Osservatorio IsICult Millecanali: la Relazione annuale Agcom

La qualità della “bibbia” dell’Autorità è migliorata, ma una parola è sintomatica dei perduranti deficit cognitivi. Se si cerca di sapere, studiando le quasi 500 pagine della Relazione Agcom, quante sono le emittenti radiofoniche locali, si avrà una risposta inquietante: “una moltitudine”

I lettori della nostra rubrica “Osservatorio IsICult Millecanali” sanno che ci piace spesso analizzare la coreografia ed il dietro le quinte di alcune kermesse, istituzionali e convegnistiche: riteniamo infatti che, spesso, da dettagli apparentemente minori si riesca a comprendere la “vera verità” (espressione da utilizzare sempre con prudenza ed ironia, soprattutto considerando che chi scrive queste note è un convinto pirandelliano).

Nel dicembre 2012 (“Millecanali” n° 428, pag. 27), scrivevamo, a proposito del deficit della “cassetta degli attrezzi” dei “policy maker” italiani, che “la relazione annuale dell'Agcom è ricca di dati, ma non di interpretazioni strategiche di letture critiche dei fenomeni”. Purtroppo, questo giudizio è in parte confermato anche dalla relazione n° 1 dell'anno I del nuovo corso dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (il nuovo Consiglio si è formalmente insiedato il 25 luglio 2012). L'anno scorso, l'allora Presidente Calabrò aveva chiuso la sua relazione di fine mandato (vedi “Millecanali” n° 423, “Verso un'Agcom futura”) con un “faciant meliora sequentes”.
L'augurio si è in parte concretizzato, ma...

La presentazione annuale della relazione dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni al Parlamento e al Governo (avvenuta quest'anno il 9 luglio scorso) si ripropone, anno dopo anno, come un rito istituzionale, dal quale non si possono certo pretendere fuochi d'artificio e sensazionali rivelazioni. In occasione dell'edizione 2010 (“Millecanali” n° 403), scrivevamo sulle colonne di “Millecanali”: “Meglio una passeggiata a Villa Borghese. Quest'anno, per la prima volta nella nostra vita professionale di analisti mediali, abbiamo deciso di non assistere alla ennesima presentazione della rituale relazione annuale dell'Agcom…”.

Spesso, in queste occasioni ritual-istituzionali, diviene più rilevante l'aspetto coreografico che quello contenutistico. Storicamente la relazione è stata presentata nella prestigiosa Sala della Lupa della Camera dei Deputati, ma la prima sortita della consiliatura presieduta da un anno da Angelo Marcello Cardani è stata ospitata nella più accogliente Sala della Regina, che beneficia peraltro di un impianto di climatizzazione all'altezza del torrido luglio romano (le precedenti presentazioni della relazione erano divenute famose per il tasso di... sudorazione degli astanti, oltre che per i diffusi sbadigli).
Un antropologo osserverebbe come si tratti di un rito assolutamente… maschile. In barba alle “quote rosa”, si contavano in sala forse una decina di donne su circa duecento presenze, e peraltro si ricordi che tutti i componenti dell'Agcom sono senza dubbio maschi (Antonio Martusciello, Francesco Posteraro nella Commissione Servizi e Prodotti; Antonio Preto e Maurizio Dècina nella Commissione Infrastrutture e Reti). Età media dei partecipanti intorno ai 60 anni. Ed i soliti “vip”: da Confalonieri a Tarantola, passando per Gianni Letta... Ovviamente, nessun esponente del “popolo della rete”.

Curiosa presenza di molti “vice”: è intervenuta Marina Sereni, Vice Presidente della Camera (senza la grazia nemmeno di un cenno di giustificazione sull'assenza della Boldrini, che ha così involontariamente alimentato le polemiche su un qual certo suo assenteismo dai lavori parlamentari), il Vice Ministro per lo Sviluppo Economico Antonio Catricalà, il Vice Presidente della Corte Costituzionale Luigi Mazzella… Forse troppi “vice”, per l'economia simbolica di kermesse come questa. Come se Parlamento e Governo prendessero le distanze dai rispettivi ruoli, ed osservassero con distacco Agcom.

