Forse si avvicina la fine dell’epoca delle tante redazioni e delle tante edizioni indipendenti fra loro dei Tg Rai. Il piano voluto dal Direttore Generale Gubitosi è pronto e potrebbe entrare in vigore nei prossimi anni, nonostante proteste e resistenze.
Due super-redazioni, meno poltrone, più sinergie e stop alle sovrapposizioni: è il 'piano 15 dicembre' disegnato dal direttore generale Luigi Gubitosi per rottamare il vecchio sistema dell'informazione Rai, figlio della riforma del 1975 e della lottizzazione. Atteso da giorni, evocato nei rumors della vigilia, temuto dalle redazioni già in allarme, il progetto è stato anticipato dal dg in un'intervista all'Espresso ed è stato poi presentato anche al Cda.
La filosofia di Gubitosi è dare un'impronta europea, stile Bbc, all'informazione della Tv pubblica nell'era digitale. Dal 15 dicembre 1979, quando nacquero la TgR e il Tg3 completando l'assetto delle testate, «sono passati 35 anni. C'è stato un cambiamento politico, sociale, tecnologico, economico, mediatico epocale. Ma noi siamo rimasti legati a quel modello, logico in uno schema senza concorrenza e con il web inesistente. Allora - dice Gubitosi - offrire tre visioni era comprensibile. Poi il pluralismo è diventato lottizzazione e la lottizzazione è degenerata».
Con la digitalizzazione, invece, «le redazioni sono diventate totalmente intercambiabili» e quindi è possibile «superare le distinzioni tra differenti testate». La rivoluzione immaginata dal dg sarà in due fasi: la prima, tra il 2015 e il 2016, prevede la nascita di due newsroom, la numero 1 «composta dall'accorpamento di Tg1, Tg2 più Rai Parlamento», la 2 «formata da Tg3 più Rai News più Tgr e Ciss, meteo e Web».
La prima «sarà generalista e avrà anche un canale istituzionale», la seconda «porterà un'evoluzione dell'all news integrando offerta nazionale, internazionale e locale. Con Newsroom 2 otteniamo un risparmio immediato» - sottolinea il dg, che in audizione alla Camera rivendica anche di aver già ridotto i costi di 40 milioni quest'anno, in linea con la spending review fortemente voluta dal governo Renzi, e definisce «abbastanza vicino» l'obiettivo di andare in pareggio di bilancio, «al netto dei 150 milioni» tagliati dal decreto Irpef.
Per i telespettatori, assicura Gubitosi, non cambierà nulla: «Nella pratica i marchi Tg1, Tg2, Tg3 rimarranno. Chi guarda il Tg1 delle 20 continuerà a vedere il logo e i conduttori abituali che sono caratterizzanti. Così il Tg2. Ma le due redazioni saranno state unificate. A differenziare l'offerta saranno i vice direttori, i coordinatori di impaginazione ed editoriali e i conduttori, tutti dissimili da una testata all'altro». Il dg, pronto a «prenderne atto» se il progetto di riforma delle news venisse bloccato, sa bene che il successo dell'operazione, che sarà affrontata in autunno, implica «la condivisione a livello giornalistico, tecnico e sindacale. Anche perchè bisognerà rivedere una serie di figure professionali».
La prima reazione dell'Usigrai è però piuttosto critica. Il sindacato dei giornalisti giudica la scelta dell'intervista un «pessimo modo di intendere le relazioni sindacali. E anche il ruolo dei consiglieri di amministrazione» e teme che si tratti di «un'operazione di immagine» per coprire la vendita di RaiWay. E se i sindacati dei lavoratori avviano le procedure di sciopero contro la cessione di una quota della società , la Fnsi chiede che «si mettano le carte sul tavolo» e che il governo «apra un confronto sociale reale e pubblico» anche sulla riforma della governance. La rivoluzione delle news finirà inevitabilmente per intrecciare i suoi destini con le consultazioni che il governo intende aprire dopo la pausa estiva sulla Tv pubblica in vista del rinnovo della concessione.
A questo punto una nostra opinione in merito.
Onestamente - ci pare - le intenzioni di Gubitosi, in rapporto a un'organizzazione legata a situazioni (prettamente politiche, peraltro) di quarant'anni fa, appaiono assolutamente condivisibili e alla lunga anche inevitabili e si spera che anche l'Usigrai possa rendersene conto. Quanto poi al fatto che Gubitosi stia anche riuscendo a reggere sul piano del conto economico nonostante l'assurdo taglio voluto dal Governo Renzi, se è così che stanno davvero le cose, non resterebbe che prenderne atto con compiacimento e prepararsi a una conferma del manager per le effettive dimostrate capacità gestionali.
Nel frattempo si parla già invece - o perlomeno c'è chi lo fa, nel mondo politico - di un nuovo presidente e anche di un nuovo direttore generale per la Rai. Se la politica per una volta volesse dimostrare nei fatti di non voler più comandare a bacchetta in Viale Mazzini (come Renzi dice di voler fare, almeno a parole) questa è l'occasione per farlo, magari proprio lasciando Gubitosi al suo posto.