per l'Agenda Digitale. Si tratta di un laboratorio di ricerca tra i più evoluti in Europa. La tematica del pluralismo è senza dubbio una delle questioni sensibili, nell'agenda delle istituzioni europee, in quanto elemento fondante delle logiche democratiche nazionali e continentali.
Il diritto alla libertà di espressione ed informazione è stabilito dall'articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione. Non si tratta soltanto di affermazioni di principio, perché, per esempio, nel corso del 2011, la Commissione è intervenuta, durante la gestazione del recepimento della Direttiva “Audiovisual Media Services” nella normativa ungherese, imponendo concreti correttivi, che allineassero la legge nazionale agli standard europei.
Il seminario, giornata di intenso dibattito tra esperti di indiscussa fama internazionale, è stato anche l'occasione per presentare la ricerca del Cmpf “European Union Competencies in respect of media pluralism and media freedom”.
La kermesse, suddivisa in 4 sessioni ognuna di un'ora e mezza, ha visto coinvolti oltre 20 relatori. Ogni sessione ha avuto un suo specifico focus: dal problema “definitorio” e “misurativo” del pluralismo, argomento del primo panel, agli aspetti economici, trattati nella seconda parte della mattinata, per passare a tematiche legislative e regolatorie a livello comunitario nelle due sessioni pomeridiane.
Temi centrali come l'accesso libero ad internet, il pluralismo, il rispetto delle minoranze (culturali, sociali, religiose, etniche...) sono da sempre argomenti sui quali la Ue concentra la propria attenzione, al fine di contribuire al rispetto della libertà, della pace e quindi della democrazia nei diversi Paesi dell'Unione.
Il tema del pluralismo nei media è un perno fondamentale per il rispetto di un reale assetto democratico, soprattutto in un'era in cui i media costituiscono un volano di informazione primario nella vita di ciascuno.
I cambiamenti tecnologici degli ultimi anni e l'arrivo dirompente di internet e dei nuovi player della rete hanno radicalmente modificato il panorama mediale e, di conseguenza nuovi parametri devono essere stabiliti per la misurazione stessa del pluralismo. “Non si può imbrigliare il nuovo sistema mediale con vecchi modelli, anche per quanto concerne il pluralismo” - è un concetto emerso trasversalmente in più di un intervento.
Il primo problema posto sul piatto è stato quello definitorio: trovare una definizione condivisa di “media pluralism” nel nuovo scenario mediale e stabilire nuovi metodi di misurazione.
Per definire il “pluralismo” possono essere presi in considerazione tre livelli di analisi: indicatori di tipo normativo/legale, socio-demografico ed economico.
Come ha rimarcato Andrea Calderaro, ricercatore del Cmpf, l'analisi può essere condotta con metodi qualitativi o quantitativi, ma - come ben sa qualsiasi ricercatore - ogni metodologia offre vantaggi e limiti allo stesso tempo.
Paolo Mancini dell'Università di Perugia ha illustrato 3 modelli (idealtipici) differenti:
- il primo modello, cosiddetto di “internal pluralism”, prevede la neutralità dei media, indipendenti rispetto al potere. Generalmente, l'assetto politico corrispondente a questa situazione è quello del bipartitismo. Si tratta di un modello minoritario, comunque esistente, come testimoniano i casi di Usa e Regno Unito;
- il secondo modello analizzato, definito “external pluralism”, implica un mercato mediale parzialmente frammentato. Esistono differenti punti di vista in competizione tra loro. Da un punto di vista politico, ci si trova in un “multi-party system”, ovvero in una situazione in cui i player sulla scena sono numerosi. È quella che viene definita “democrazia consensuale”, e rimanda alla Scandinavia;
- la terza situazione è quella della “strumentalizzazione dei media”, in cui il pluralismo è molto basso. La società civile risulta disorganizzata e le regole della democrazia appaiono essenzialmente poco definite.
Mancini è uno dei più famosi studiosi di “modelli mediali” internazionali. Ricordiamo che in un testo di riferimento scritto insieme a Daniel C. Hallin (“Comparing Media System: three models of media and politics”), identificava tre modelli: il modello “mediterraneo o “polarizzato-pluralista” (Grecia, Italia e Spagna), il modello “nord-europeo” o “corporativistico democratico” (Belgio, Danimarca e Finlandia) e il modello “nordatlantico” ovvero “liberale” (Regno Unito).