In effetti, Parlamento e Governo sono “decision maker” mentre l'Agcom dovrebbe essere un mero “regolatore”. Si tratta però di un regolatore che a fronte dell'assenza del legislatore, si vede costretto ad intervenire come supplente: il caso del regolamento sul diritto d'autore online è sintomatico, così come quello della regolazione del pluralismo elettorale e politico. Ma anche la “materia” Rai è nelle competenze Agcom, anche soltanto per le linee-guida sull'ormai ridicolo “contratto di servizio” Rai (scaduto da sette mesi). In queste materie (ed altre ancora), il Paese è governato da norme vecchie ed obsolete, ma il Parlamento dormicchia.

La relazione di Cardani, snella (una ventina di pagine, meno di un'ora di lettura), si è caratterizzata per il tono pacato e molto diplomatico. È come se volesse attenuare la rappresentazione delle criticità del sistema mediale italiano, in primis il gravissimo ritardo nella diffusione della banda larga e nella diffusione della rete come strumento di conoscenza, partecipazione, commercio, imprenditorialità: il 37 % degli italiani non ha mai avuto accesso ad internet!

Si conferma la centralità dei contenuti audiovisivi nella “dieta mediatica”, che assorbono circa due ore delle giornate di ogni italiano, il 42% dei totali 274 minuti dedicati quotidianamente alla comunicazione. Una inedita elaborazione (la cui metodologica è ignota) porterebbe alla conclusione che, dei 274 minuti di consumi mediali (ovvero circa 4 ore e mezza al giorno), 115 minuti sono passati di fronte alla tv, 23 minuti sarebbero trascorsi sui social network, 10 minuti utilizzando il telefono... Sommando 115 (tv) + 23 (social network) + 10 (telefonia), si arriva ad un totale 148 minuti: e gli altri 126 minuti da quale “medium” sono assorbiti?!
Verosimilmente dalla scrittura di “21 email inviate” e di “30 sms e instant message inviati” (ma quanto tempo impegna ognuna di queste attività, nell'utente medio?! non è dato sapere!). La Relazione Agcom non rivela il mistero dei 126 minuti. La fonte indica cripticamente: “elaborazioni dell'Autorità su dati Istat, Oecd e operatori”. Boh! Numeri in libertà?!

Al di là di dati un po' erratici, pochi e lievi i cenni critici scenaristici.
Agcom certifica il calo degli investimenti pubblicitari (2012 su 2011): - 19 % per l'editoria, - 18 % per la tv, - 13 % l'esterna, - 7 % la radio... Soltanto il web è in controtendenza, con un + 12 % (ed ha una fetta del 14% della torta pubblicitaria totale). Basti osservare che editoria ha perso il 14% del proprio fatturato in un anno soltanto, con un calo di 1 miliardo di euro nei ricavi. Nel 2012, i quotidiani hanno visto calare del 10% la vendita di copie, e del 19% i ricavi pubblicitari!

Nel business tv, Sky ha superato Mediaset nel totale dei ricavi, e Rai è terza. Il totale dei ricavi della tv “free” sarebbe stato di 4,9 miliardi di euro nel 2012, a fronte dei 5,5 miliardi del 2011.
Il totale del ricavi della tv “pay” sarebbe stato di 3,4 miliardi, a fronte dei 3,5 miliardi del 2011.
In totale, il settore televisivo registra un calo di ricavi del 9%, dai 9.004 milioni del 2011 agli 8.224 milioni del 2012.
Escludendo i grandi “player” (Mediaset + Sky + Rai + Telecom Italia Media), gli “altri operatori” (tra cui evidentemente le tv locali) passano da un totale di ricavi 2011 di 778 milioni a 615 milioni, con un decremento del 21%.

