La fiction in due puntate di RaiUno, prodotta da Luca Barbareschi (Casanova), non ha reso piena giustizia alla figura di Adriano Olivetti, pur nell’ambito di una confezione ‘apprezzabile’. Poi, in qualche caso, si è passati proprio al romanzo…
La fiction sulla vita di Adriano Olivetti andata in onda lunedì e martedì sera su RaiUno ha diviso il pubblico e la critica. Chi l'ha apprezzata, soprattutto per l'interpretazione di Luca Zingaretti, chi l'ha trovata superficiale e troppo romanzata.
Quest'ultima critica è stata in parte “confermata” dal regista Michele Soavi (tra l'altro nipote di Olivetti).
Alla fiction va riconosciuto il merito di avere portato all'attenzione del grande pubblico la vita di un uomo che ha cambiato la storia industriale italiana affrontando il nodo di fare impresa con modalità mai viste prima, rivoluzionarie. E quello che viene fuori è infatti l'Olivetti rivoluzionario ma con una sceneggiatura che l'ha mostrato quasi totalmente diviso tra la sua azienda-sogno e gli affari sentimentali, con una ex-moglie (Paola Levi, la sorella di Natalia Ginzburg) che va e viene, ed una seconda giovane moglie, fedele, comprensiva, più presente, che lo appoggia nel suo sogno.
Tutte le esperienze di Olivetti vengono presentate un po' 'alla leggera', da quella parlamentare con la quale l'imprenditore mirava a portare nella politica la stessa rivoluzione che aveva portato nel modo di fare impresa (è sintetizzata nell'incontro con un ex amico-collaboratore) ad altre praticamente trascurate, come il profondo rapporto con il circolo di intellettuali che hanno accompagnato e vissuto il suo progetto di Comunità. In quest'ottica viene sacrificato l'Olivetti uomo nella sua pienezza, la sua caratterizzazione psicologica.
Se Adriano Olivetti aveva diverse sfaccettature, imprenditore, intellettuale, politico e uomo di cultura, non tutti questi lati sono stati messi in evidenza e, mentre le cronache ne parlavano come di un uomo piuttosto schivo, Zingaretti ne ha dato un'immagine più esuberante.
Molto “giallo” il modo con cui è stato trattato il rapporto con gli Stati Uniti, dai quali Olivetti era “attenzionato”, con riunioni su riunioni nelle quali i generali della Cia parlavano del “comunista” Olivetti. La Cia spiava Olivetti (è storia) perché gli americani non gradivano che l'industriale fosse arrivato prima di General Electric e Ibm nella corsa al cervello elettronico. E qui Soavi ne ha approfittato per romanzare la storia, introducendo il personaggio dell'agente 519, Karen Bates (Stefania Rocca), che, precedentemente era stata un'aviatrice americana paracadutata in Italia al tempo della venuta degli Alleati, epoca in cui proprio Olivetti l'aveva nascosta in casa, salvandola dai nazisti che le davano la caccia.
Un'invenzione che si richiama al fatto che Olivetti aveva aiutato Filippo Turati e la scrittrice Natalia Ginzburg a espatriare per sfuggire ai fascisti. L'agente 519, poi, resta affascinata nel film dalla personalità di Olivetti, al punto che la Cia la rimuove dall'incarico sostituendola con un altro agente.
Il film si chiude con la morte di Adriano Olivetti, su un treno che doveva portarlo in Svizzera, in un'atmosfera che, volendo esagerare, ricorda un po' “Assassinio sull'Orient Express” e adombra una causa misteriosa nel decesso.