I commentatori televisivi sono divisi su ‘Neripoppins’, ma la maggior parte dei critici propende per una valutazione critica del programma, pur riconoscendo le capacità di Neri Marcorè. La nostra opinione…
Al di là delle apparenze 'Neripoppins' (lunedì, seconda serata, RaiTre) è un programma complesso, molto scritto, basato su un'alternanza tra gag in studio e parti registrate, cortometraggi comici, a volte surreali ma molto curati nella realizzazione (dalle riprese ai dialoghi, alla colonna sonora) e di difficile definizione. Non c'è conduttore; tutto si snoda su frammenti che hanno però come denominatore comune gli spunti forniti dall'attualità.
Attualità che viene smontata e ricostruita in chiave a volte surreale, a volte ironica. Tra gli sketch quello di “L'uomo che dice i numeri a caso”, dove l'apparizione televisiva di una persona qualsiasi, un uomo che dice numeri a caso quando gli viene chiesto, e la presentazione delle sue inesistenti qualità (complice Giancarlo Magalli), compongono un vero e proprio personaggio mediatico; un personaggio che come è stato creato dalla Tv, ne viene smontato, quando il poveretto sbaglia un numero, in un chiaro riferimento al concetto di pubblico protagonista, ma senza qualità, quello che domina oggi nella maggior parte dei programmi Tv.
Ci sono poi le gag ironiche sui movimenti politici, sui guru predicatori televisivi e non, come il telepredicatore G.Sas (fine l'assonanza con Jesus) sostenuto da un coro gospel il cui unico fine è raccogliere fondi per sé. Ma c'è anche l'allenatore-regista di “Accademia Cuccuredda” dall'accento spagnolo che insegna ai calciatori, con il “collaboratore” Giancarlo Ratti. Marcorè riesce inoltre a trovare colleghi “complici” come Mario Biondi che accetta di esporsi e mettersi in gioco, indossando un pelliccione bianco o scontrandosi vocalmente con un coro, e a cantare una canzone con allusioni all'attualità.
E poi c'è ancora il cantante ammiccante con la giacca tutta strass e lustrini o il delizioso sketch dei due mafiosi anni '70, che ricorda molto le macchiette dei film polizieschi americani di quel periodo. Forse c'è una certa ostinazione nel voler sottolineare con le gag il disprezzo di una società e di un mondo, compreso quello televisivo, nei confronti della cultura, del sapere, della precisione e cura delle cose (approcci che invece ha sempre scelto Marcorè nel suo lavoro), ma, anche se il programma è sicuramente per un pubblico più raffinato e non di immediata presa, il giudizio finale non può essere negativo.