Il business totale del settore delle comunicazioni sarebbe calato dai 65,8 miliardi del 2011 ai 61,5 miliardi del 2012.

Diverte notare come uno dei primi dispacci diramati dall'Ansa sintetizzava la debolezza della Rai nell'offerta su internet: il portale della Bbc è il 5° per utilizzazione (numero accessi) nel Regno Unito, prima di Yahoo, quello della Rai è al 28° posto in classifica. Questa è forse l'unica freccia amara, tra quelle lanciate dal delicato arciere Cardani.

Agcom conferma l'intenzione di emanare un regolamento in materia di diritto d'autore online (lo si attende da anni...), ma ribadisce che semmai il Parlamento decidesse di intervenire, si ritirerà in punta di piedi (anzi, si adeguerà). Tanto l'Autorità sa benissimo che il Parlamento, con l'attuale maggioranza “collosa”, non interverrà.
L'Autorità benedice lo scorporo della rete Telecom Italia (decisione definita addirittura “coraggiosa e innovativa”), ma non più di tanto, perché attende le ulteriori mosse del gruppo di Bernabè e vuole vedere le carte.

Nulla dice Agcom rispetto all'esigenza di stimolare la produzione di contenuti di qualità.
Si limita ad un cenno rispetto alle esigenze di verificare eventuali posizioni dominanti all'interno dei singoli mercati del Sic: il duopolio Rai + Mediaset ha l'87% dei ricavi nel settore della tv gratuita, Sky ha il 78% nella tv pay....
Nulla dice rispetto al rischio di dinamiche parassitarie da parte dei “nuovi aggregatori” (Google in primis).

Nulla dice in materia di emittenza radiotelevisiva locale: esiste ancora?! È incredibile, ma nelle centinaia di pagine della Relazione annuale dell'Agcom, non è dato sapere quante siano le emittenti radiofoniche locali attive sul mercato italiano o quelle televisive. A pagina 144 della Relazione Agcom, si legge che, per quanto riguarda la radio, si tratterebbe di una “moltitudine” (sic). Nessun dato rispetto alle tv locali.

Nulla dice (non 1 parola 1) rispetto all'occupazione, alla forza-lavoro: come se l'economia del sistema non fosse basata anche sul lavoro, oltre che sul capitale (ci si perdoni la passatista citazione marxiana).
Nulla dice l'Agcom - in sostanza - sul problema centrale, che nemmeno identifica: l'evoluzione del sistema mediale italiano sta producendo continuo impoverimento strutturale e depauperizzazione delle risorse allocate sulla produzione di contenuto (calano gli investimenti, la disoccupazione cresce, il precariato impazza). Vale per l'editoria di qualità, per il cinema, per la musica, per la fiction, eccetera. L'Autorità non identifica la patologia fondamentale del sistema.

La pirateria è un problema importante, ma non il più grave. Cardani si limita a scrivere: “il ruolo della produzione di contenuti non viene meno” (!). Quella che sta... venendo meno, caro Presidente, è la “produzione” stessa di contenuti, non il suo ruolo.

Da segnalare che è intervenuto in sala, con il suo ormai noto look molto “casual”, Roberto Fico, il Presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai (soprannominato, forse con eccessivo entusiasmo, “il mastino” da “Prima Comunicazione”), il cui pensiero crediamo di immaginare, mentre ascoltava le molto molto molto moderate parole di Cardani ed osservava i quattro altri silenti componenti del soviet Agcom schierati in bella mostra sul tavolo di presidenza.

