Ecco un’ampia analisi della rituale presentazione della relazione annuale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione, e della relazione stessa, quest’anno in edizione agrodolce: fotografia stimolante, ma l’analisi permane inadeguata.
Più che la “relazione” in sé (certamente più ricca e accurata delle precedenti, e rivelatrice di dati finora sconosciuti, come un estratto degli indici di analisi “qualitativa” della Rai…), è quasi più interessante proporre una lettura critica di come i quotidiani trattino la “relazione annuale” dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, presentata ieri come sempre in pompa magna (e chi scrive con il privilegio del “badge” rosso, che consente l'accesso alla Sala della Lupa, mentre dirigenti meno apicali e giornalisti eccellenti sono incredibilmente costretti a fruire della presentazione relegati in saletta annessa, su tv schermo gigante…). Proponiamo tre letture, due “soggettive” ed una “oggettiva”: il ben partigiano “il Fatto Quotidiano” titola “Spot: Mediaset padrona, Agcom acconsente”, che è tutto un programma; il non meno partigiano “Libero” titola “E ci tocca statalizzare pure internet veloce”; l'equilibrato (o no?!) “Corriere della Sera” titola “Senza banda larga rischiamo la serie B”.
In sintesi, e metaforicamente: la prosa del Presidente Calabrò è, ancora una volta, elegante e gradevole, ma l'edizione 2011 della sua presentazione ci è sembrata lievemente più vivace e critica rispetto al passato (influenza dei recenti risultati elettorali e della annunciata “primavera” italiana?!), sintomatica di un risveglio - si spera non effimero - da quello stato di sonnolenza che, secondo gli osservatori critici, caratterizza l'italica “authority”, rispetto a “benchmark” come l'Ofcom britannico o il Csa francese.
Manca, ancora una volta, all'Agcom, una capacità di lettura approfondita e scenaristica: basti osservare come la questione centrale dell'industria culturale e mediale, che è la produzione di contenuti di qualità, sia sostanzialmente ignorata dall'Autorità. Incredibile quanto colpevole rimozione.
A cosa serve - domandiamo - una rete finanche efficiente ed efficace (Calabrò insiste sulla necessità di un internet superveloce), se non si dispone di “content” stimolante, innovativo, pregiato (e senza affrontare la delicata questione della identità culturale nazionale)?! Questa domanda, fondamentale, viene ignorata dall'Agcom e da Calabrò. Si tratta di un errore di lettura imperdonabile, che ha conseguenze gravi in termini culturali, politici, economici.
Non dobbiamo evocare una categoria marxiana come struttura/sovrastruttura, ma è evidente che la “rete”, in sé, per quanto veloce, non garantisce la qualità dei servizi offerti: qualità intesa non come definizione delle immagine (che pure è questione importante), ma come qualità dei contenuti. La ricchezza della “struttura” (la rete) deve consentire di allocare risorse nella “sovrastruttura” (i contenuti): altrimenti invocare ecologie mediali si risolve in un pio auspicio retorico. Come teorizzare una super “autostrada” sulla quale correre senza limiti di velocità, allorquando si dispone di lente “utilitarie” (sappiamo che Calabrò, che tanto ama le metafore, apprezzerà).
Agcom ignora il problema, e peraltro da anni abbiamo osservato (anche sulle colonne dell'Osservatorio IsICult/Millecanali) come la verifica puntuale degli obblighi di trasmissione e soprattutto di produzione di programmi audiovisivi italiani ed europei da parte delle emittenti televisive nazionali sia sostanzialmente ormai basata su simpatiche autocertificazioni… E che dire dell'albo dei produttori indipendenti, che sembra dimenticato in quella che doveva essere la sua funzione certificativa, anche per stimolare un riequilibrio dei rapporti tra produttori e broadcaster?!
In verità, un cenno c'è, nascosto nelle 30 pagine 30 della presentazione di Calabrò e nelle 134 note a piè di pagina: “Internet ha reso enormemente più facile e meno costoso pubblicare e diffondere, ma non produrre, contenuti informativi”. Da questa osservazione, riteniamo dovrebbe partire una rilettura complessiva dello scenario strategico da parte dell'Autorità, centrata sul “contenuto” e non sulle “reti”.
