“Osservatorio Elettorale”: seconda puntata

Riprendiamo l’analisi di quel che si muove nella comunicazione politica e soprattutto in quella televisiva in queste intense settimane che precedono le elezioni. Il nodo è sempre la Par Condicio, nel bene e nel male…

Il crescendo di slogan sta trasformando la campagna elettorale in un derby calcistico. Non tanto e non solo per ciò che dicono i leader ma soprattutto per il dibattito che si è sviluppato sugli spalti attorno alla Televisione.
Una delle partite di questi giorni è quella tra Agcom e Tg 'squilibrati'. La vicenda è arcinota: poco spazio al PD su Tg4 e Studio Aperto e troppo a Grillo, Ingroia e Monti su Tg La7. Il risultato? 100 mila euro di multa a testa per Mediaset e TIMB e discesa in campo del Tar. Nel pubblico qualcuno esulta.

Nessuno, però, ha il coraggio di dire chiaramente che tutto è un po' una bufala, tanto alla fine nessuno pagherà probabilmente un euro, grazie ai ricorsi e al tempo che passerà. Di certo quando questa notizia, se mai dovesse accadere, arriverà, i riflettori saranno già accesi altrove.

Il problema, in realtà, è a monte e si chiama 'Par Condicio'. Da 13 anni condiziona il sistema e, contrariamente agli annunci dell'allora governo D'Alema, che l'ha tenuta a battesimo, non ha risolto (sia pure nel solo determinante periodo pre-elettorale) il problema del conflitto di interessi. Anzi, la situazione è per certi versi peggiorata.

La Legge, infatti, è divenuta vecchia perché non tiene conto di ciò che avviene in Rete. E soprattutto è nata 'malata', nel senso che ha previsto il cronometro per i “programmi di comunicazione politica” (le Tribune e se gira anche i 'talk', come avvenuto in passato, che comunque devono osservare alcune regole) e non per i principali programmi di informazione politica, cioè Tg e Gr. Questi ultimi devono in effetti rispettare delle norme di 'equità' (di qui le rilevazioni che ne segnalano le 'storture' e anche le multe) ma necessariamente non si può pretendere che si misurino cronometro alla mano gli argomenti di attualità e i servizi giornalistici solo perché viene citato l'uno o l'altro leader. È giusto, altrimenti verrebbe meno la possibilità stessa di fare i giornalisti, ma una soluzione così 'elastica' finisce per lasciare discrezionalità ai direttori, che così tirano talora la volata al 'leader politico' di riferimento (che a Mediaset, per esempio, coincide con il proprietario dell'azienda).

Non basta: in materia di monitoraggio (svolto dall'Agcom e oggi da lei affidato a Geca Italia, che ha sostituito l'Isimm) e sanzioni non sono mai stata ben chiarite le competenze rispettive di Agcom e Vigilanza sulla Rai, per cui i due organismi finiscono per agire più o meno di fatto 'di comune accordo', per evitare ulteriore confusione, ma fatto sta che sulla Rai c'è un doppio sistema di controllo, soluzione che non sembra proprio la più logica, perlomeno.

Alla fine, si tratta di un vero pasticcio, che si presenta puntuale ad ogni appuntamento elettorale.
Tornando alle sanzioni Agcom, infatti, non sarà difficile per Mediaset e TIMB (che hanno legittimamente tirato in ballo la cattiva interpretazione della Legge) dimostrare ai giudici che nell'arco delle 24 ore hanno sostanzialmente rispettato il criterio della “parità di trattamento, obiettività, completezza e imparzialità” previsto dalla stessa Legge. Se poi comunque le multe verranno confermate, sarà passato parecchio tempo e non sarà un problema insormontabile pagarle.

Senza entrare troppo nel merito delle diverse norme e delle questioni di tipo deontologico, diciamo che la legge di cui sopra produce altre storture a livello televisivo. In un momento in cui l'opinione pubblica ha sete di informazione, paradossalmente la Par Condicio provoca la chiusura dei rubinetti informativi in varie zone dei palinsesti. Se si preferisce la diplomazia, è evidente che diversi talk show hanno subito un certo cambiamento linguistico negli ultimi tempi.

Prendiamo l'esempio de 'L'Arena' (che abbiamo analizzato in dettaglio sul numero di Millecanali di gennaio assieme a 'L'Ultima Parola' e 'Quinta Colonna'). Dopo una partenza grintosa, contrassegnata dal dibattito politico 'di qualità' nel pomeriggio domenicale di RaiUno, è scattata la moratoria: vietato ospitare esponenti politici. “Lo stop - ci ha detto Massimo Giletti - nasce perché L'Arena, pur non avendo nulla a che fare con l'intrattenimento, viene catalogata come frammento di intrattenimento all'interno di Domenica In. La questione - ha aggiunto - deve essere affrontata al più presto perché rivedere lo status del programma conviene anche alla politica”.