Segnaliamo alcuni dettagli che riteniamo significativi. La relazione non si caratterizza per quella vena poetica e per quelle raffinate citazioni cui ci aveva abituato il past President Corrado Calabrò (ci sono però chicche come l'incipit: “Per comprendere la dimensione di un fenomeno sarebbe necessario poter valutare il controfattuale della sua assenza”, sic), si evince che è stata elaborata sotto la guida di un economista e non di un giurista, e ciò è innovativo. Molti sono i dati citati, ma, da ricercatori, ci preoccupa un po' la pluralità di fonti utilizzate, con numeri che temiamo possano finire per smentirsi l'un l'altro, per difformità metodologica e contraddittorietà interna: in una nota a piè di pagina, i redattori utilizzano la simpatica formula “ex multis” (come dire, abbiamo colto qua e là), inadeguata per un documento che dovrebbe rappresentare la “summa” (anche scientifica, no?!) in materia.

E preoccupa anche che Cardani utilizzi il termine “consumatori” riferendosi al target finale dell'Autorità. In punta di piedi, ci permettiamo di ricordare al Presidente che l'Agcom ha delle funzioni molto più delicate della consorella Agcm (Garante della Concorrenza e del Mercato): dovrebbe vedere i propri “stakeholder” non nei “consumatori”, bensì nei fruitori, ovvero nei cittadini. Non si tratta di un distinguo semantico marginale. E, rispetto a questi cittadini, Agcom dovrebbe anche pensare alle funzioni culturali del sistema dei media.

Funzioni che sembrano essere completamente ignorate, nella relazione: la parola “cultura” è completamente assente dalla relazione di Cardani (ma anche la parola “emittenti locali”, come se... non esistessero più le radio e tv indipendenti: di grazia, sono deboli e marginalizzate, ma vanno ancora in onda!).

In sostanza, viene ignorata completamente la intima relazione tra l'economico ed il semiotico. Ma l'Agcom non dovrebbe vigilare anche su questo?! Sul senso (di società) che l'attuale assetto del sistema mediale produce, che è poi il senso stesso (il più intimo) della democrazia! Sui valori (anche etici!), sulla Weltanschauung che i media stimolano. Non debbono essere tenuti sott'occhio soltanto la concorrenza ed il pluralismo, ma anche la produzione di senso: la cultura, insomma.

Tutto l'approccio della relazione è quantitativo, ma l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni non dovrebbe avere a cuore anche la “qualità”? Come dire?! Il mandato Agcom dura ben sette anni: Cardani e colleghi hanno di fronte qualche anno per un... ravvedimento operoso.

Prima di sentenziare oltre, attendiamo di leggere la Relazione vera e propria, ovvero il corposo tomo - l'edizione annuale della “bibbia” Agcom - che, quest'anno, per la prima volta nella storia dell'Autorità, non è stato distribuito ai partecipanti, e non si sa nemmeno se verrà stampato su carta (effetti perversi della “spending review”: è vero che pochi lo leggevano, ma era comunque uno strumento utile). Abbiamo sfogliato la versione cartacea della Relazione: ci sembra evoluta rispetto all'edizione precedente, più schematica e più chiara, ma le aree oscure e grigie restano tante (vedi supra). Un ulteriore esempio? Non è dato sapere quanti siano (e chi siano) i “produttori indipendenti”...

La Relazione è disponibile sul sito dell'Autorità (464 pagine: aaargh! abbiamo controllato, anche qui il concetto di “cultura” non è presente, se non nel capitolo dedicato ad alcuni obblighi della Rai: da non crederci...), insieme ad alcune slide di sintesi dei dati (che estrapolano dal tomo un set di interessanti informazioni, ovviamente... tutte soltanto quantitative).

In sostanza, riteniamo di poter concludere: una Relazione Agcom migliore rispetto alle precedenti, un qualche segnale di innovazione c'è, ma l'approccio complessivo appare ancora veramente molto timido. Eppure crediamo che, di fronte alla crisi in atto, il Paese non abbia necessità di ulteriore prudenza, ma di scosse energiche che stimolino un risveglio dal torpore dominante. Se il Parlamento dormicchia, il Governo vivacchia, che almeno un qualche benefico shock venga dalle autorità indipendenti!

(ha collaborato Elena D'Alessandri)

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell'Istituto italiano per l'Industria Culturale - IsICult (www.isicult.it).

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