Due le questioni che ci sembrano molto rilevanti, nella lettura di Calabrò. La prima questione: l'osservazione relativa al ritardo italiano nello sviluppo della rete internet, che corre veramente il rischio di farci retrocedere in “serie C” (altro che “serie B”!), anche se la soluzione proposta ci sembra ardita, in questo Paese dall'andamento lento: una “newco” partecipata dalla Cassa Depositi e Prestiti, che dovrebbe stimolare la diffusione della fibra ottica anche nelle aree “povere” del Paese (Bernabé ha già manifestato il dissenso di Telecom Italia, che evidentemente non si sente corresponsabile del ritardo in essere)… La seconda questione: la scoperta che operano ormai sul mercato nuovi “player” - definiamoli convenzionalmente “gli aggregatori” - che approfittano della rete per arricchirsi, senza però investire 1 euro 1 in Italia… Soggetti mercanti, che nessuna sensibilità mostrano rispetto alla produzione di contenuti pregiati.
E qui ci piace osservare una asintonia tra testo di Calabrò ed interpretazione data da una delle parti in causa, Confindustria Cultura, perché questo piccolo episodio è sintomatico del ritardo del nostro Paese, anzitutto in materia di “policy” pubbliche e private, ma anche di letture di scenario e di identificazione dei trend:
- Corradò Calabrò, Presidente Agcom, ha sostenuto: “Il tema dello sviluppo delle reti è dunque la cornice imprescindibile in cui inquadrare tutti i tasselli del puzzle e promuovere la sostenibilità dell'ecosistema digitale. Il problema, tuttavia, è complicato dal fatto che motori di ricerca, over the top, non sono vincolati ad investimenti in infrastrutture. I nuovi soggetti sviluppano servizi ad alto margine e non pagano agli operatori di telecomunicazione un pedaggio proporzionato al valore che estraggono dalla rete, proprio nel momento in cui gli operatori avrebbero maggior bisogno di risorse per investire nelle reti di nuova generazione”;
- Paolo Ferrari, Presidente Confindustria Cultura (raggruppa Aesvi, Afi, Agis, Aie, Anes, Anica, Apt, Fem, Fimi, Pmi, Univideo: 11 associazioni di settore, per 17mila imprese, e circa 300mila lavoratori), dirama poche ore dopo un comunicato stampa di commento e plauso, nel quale sostiene: “Importante anche il riferimento di Calabrò al fatto che l'accesso alla rete non avviene nei modi normali, ma tramite motori di ricerca e aggregatori di contenuto che si sottraggono a ogni forma di pagamento, togliendo risorse da reinvestire nella produzione di altri contenuti, privando gli autori della remunerazione loro dovuta e scoraggiando i necessari investimenti nella rete”.
Lettura critica comparativa esatta: Calabrò si è senza dubbio riferito alla cosiddetta “rendita parassitaria” di Google & Co., ma non ha posto proprio alcun cenno sulla questione degli investimenti in contenuti; semmai, ha sostenuto che i motori di ricerca dovrebbero investire nella rete, infrastrutturalmente intesa! Ribadendo quel che riteniamo un errore strategico gravissimo (vedi supra).
E lo stesso Calabrò non ha speso 1 parola 1 sulla assurdità di un assetto asimmetrico del sistema radiotelevisivo, che obbliga Rai e Mediaset e gli operatori “free” ad investire in contenuti di qualità (fiction e cinema…), mentre Sky Italia, che pure fattura 2,6 miliardi di euro in Italia, spende poche decine di milioni nella produzione di fiction di qualità, a fronte delle centinaia di milioni di investimenti di Rai (che fattura 2,6 miliardi di euro) e di Mediaset (che fattura 2,8 miliardi).