Il significato del divieto è difficile da condividere e suona come ingiustizia per il diritto-dovere all'informazione. Per Giletti è un peccato: “Mi è dispiaciuto - dice - non potere intervistare Monti. È stato l'unico leader mancante e sarebbe stato interessante affrontarlo. Comunque, il bilancio è stato importante, perché non abbiamo mai abdicato al nostro modo di fare le interviste”.

E la questione ha interessato anche Gianluigi Paragone, che a detta di alcuni osservatori è diventato più cauto nella sua protesta rock in onda nella seconda serata del venerdì di RaiDue. “Nessun cambiamento di approccio all'Ultima Parola - risponde invece il giornalista - . Le regole sono ridicole ma sono regole: è vietato fare gli applausi, è vietato fare questo e quell'altro. E io non sono mai stato un trasgressore. Osservo le regole come fanno gli altri. Se così mi diverto meno? Diverte meno la politica!”.

In questo clima la Televisione generalista cerca di reagire. Mentre 'Italia Domanda' (Canale 5) e 'Leader' (RaiTre) stentano a decollare, nella seconda serata di La7 è tornato Gad Lerner. Il suo nuovo programma si chiama 'Zeta', è in perfetto stile 'salotto buono della Tv' e al debutto ha conquistato il 7.22% di share. Uno dei temi principali è stata la vicenda Monte dei Paschi e il merito principale è di aver mantenuto l'incontro tra Mario Monti e Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, nei margini di un colloquio pacato che ha privilegiato il massimo rispetto dei contenuti.

La produzione del talk è in tandem con Effe, il nuovo canale televisivo Feltrinelli-TIMB che debutterà nei prossimi mesi (con al timone il conduttore). L'esperienza di 'Zeta' ci sembra interessante, anche perché abbiamo colto una grande cura per i particolari sia a livello della qualità delle immagini sia nel confezionamento dei servizi mandati in onda per puntellare il dibattito in studio. L'ultimo dei tre, però, non è piaciuto a Monti perché incentrato sull'idea di Tremonti del complotto internazionale alla base della sua presidenza del governo tecnico. Tuttavia ci ha incuriosito la costruzione narrativa, a metà strada tra racconto giornalistico 'classico' e racconto tipico dei social media (con foto, immagini e animazioni aggregate in un quadro unitario stile 'storify').

Il dibattito sulla grammatica Tv coinvolge anche Sky, che con i suoi programmi per le elezioni ha proposto un approccio innovativo al racconto della politica. Ce ne occuperemo presto.
Per ora diciamo che la testata guidata da Sarah Varetto punta ad ospitare il confronto tra i leader (tanto da aver lanciato una campagna ad hoc sul proprio sito internet). Berlusconi ha fatto sapere fin da subito che non vede l'ora. Tiepida, invece, la reazione di Monti e Bersani, il quale sul tema mantiene un basso profilo.

Anche Grillo - altra notizia epocale - infine, ha rotto il muro e ha aperto alla possibilità di andare in Tv e in Radio nell'ultima settimana.
In realtà il discorso del confronto è molto complicato e, come il gioco dell'oca, ci scaraventa alla posizione di partenza, dove ritroviamo ancora una volta la Par Condicio con in aggiunta la Rai, la Commissione di Vigilanza e il regolamento varato il 3 gennaio scorso.

Oltre alle Tribune (andate in onda con risultati d'ascolti assai modesti), il regolamento ha già previsto una serie di conferenze stampa (da tenersi sulla Rai, nelle ultime due settimane precedenti il voto, alla presenza di massimo 5 giornalisti, che fanno domande cronometrate ecc.) riservate - recita l'articolo 11 - “ai capi delle coalizioni presenti in ambiti territoriali tali da interessare almeno un quarto del totale degli elettori, nonché ai rappresentanti nazionali di lista, comprese le liste che esprimono il capo di una coalizione”.

Per evitare mal di testa è meglio affermare semplicemente che il confronto a tre non è affatto scontato. Anzi. Marco Beltrandi, esponente dei Radicali e membro della Vigilanza, spiega: “La Rai potrebbe farsi avanti e convincere la Commissione di avere un problema effettivo nel realizzare le conferenze stampa e chiedere alla stessa di rivedere il regolamento. Solo allora si vedrà cosa succede in Commissione. Tuttavia - avverte - l'obiettivo di alcuni, nascondendosi dietro le presunte difficoltà della Rai, è di favorire le coalizioni a scapito delle liste che si presentano da sole”.

Insomma, quello della Par Condicio è proprio un bel groviglio. Alla prossima.

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