Per quel che riguarda gli aspetti economici del pluralismo, Giovanni Gangemi, ricercatore Cmpf, ha introdotto il secondo panel, identificando una serie di tematiche riprese poi dai relatori intervenuti. Partendo dall'assunto che il mercato tende alla concentrazione (complici le barriere all'ingresso determinate dagli alti investimenti iniziali), nel nuovo scenario la situazione sembra modificarsi e nuovi assetti tendono ad emergere. Si abbassano le barriere in entrata, contribuendo all'ingresso di nuovi player e quindi favorendo, da una parte, una maggiore pluralità del mercato, una estensione dello spettro dell'offerta. L'altra faccia della medaglia è però costituita dalla frammentazione dell'audience che, alla fine, determina un calo di appeal per i nuovi entranti.
La domanda da porsi è dunque: la concentrazione aumenta o diminuisce nel nuovo scenario dei media online? E un altro importante interrogativo è: cosa accade a livello di concentrazione nel mercato dei new media?
Da un punto di vista geografico, i nuovi operatori emergenti in rete sono quasi esclusivamente provenienti dal mercato statunitense. Inoltre, in questo nuovo contesto, strumenti tradizionali come le quote o i “public funding,” messi in atto per proteggere le industrie culturali-mediali locali, rischiano di essere inefficaci. Il mercato europeo, inoltre, sta vivendo un forte rallentamento determinato dalla congiuntura economica sfavorevole, mentre i player di Usa e Giappone continuano ad aumentare i loro fatturati a vista d'occhio.
Il dibattito scientifico non mostra pareri sintonici e concordi: ancora una volta, lo scontro tra “apocalittici” ed “integrati” si ripropone, anche rispetto all'analisi critica delle prospettive. Gli ottimisti sono convinti che “the media sky has never been brighter” e che il nuovo assetto del mercato evidenzia più pluralismo che mai. Molti gli studiosi sul versante “pessimista”: efficace la sintetica espressione “it is easier to speak, but harder to be heard”.
Quello che emerge, in conclusione, è che una maggiore diversità sul versante dell'offerta non corrisponde necessariamente ad una maggiore diversità sul versante della domanda, e ciò non porta quindi automaticamente a un maggiore pluralismo. La questione è comunque controversa, a partire dalla necessità di definire i “mercati rilevanti”, e dalle problematiche derivanti dalle dinamiche multi-mediali e multi-piattaforma che tendono a ridefinire continuamente i “perimetri” delle varie attività dell'industria mediale.
Gillian Doyle (nome certamente noto a quanti si occupano di queste tematiche), dell'Università di Glasgow, ha sostenuto che, sul fronte concentrazione proprietaria /pluralismo, influiscono numerose variabili, che è sempre bene tenere in considerazione: le dimensioni e la ricchezza del mercato di riferimento; il numero di player presenti sulla scena; la diversità degli output; le tendenze all'innovazione tecnologica; il consolidamento delle risorse…
Eli Noam (considerato una sorta di “guru”, autore di 28 libri e centinaia di articoli su queste tematiche e attualmente anche direttore del Columbia Institute for Tele-Information) della Columbia University, ha concentrato il proprio intervento sul problema della concentrazione mediale e proprietaria nell'era digitale, arrivando a concludere che internet è un mercato altamente concentrato.
Marco Gambaro, dell'Università di Milano (nonché fondatore di Simmaco), si è invece interrogato su come misurare la concentrazione di un mercato, in un momento in cui i metodi classici non sono evidentemente più efficaci, complici gli effetti dirompenti di digitalizzazione e globalizzazione. Se la digitalizzazione, da una parte, ha consentito l'entrata di nuovi soggetti sulla scena, questo processo non ha però avuto come conseguenza diretta maggiore pluralismo, ma semplicemente una “potenziale visibilità” per soggetti che prima non ne avrebbero certamente avuta.
Le due sessioni pomeridiane si sono concentrate sugli aspetti regolamentari e legali del pluralismo, con numerosi autorevoli interventi, a partire da una sintesi di scenario curata da Elda Brogi, ricercatrice Cmpf, che hanno evidenziato i problemi dell'approccio regolatorio a livello europeo rispetto ad internet e ai nuovi scenari.
Pochi i riferimenti all'Italia, che pure, secondo alcune analisi comparative internazionali (incluso il progetto promosso da Soros “Mapping Digital Media”), soffre di un qual certo deficit di pluralismo.
La ricerca realizzata dal Centre for Media Pluralism and Media Freedom sarà oggetto di ulteriori occasioni di approfondimento e dibattito.
(*) Responsabile di ricerca IsICult - Istituto italiano per l'Industria Culturale (www.isicult.it).