L’Eurobarometro fotografa uno scenario di grave difficoltà. Quali speranze per la cultura italiana?
È purtroppo divenuta quasi un'abitudine sentir parlare dell'Italia come fanalino di coda. Per lo più ci si riferisce all'utilizzo di nuove tecnologie, al ritardo nell'alfabetizzazione digitale, oltre che alla scarsa diffusione della banda larga.
Non è certamente gratificante essere declassati agli ultimi posti della lista dei Paesi Membri Ue, e, ci permettiamo di sostenere che il problema, oltre ad essere economico, è culturale. Gli investimenti certamente servono, ma da soli nulla possono se a questi non si associa una formazione adeguata in grado di produrre un cambiamento di mentalità.
Almeno finchè si tratta di nuove tecnologie. Quel che appare intollerabile è confrontarsi con il quadro emerso dall'ultimo Eurobarometro, pubblicato alcuni giorni fa dalla Commissione Europea. I dati sullo stato di salute della cultura nel nostro Paese sono allarmanti e non lasciano spazio a fuorvianti interpretazioni.
Nel cosiddetto 'indice di pratica culturale' il 49% degli italiani (+ 9% rispetto al 2007) ha bassa pratica, a fronte del 34% della media Ue. Ancora una volta la nostra Penisola registra un 'grave ritardo'.
È così che uno dei Paesi più ricchi al mondo di 'cultura' latu sensu, intesa come arte, patrimonio, beni culturali, si ritrova al 23° posto nella classifica Ue (ventitreesima su ventisette!?!), per quanto concerne il livello di partecipazione culturale, addirittura dopo la Bulgaria. A dispetto di quanto si potrebbe ipotizzare, le ragioni di questa situazione non sono rinvenibili nella crisi economica, ovvero non soltanto.
Il sondaggio Eurobarometro attribuisce questo scenario ad una carenza di interesse ¬più che di tempo o al costo del prodotto o alla bassa qualità dell'offerta.
Per citare alcuni dati: negli ultimi 12 mesi solo il 60% degli italiani ha visto in Tv o ascoltato per Radio un programma culturale, solo il 56% ha letto almeno un libro, solo il 53% è andato al cinema almeno una volta, solo il 30% ha visitato un museo, solo il 24% è andato a teatro ed infine soltanto il 17% ha assistito a un balletto o ad un'opera lirica.
E con questi dati sconcertanti l'Italia si è posizionata appunto al 23° posto, con un indice pari ad 8, rispetto alla Svezia, prima classificata, con indice 43 (!?!).
È proprio con questo quadretto che ha aperto la kermesse di martedì 5 novembre, tenutasi presso Civita, con il suo Presidente Gianni Letta, in un incontro di riflessione dal titolo 'Pubblico-Privato. Patto per la cultura'. La situazione di difficoltà ¬e talvolta di abbandono ¬in cui versa tristemente il nostro patrimonio artistico-culturale, ha spinto ad interrogarsi “prima che sia troppo tardi”.
Molti gli interventi che si sono succeduti in una densa mattinata, cui hanno preso parte autorevoli protagonisti del settore: Mario Caligiuri, Coordinatore della Commissione Cultura della Conferenza delle Regioni e Assessore alla Cultura della Regione Calabria; Albino Ruberti, recentemente nominato coordinatore per la partecipazione della Regione Lazio all'Esposizione Universale del 2015 e Amministratore Delegato di Zétema; Gianluca Comin, della Fondazione Enel, oltre che Consigliere di Amministrazione dell¹Associazione Civita; Pier Luigi Sacco, Professore di Economia della Cultura.
Quel che è emerso con maggiore chiarezza è la convinzione del necessario ed urgente intervento del privato nella cultura e di una semplificazione degli iter burocratici in tal senso. Soltanto attraverso una partnership pubblico-privata sarà possibile evitare il collasso di un comparto importante non soltanto perché patrimonio storico-artistico del Paese, ma anche perché vettore fondamentale per il rilancio dell'economia.
L'esempio emblematico di quanto questa tesi sia veritiera ¬ribadito da diversi relatori ¬è stato il confronto Pompei-Ercolano. Appena 16 chilometri di distanza, stessa Soprintendenza ma una situazione totalmente differente. Pompei, lasciata in balia della 'mano pubblica'¬ sempre più assente, versa in condizioni inimmaginabili; Ercolano, sostenuta dalla Fondazione Packard che ha devoluto alla conservazione del sito archeologico 16 milioni di euro, ¬viene considerato un esempio di 'best practice' nella gestione delle aree archeologiche ed è oggetto di studio in tutto il mondo.
Un po' scioccante l'intervento del Vice Ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Vincenzo De Luca (Pd), assurto alle cronache qualche settimana fa per via del doppio incarico, ricoprendo anche il ruolo di primo cittadino di Salerno.
“L'Italia non è detto che ce la faccia - è stata la sua frase d¹apertura - . La nostra penisola è nel mezzo di una palude burocratica e giudiziaria e contaminata sin nelle sue viscere da un pervasivo comitatismo. Questo rende il Paese ingessato ed incapace di reagire”.
Credere nella cultura, a detta di De Luca, vuol dire credere in una identità ed unità nazionale (che forse si è persa). La cultura è un bisogno, anche per l'economia. Ma prima di tutto va colmata l'emergenza educativa, e finanche il 'gap' che ancora esiste tra Nord e Sud.
'Se non si cambia mentalità - ha concluso De Luca ¬- anche in presenza di risorse, non saremmo in grado di far nulla'.
La situazione sembra essere dunque più grave di quanto si potesse supporre. Vale dunque la pena domandarsi, volendo tornare all'emblematico caso del Colosseo e di Della Valle, se sia meglio far crollare il nostro patrimonio, lasciandolo però 'duro e puro' o scegliere la strada della conservazione, anche qualora questo implichi far pubblicità alle scarpe Tod¹s!?!