La cessione di Persidera, l’importante società che si occupa di gestione dei mux televisivi digitali controllata finora al 70% da Tim e al 30% da Gedi (ex Gruppo L’Espresso), sembra un romanzo a puntate, anche se l’epilogo dovrebbe, almeno teoricamente, essere questione di giorni, se non di ore.
La vendita della società (che è nata da una fusione che va fatta risalire all’inizio dell’era televisiva digitale italiana, quando Telecom era proprietaria anche di La7 e il Gruppo L’Espresso era presente con un’altra versione di Deejay Tv sul 9 Lcn, poi ceduto a Discovery) in realtà non è ‘spontanea’ ma è stata imposta dall’Antitrust Ue nel maggio 2017, quale condizione vincolante per il via libera al “controllo di fatto” dei francesi di Vivendi su Tim.
A questo punto servirebbero, in realtà, molte altre spiegazioni (vedi oltre) ma qui ci limitiamo a notare che sono già trascorsi molti mesi dall’imposizione di quell’obbligo e la cessione non è ancora avvenuta. A condurre i giochi è soprattutto l’azionista di maggioranza Tim (anche se per Gedi la vendita ha una notevole importanza economica), ovvero appunto i francesi di Vivendi (Bollorè), che giocano su molti tavoli e non avevano certo fretta di definire la questione, che così, come altre (le vertenze con Mediaset, la costituzione di una Canal Plus italiana, la creazione di una nuova società per la rete tlc, la definizione finale dei rapporti con il Governo), è rimasta ‘sospesa’, in attesa di novità.
Le novità per Persidera sembravano essere arrivate adesso, con un’offerta ‘importante’, anche se considerata piuttosto bassa, da parte di Rai Way e del fondo F2i Fondi Italiani per le Infrastrutture (è una sorta di ‘fondo istituzionale’, di cui sono azionisti, fra gli altri, Cassa Depositi e Prestiti, Intesa San Paolo e Unicredit), che non sembravano poi avere concorrenza, anche perché anche nel campo dei mux Tv digitali ci sono problemi di antitrust. Persidera detiene infatti 5 multiplex per il digitale terrestre e Rai Way e Ei Towers (di proprietà Mediaset) altrettanti: tutti e tre sono dunque al massimo consentito e la società berlusconiana (con Mediaset oltretutto controllata parzialmente dai soliti francesi di Vivendi, che sono anche primi azionisti appunto di Tim) alla fine si era tirata indietro.
Non così, come abbiamo visto, Rai Way della Rai, che però si è legata proprio a F2i per ‘aggirare l’ostacolo’: l’offerta congiunta RaiWay-F2i prevede così l’acquisizione da parte di F2i della titolarità dei diritti d’uso delle frequenze attualmente rilasciate a Persidera per i propri 5 multiplex e l’acquisizione invece da parte di Rai Way dell’infrastruttura di rete, con la contestuale sottoscrizione di un accordo pluriennale per la fornitura di servizi di broadcasting.
Un meccanismo complesso, con una scissione di mezzo, insomma, ma soprattutto questa, che sembrava essere l’unica offerta ricevuta dagli advisor Barclays e Lazard che trattano la cessione di Persidera, ‘valeva’ solo circa 260 milioni (e pare esserci stato anche un rilancio), mentre gli azionisti della società in fase di cessione volevano ricavare almeno 350 milioni di euro dalla stessa vendita.
In extremis è però pervenuta un’altra offerta un po’ più ‘congrua’ per Persidera, sui 300 milioni (Tim e Gedi potrebbero a questo punto anche ‘accontentarsi’), da parte del fondo americano I Squared Capital. A Tim c’è stato pertanto anche un Cda ‘lampo’, convocato d’urgenza, che ha incaricato l’AD Amos Genish (nominato di recente su decisione dei francesi) di negoziare appunto la cessione di Persidera, sulla base delle offerte pervenute.
Ricordiamo che in Italia ci sono complessivamente 20 mux televisivi nazionali: Raiway, Ei Towers e Persidera ne hanno, come detto, 5 a testa. Un mux a testa invece va a Cairo, H3G, Dfree (che fa capo a Tarak Ben Ammar), Costantino Federico (ex editore di Retecapri) e Francesco Di Stefano (Europa 7).
In alternativa alla cessione (in caso di offerta considerata ‘insufficiente’), Tim potrebbe anche, almeno in teoria, conferire la sua quota in Persidera in un trust, ma diciamo che il rapporto con l’Antitrust Ue, a quel punto, potrebbe farsi ancor più complicato. E Bollorè non ha bisogno di questa complicazione, perché in Italia ha tanti fronti aperti, come detto.
Uno dei più delicati e importanti è quello di Mediaset, appunto. Vivendi è il primo azionista di Tim con il 23,9% del capitale e di fatto controlla la compagnia telefonica, anche se i francesi sostengono che non è così. Questa questione - una fra le altre - ha inasprito anche i rapporti con il Governo, con il quale sono aperti molti fronti (non solo quello della ‘golden power’ o quello della società autonoma per la rete tlc, su cui sembra in realtà che ora si possa procedere, ma anche quello, importante, della banda larga e dei complicati rapporti con Open Fiber - Enel, finora società concorrente di Tim ‘benedetta’ dal Governo), e con le autorità antitrust italiane (Agcom in particolare).
Il fatto è che Vivendi, come si sa, prima ha stretto un accordo con Mediaset per acquisire Premium, poi ha cambiato idea strada facendo e l’ha abbandonata, per dedicarsi invece a una ‘scalata’ alla stessa Mediaset, di cui ha acquisito ben il 28.8%. Di qui la lotta a coltello con Fininvest e con Berlusconi, primi azionisti di Mediaset, con imminenti sbocchi in tribunale, e l’intervento appunto dell’Agcom, che ha chiesto di ‘sterilizzare’ buona parte della quota di Vivendi in Mediaset. Periodicamente sembra che la situazione si possa finalmente ricomporre, come sembrerebbe logico, ma al dunque, tutto sembra tornare in alto mare. Succede anche in questi giorni e i rapporti con Mediaset sono di nuovo tesi.
Restano così indefinite anche altre questioni, come accennato, fra le quali l’eventuale offerta per i diritti del calcio (problema che sembra però ormai superato) e la joint venture Tim/Canal+, società che poi, nella logica delle cose, dovrebbe accordarsi con Mediaset e forse anche con Premium. Ma se quest’ultimo sviluppo al momento è bloccato, a Tim, per non farsi mancare nulla, hanno intrapreso anche una strada un po’ impervia per fare lo stesso primario accordo con Canal Plus (che è sempre di proprietà Vivendi): una prima operazione è stata bocciata perché occorreva coinvolgere nella decisione i Consiglieri indipendenti del Cda; con Genish si è adesso ripartiti da capo, ma in realtà non si è ancora riusciti a varare la joint-venture in questione, pur già annunciata al mercato molti mesi fa.