E che dire del simpatico modo in cui Calabrò liquida le tv locali? Testualmente: “Le tv locali sono utili, importanti, necessarie; ma solo se svolgono veramente il loro compito. Occorre “sceverare il grano dal loglio”, nell'interesse di tutti. Le frequenze sono un bene scarso, prezioso. Non si può consentire la manomorta delle frequenze”. Metafore a parte, Calabrò non ci precisa cosa debba intendersi per “svolgere veramente” il compito, anche se il Presidente Agcom auspica che possano affluire risorse alle tv locali (non ai contenuti… naturaliter!) dal collocamento sul mercato di quasi 300 MHz di frequenze, ovvero la più grande asta frequenziale mai effettuata in Italia, che dovrebbe fruttare 2,4 miliardi di euro. Calabrò precisa che Agcom “prevede la possibilità di ricavare una cifra compresa in una forchetta fra 1,9 e 3 miliardi di euro (di cui fino a 2,1 miliardi per la sola banda 800 MHz). La differenza rispetto ai 2,4 miliardi di euro posti quali obiettivo dalla legge di stabilità dipenderà dall'andamento delle offerte per le frequenze più pregiate (quelle a 800 MHz) e dalla liberazione completa delle stesse (senza tasselli disturbanti)”. Ieri pomeriggio (14 giugno), peraltro, il comitato dei Ministri ha messo a punto il bando di gara, la cui pubblicata è annunciata per il 25 giugno.
Molta attenzione ha poi dedicato Calabrò al problema della pirateria audiovisiva (elogiandosi autoreferenzialmente, e narcisisticamente, per le soluzioni cui sta lavorando per affrontare questa piaga) ed alla eccessiva invadenza dei partiti nella Rai: soprattutto rispetto ai deficit della televisione pubblica, il Presidente Agcom è sembrato più convinto del passato nell'evidenziare le criticità del sistema, sia a livello di patologie di “governance” sia di interesse dei concorrenti a mantenere la situazione congelata allo “status quo” triopolistico. Immaginiamo quali pensieri ludici possono aver attraversato la mente di Fini e di Letta e degli altri “decision” maker del sistema partitocratico nazionale, nell'ascoltare queste critiche.
E che dire dell'evasione del canone, stimata in 500 milioni di euro l'anno, e bollata come “intollerabile” da Calabrò? Chissà cosa ne pensa il Ministro Romani, cui non piace la soluzione più semplice per risolvere rapidamente il problema: il pagamento associato alle utenze elettriche. Romani ha dichiarato qualche giorno fa: “visto il livello dei programmi Rai”, non si può obbligare gli utenti a pagare il canone Rai nella bolletta elettrica…
Approfondiremo queste ed altre tematiche nella prossima edizione dell'Osservatorio IsICult / Millecanali, nell'edizione a stampa della rivista.
Da segnalare, tra le chicche retoriche di Calabrò: “Il sistema delle comunicazioni elettroniche deve poter reggere l'impatto affinché i benefici della svolta digitale non siano soffocati nella culla”… Oh, perbacco, che simpatica necrofora immaginetta! Un brivido ha certamente percorso la schiena dell'eletta schiera dei cento e più “vip” che assistevano alla lettura della presentazione di Calabrò, con tutti i silenti commissari schierati a mo' di politburo di lontana tradizione sovietica. Un brivido di sudore, dato che la Sala della Lupa sarà finanche elegante ed “istituzionalissima”, ma è dotata di un sistema di climatizzazione degno di un Paese in Via di Sviluppo. Alla fine, solita ressa di giornalisti e fotografi e cameramen: sarebbe troppo chiedere una conferenza stampa, magari con giornalisti che pongono quesiti non esattamente proni…
Da segnalare infine, davanti a Montecitorio, un presidio di un gruppo di lavoratori dell'Agcom, che megafonava critiche pesanti nei confronti di Calabrò: “come potete garantire i diritti nel settore delle comunicazioni, se voi stessi violate i diritti costituzionali dei lavoratori dell'Agcom?”. Iniziativa promossa da Cisl Fiba, che immaginiamo non sia un sindacato estremista.
Annotazione di colore: per entrare alla presentazione a Montecitorio, l'eletta schiera degli invitati era costretta in piazza, in coda indiana, sotto il sole torrido ed il rombo del megafono. Diligentemente, da cittadino normale, in coda anche il Presidente dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Antonio Catricalà. Mentre il Vice Sindaco di Roma, Mauro Cutrufo, ha prontamente bypassato la coda. Ovviamente. Sintomatico, di una qual certa “Italian way of life”…
Si consiglia vivamente ai lettori più interessati di acquisire la relazione annuale e la presentazione di Calabrò dal sito web dell'Autorità (peraltro ben rinnovato qualche mese fa).
(*) Angelo Zaccone Teodosi è presidente dell'Istituto italiano per l'Industria Culturale e curatore della rubrica fissa Osservatorio IsICult / Millecanali.