Non si pretende che il programma di RaiUno sia piaciuto a tutti (infatti gli ascolti sono stati un po’ bassi) ma che venga additato come il ‘peggio del peggio’, qualificandolo come un ‘reality del dolore’ che su di esso specula, forse è un po’ troppo…
Con questo articolo ci tireremo probabilmente addosso qualche critica ma guardando 'Mission', in onda ieri sera su RaiUno (sono due puntate in tutto), la prima domanda che veniva da porsi era: perché è stato sollevato tutto quel polverone sulla messa in onda del programma?
Ad ingannare i tanti critici è stata forse la definizione scelta, la parola reality, come il fatto che molti di coloro che avevano chiesto la sospensione del programma non lo avessero visto. Il termine reality poteva infatti fare pensare ad un Albano, un Francesco Pannofino o un Emanuele Filiberto in una versione dell'Isola dei famosi ambientata in un campo profughi, con vip ripresi 24 ore su 24, intenti più a litigare, criticarsi, lamentarsi e scazzottarsi che a riportare il dramma dei rifugiati.
Invece 'Mission', pur con i suoi difetti, più che un reality è un programma fatto in studio, nel quale vengono presentati due documentari. Protagonisti dei documentari sono i vip che, accompagnati dagli operatori di Intersos e dell'Unhcr, hanno incontrato i profughi, li hanno ascoltati mettendone in evidenza la condizione e sicuramente aiutandoli a capire. Innegabili alcune situazioni create per fare spettacolo, come le due capre consegnate da Albano al vecchio pastore, ma da questo a parlare di trash e cattivo gusto ce ne passa, a mio parere.
'Ma un programma simile non si poteva fare con gli operatori che si misurano da anni, giorno per giorno, con quelle realtà?' - si chiederanno molti. Certo. Documentari di questo genere se ne vedono occasionalmente sulle Tv tematiche, anche se si tratta di veri e propri documentari. Ma sfidiamo chiunque a dire dove, quando sono stati trasmessi e di che cosa parlassero. Nessuno, se non pochi, degnano questi programmi d'attenzione.
Per accendere i riflettori sulle condizioni dei profughi siriani che vivono nei campi in Giordania o sui rifugiati del Congo e sul lavoro degli operatori, ci volevano dei 'vip' (purtroppo, forse, si può anche dire).
Tutto è stato raccontato con una narrazione semplice e diretta, senza nulla di trash, senza litigi o esibizionismi e, soprattutto senza interruzioni pubblicitarie, cosa che avrebbe incrementato le polemiche. Nessun “confessionale”, nessun collegamento in lacrime con la fidanzata, il marito o il figlio, nessun televoto del pubblico.
Insomma, azzardando un paragone un po' spericolato, abbiamo visto in Albano, nelle sue figlie, nella Morvillo e in Pannofino, un po' della Angelina Jolie ambasciatrice Unicef, che visita i bambini dei campi profughi sparsi per il mondo sotto le telecamere, cosa che poi va sui tg o sui giornali di tutto il mondo. Rimane però da chiarire, per 'Mission', la discussa e discutibile questione della diaria di 700 euro ai vip.
I documentari venivano presentati in studio. Se poi i commenti e le impressioni dei vip che hanno vissuto l'esperienza di 'Mission' non mancano di luoghi comuni e di qualche banalità, questo dipende dal personaggio ospite in studio. Infatti i documentari sono stati montati (bene) e trasmessi in uno studio dalle scenografie molto particolari, che richiama la terra battuta e le lamiere delle baracche dei profughi, con la conduzione di Michele Cucuzza e Rula Jebral, quest'ultima apparsa però 'fuori posto'. Se Cucuzza si è integrato nel programma, intervistando con naturalezza gli ospiti (pur non risparmiandosi qualche domanda banale), la Jebral incalzava gli operatori umanitari e i volontari in studio come se fosse stata a 'Piazza Pulita' o nel programma di Santoro. Ancora più rigida e fredda è stata nel presentare la squadra di calciatori extracomunitari di Rosarno che hanno incontrato il calciatore Zambrotta.
Ci si poteva poi anche risparmiare la banalità di un 'Imagine' cantata da Marco Masini ma alla fine 'Mission' ha acceso le luci sulla cooperazione internazionale, ricordando, tra l'altro, la figura di Giovanni Lo Porto, cooperante rapito in Pakistan un anno e mezzo fa di cui nessuno, tranne gli addetti ai lavori, ricordava l'esistenza.
A provocare ulteriori polemiche saranno ora magari gli ascolti. Il programma più atteso della serata è stato infatti abbastanza snobbato dal pubblico, Vip o non Vip: si è infatti fermato a 2.165.000 spettatori, con uno share dell'8,16%. Un'audience un po' bassa per RaiUno, ma il direttore Leone ha voluto concedersi questa 'licenza' e non è detto abbia poi avuto torto.