Una storia complessa (fin troppo), avvincente, raffinata, quasi filosofica e una produzione che non risparmia di certo in mezzi, uomini, ‘effetti speciali’. È tutto questo ‘Lost’, serie che fa impazzire l’America. E anche da noi…
Se non avete mai sentito parlare di 'Lost', vuol dire che negli ultimi 6 anni siete stati davvero su… un'altra isola. Giunti ormai alla sesta ed ultima stagione della serie - in onda su Fox (seguirà RaiDue, come le altre volte, salvo sorprese) - è scoppiata dappertutto la 'Lost-mania', la 'Lost experience', il fenomeno 'Lost' (esiste anche una 'Lost University'). Tanto che anche il presidente americano Obama ha dovuto fare i conti con i sopravvissuti nella misteriosa isola tropicale nel Pacifico del sud. Infatti, in America la prima puntata della sesta stagione rischiava di slittare per la concomitanza con il tradizionale discorso sullo Stato dell'Unione del presidente. Fatti due calcoli sull'audience, lo staff della Casa Bianca ha nientemeno che fatto slittare il discorso di Obama.
Potenza dei serial, verrebbe da dire. Ma, forse, a spiegare gli oltre 16 milioni di fans in tutto il mondo c'è molto di più che la semplice curiosità sulla fine dei naufraghi. La verità è che, comunque la si voglia pensare, 'Lost' ha segnato un punto di non ritorno nella storia della Televisione. E non soltanto per il cast numeroso (il secondo più grande per una serie americana) o per l'ingente impiego di fondi (è una delle più costose della storia).
La particolarità forse più importante è che 'Lost' è la prima serie a far uso in maniera massiccia e consapevole di due tra le tecniche più elaborate e complesse della narrazione, cioè il flashback e il flashforward (ma dalla quinta stagione è stato utilizzato anche il flashpresent e nella sesta addirittura il flash sideways).
In altre parole, 'Lost' gioca sui salti temporali e i viaggi nel tempo, che creano quel senso di straniamento fondamentale per la fidelizzazione. Obiettivo, questo, raggiunto anche attraverso la strutturazione più generale di ogni episodio (all'inizio, ad esempio, la scritta 'Lost', in bianco su sfondo nero, ruota avvicinandosi sempre più allo spettatore). Queste tecniche, per così dire “subliminali”, creano una vera e propria dipendenza televisiva.
A ciò, poi, si aggiunge anche la trama che, lungi dall'essere la semplice storia di 72 sopravvissuti, è in realtà un enorme contenitore di idee, miti, concezioni religiose e filosofiche, un vaso di Pandora in cui tutti possono riconoscere i propri dubbi e le proprie aspirazioni. Un po' paradiso perduto e un po' inferno, l'isola sviluppa tematiche “forti” e rimanda a suggestioni che tutti possono rintracciare facilmente nella propria memoria: il mito di Atlantide, il naufragio di Odisseo, la teoria del multi universo e, per chi ama la filosofia, non c'è che da sbizzarrirsi (basta guardare il nome dei personaggi, che rimandano a Locke, Rousseau, Hume…).
Il punto determinante della storia è la possibilità o meno dei naufraghi di cambiare il passato e modificare il futuro. È l'eterno desiderio dell'uomo di essere padrone del proprio tempo. E i personaggi, di volta in volta, incarnano la ragione e la fede, evolvono e si - ci - confondono. Tutto questo è, ovviamente, una costruzione altamente, sofisticata e intelligente. Il rischio, però, è quello di destabilizzare lo spettatore generalista (il segmento più numeroso del pubblico).
È stato detto che 'Lost' è un programma difficile ed elitario. Ma, forse, è proprio questo l'effetto voluto: il motivo del successo della serie, paradossalmente, è proprio la sua complessità. Ma, a volte, chi siede davanti alla Televisione, oggi, ha bisogno solo di una bella storia, raccontata bene.