L’era dei blitz in Italia per Vincent Bollorè sembra prossima alla fine. Il bretone, specialista proprio in questo tipo di operazioni, conquistata Telecom, pensava forse di fare un sol boccone anche di Mediaset, conquistando in pochi mesi una posizione di dominio nel nostro Paese che non era stato possibile conquistare neppure a Silvio Berlusconi da Presidente del Consiglio. Ma dopo la rottura dell’accordo su Premium e l’acquisto in poche settimane di ben il 29.94% delle azioni con diritto di voto di Mediaset, contro Bollorè, costretto a fermarsi sulla soglia dell’OPA, si è scatenato un fuoco concentrico che sembra aver conseguito lo scopo di mettere in crisi la strategia del bretone, che peraltro, a parte l’assoluta spregiudicatezza nei comportamenti, non era ancora ben chiara negli scopi finali. Che cosa ha contato nel fermare Bollorè? C’è solo da scegliere: le indagini per aggiotaggio della Procura di Milano (che sospetta irregolarità nel rastrellamento di Borsa delle azioni Mediaset, ovvero una serie di comportamenti, legati alla rottura su Premium, tesi a far calare forzatamente il prezzo della azioni stesse, al fine di acquisirle a miglior prezzo); i risultati economici incerti o negativi del gruppo Vivendi di Bolloré in Francia, con cali in Borsa; l’attesa entro fine marzo della conclusione dell'indagine condotta dall'Agcom che ha già evidenziato i suoi dubbi sulla possibilità che si possa sommare in un solo gruppo il controllo sia di Telecom che di Mediaset; l’altra azione giudiziaria avviata da Mediaset per il mancato rispetto dell’accordo su Premium, con relativo forte possibile risarcimento danni; infine, il preannuncio da parte del ministro Calenda di una norma da inserire nel ddl concorrenza che metterebbe i bastoni fra le ruote ad operazioni come quelle di Vivendi in Italia, visto che, sull’esempio di un analogo provvedimento (proprio) francese, la legge “dirà che se compri il 5% di una società devi dichiarare perché lo stai facendo”. Non stupisce così che Arnaud de Puyfontaine, amministratore delegato di Vivendi, dichiari che “noi avevamo intenzione di trovare un accordo con Mediaset e intendiamo tuttora trovarlo. Possiamo ben rimanere soci di minoranza”. Nel frattempo Silvio Berlusconi ha ricompattato la famiglia nella linea di resistenza ai francesi e intanto l’azienda sta riflettendo su come uscire dalla brutta situazione in cui si è cacciata (qui Piersilvio è un pochino ‘sotto accusa’, sia pure non ufficialmente) a causa della sfida totale a Sky lanciata con Premium e delle grandi spese per la Champions League. Il cambio di linea qui è radicale: si manderà a scadenza il contratto sulla Champions ma ci saranno tagli drastici in futuro proprio al ‘pacchetto calcio’, con l’obiettivo di ridurre le spese. Di più: il calcio non avrà più uno spazio predominante nei palinsesti dei canali ma occuperà solo una posizione marginale nel’offerta di Premium. Di più ancora: Premium sarà molto più piccolo, il giro d’affari scenderà negli anni prossimi da 600-800 milioni a 80-90 e il numero degli abbonati da 2 milioni a 600 mila. La piattaforma punterà a ospitare contenuti editoriali di altri gruppi media, cedendo in affitto parte della propria banda, e a fornire anche canali di carattere non sportivo al pubblico. Insomma, quasi una resa a Sky, dopo tanta battaglia e così c’è anche chi parla di trattative in corso proprio con il gruppo di Murdoch. Perchè la scadenza-chiave c’è, fra pochi mesi, ed è quella, manco a dirlo, del calcio, ovvero dei diritti pay sui prossimi campionati.
In casa Rai tutt’altra musica, ma anche qui i problemi non mancano: dopo i dubbi sul bilancio 2017 e l’evidenza della necessità di alcuni tagli e risparmi, ecco il ‘caso’ (che il Governo ha lasciato crescere senza chiarire la situazione) dell’applicazione del tetto di 240mila euro agli stipendi Rai anche ai compensi di tutti i ‘collaboratori’, compresi artisti e presentatori, insomma le ‘star’ contese sul mercato televisivo. Per il dg Campo Dall’Orto la legge sul tetto ai compensi degli artisti della Rai «metterebbe oggettivamente la Media Company di servizio pubblico in una condizione di subalternità rispetto alle altre aziende presenti sul mercato, limitandone nel contempo la possibilità di svolgere appieno il compito assegnatole». Campo Dall’Orto vorrebbe un provvedimento chiarificatore del Governo che evidenzi le ‘dovute eccezioni’ ma la richiesta arriva in un momento politico di grande confusione e riposizionamento complessivo (in vista delle elezioni), in cui per giunta la parte finora vincente del PD sembra un po’ averla ‘giurata’ al dg Rai, in cui aveva risposto molte speranze di rinnovamento, a loro parere poi non mantenute dalla ‘sua Rai’. E un provvedimento ‘pro-star’ sarebbe anche oggetto di facili accuse politiche in un momento di attacchi indiscriminati dal facile sapore populista. Il problema è in realtà pressante: il cda Rai ha deciso che a partire da aprile il tetto di 240mila euro agli stipendi, se non ci saranno interventi da parte dei ministeri competenti, sarà appunto esteso anche agli artisti. Nel frattempo potrebbe venire finalmente l’ora della nuova Convenzione della Rai, più volte rimandata ma alla fine non rinviabile in eterno.